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“In ogni guerra, la questione di
fondo non è tanto di vincere o di perdere, di vivere o di morire; ma di come
si vince, di come si perde, di come si vive, di come si muore. Una guerra si
può perdere, ma con dignità e lealtà…”. Junio Valerio Borghese (anche se
qualcuno storcerà il naso…).
Dedicato a Mario Prestamburgo, Salvatore
Tudisca, Antonino Bacarella e a tutti i soccombenti del processo Paris.
Non sono bastate le fiabe orientali di Lanzarone (ma non era Fedro quello
delle favole?) a convincere il giudice di pace Laura Cancelli che Quirino
Paris era colpevole. E così, nonostante la storiella dei monaci e della
bella ragazza che deve attraversare un ruscello fangoso e uno dei due la
porta in braccio e l’altro rimane colpito di quel contatto carnale e gli
chiede spiegazioni (ma dov’è il povero Paris in questa similitudine che
sfiora il boccaccesco?), raccontata con la solita vis oratoria
greco-latino-sicula dall’avvocato Fabrizio, difensore dei due prof
palermitani Tudisca e Bacarella, la Lady di Ferro non è caduta nell’ennesima
trappola classicista. E non si è lasciata sedurre nemmeno dalla dotta
lezione sulla mafia (che preparazione, caro Lanzarone, complimenti
vivissimi!) per spiegare che cos’è e com’è costituita la cupola (“La cupola
è la commissione provinciale di Cosa Nostra e la commissione provinciale
domina il territorio attraverso le famiglie. Tre o più famiglie formano il
mandamento. Il mandamento elegge il reggente, cioè il rappresentante delle
tre famiglie. Ciascun capo mandamento poi va a far parte della cupola”. Ipse
dixit, in latino per non essere da meno). La Lady ha semplicemente
sentenziato: il fatto non costituisce reato.
Colpita e affondata la nave baronale dell’Agraria italiana. Noi, mentre
aspettiamo che il relitto riaffiori per mostrarci che cosa rimane di una
potenza che si riteneva indiscussa e indiscutibile, abbiamo ammazzato
l’attesa (che potrebbe prolungarsi sine die) intervistando il prof
stronca-baroni: Quirino Paris, l’uomo che è stato in grado, esile com’è, di
sconvolgere il mondo accademico nazionale scompaginandogli carte e progetti.
- Prof. Paris, il 27 aprile per lei è una data storica...
- Una data che aspettavo da tre anni.
- Che cosa ha pensato in questi anni di dibattimenti?
- Ero ambivalente. Da un lato sapevo che esisteva un copioso pronunciamento
della Corte di Cassazione che dice che quando si fa un esposto all’Autorità
amministrativa, purché quello che si sostiene sia vero, il fatto non
costituisce reato. Proprio grazie a questo pronunciamento è stato abbastanza
facile per il giudice emettere la sentenza di assoluzione. Dall’altro lato,
però, per i termini forti che io ho usato, sapevo anche di poter andare
incontro a una sentenza di condanna.
- Ha tremato un po’ oppure è stato sempre tranquillo?
- No, non mi sono mai spaventato perché le vicende che mi hanno coinvolto mi
hanno fatto conoscere come si svolge in concreto la giustizia italiana.
- A Roma si è appena chiuso un filone del processo che l’ha vista coinvolta.
E il filone di Trieste?
- Sta ancora nelle mani del gip Morvay che nella seduta del 27 gennaio
scorso, dov’erano presenti tutte le parti, ha dichiarato che si sarebbe
preso quattro mesi di tempo prima di decidere. I quattro mesi sono scaduti
quindi tra poco dovremmo conoscere l’esito.
- La sentenza romana pensa che influenzerà l'esito di Trieste?
- No, non credo, sono due procedimenti completamente diversi e un Gip non si
fa influenzare da un esito.
- Che cosa ha imparato da questa esperienza?
- Che se avessi conosciuto prima quella sentenza della Corte di Cassazione
sarei stato più tranquillo! E ho imparato anche che il processo di
diffamazione è uno strumento nelle mani dei potenti, che serve per
intimidire.
- Secondo lei, che cosa ha imparato la sua controparte?
- Difficile. Non so mettermi nei panni di Prestamburgo… e non voglio
mettermici. Hanno imparato probabilmente che anche il potere alla fine
qualche batosta la subisce.
- Dunque magari non sarà il nostro uno Stato di diritto in piena regola, ma
alla fine qualcosa si ottiene.
- Certamente, ma bisogna avere un buon avvocato e una grande costanza.
- Qual è stato il primo pensiero, ma proprio il primo, dopo aver sentito la
pronuncia del giudice?
- Che si era già fatta un’idea in questi tre anni ed è per questo che non ha
impiegato molto tempo ad arrivare alla sentenza.
- Che cosa le hanno detto dopo la vittoria i tre prof di più evidenza “giuridico-mediatica”,
e cioè Mario Prestamburgo, che lei ha posto al vertice della cupola
accademica dell’Economia agraria italiana – ora possiamo dirlo visto che
dirlo non costituisce reato – e poi Salvatore Tudisca e Antonino Bacarella,
agli altri due angoli della “triade... capitolina”?
- A me personalmente non hanno detto niente, non ci siamo mai salutati nel
corso del processo, però al mio avvocato il prof. Prestamburgo ha detto che
avrebbe scritto lui un libro su come le persone che noi avevamo indicato
come possibili testimoni hanno fatto carriera e sono diventati professori.
Sarebbe veramente interessante potere leggere questo libro…
- Prima bisogna che lui lo scriva.
- Certo, bisogna aspettare. Comunque Prestamburgo, soprattutto lui, non è
rassegnato a questa sconfitta: ha detto al mio avvocato che avrebbe fatto
appello.
- Solo lui?
- No, anche l’avvocato di Antonino Bacarella l’ha detto, anche perché
Prestamburgo, essendo stato estromesso dal processo,
non ha titolo per fare appello.
- Lei intanto continua a essere scomodo per l'Università italiana... Mi è
giunta voce di uno scontro tra consiglieri di amministrazione
dell’Università di Trento per un commento che ha scritto su un blog riguardo
al buco finanziario che si dice esista nell’Ateneo. Che cos’è, una
conseguenza diretta della vittoria al “Tribunalino” Roma, come lo chiamiamo
noi, che le ha fatto acquistare più sicurezza?
- No, io dico queste cose perché penso che ci sia del marcio in ogni Ateneo
italiano, anche in quello di Trento, città da cui sono originario: bisogna
solo scavare. Quel buco finanziario comunque sarebbe, secondo il direttore
amministrativo, nel bilancio preventivo del 2010, non sarebbe riferito al
bilancio consuntivo. Se è così il buco sarebbe solo teorico e non reale.
- Che cosa vorrebbe dire a bocce fredde alla sua sconfitta controparte?
Magari un consiglio... una raccomandazione... o anche un rimprovero... lo
faccia da qui.
- Non mi permetto di dare consigli alla controparte. Ma la loro mentalità è
cambiata rispetto a quella dei professori universitari di una volta: dagli
anni Cinquanta e fino al 1975 i veri baroni, designavano sì i loro pupilli,
ma lo facevano con un certo stile e con oculatezza. Quando l’Università è
voluta diventare di massa e ci sono state le ope legis che hanno immesso nei
ranghi tanti professori allora è scaduta la qualità e tutto si è ridotto
solo alla gestione del potere del reclutamento. Quindi io direi alla mia
controparte: datevi una calmata, lasciate che i bravi studenti emergano,
perché ne esistono anche in Italia, e rassegnatevi.
- Parliamo di avvocati. Nel corso dei tanti dibattimenti è spiccata su tutti
l’oratoria dell’avvocato Fabrizio Lanzarone, difensore dei due prof
palermitani. Lei pensa che troppa ricercata loquacità possa alla fine essere
controproducente?
- Ma non c’è dubbio! Sono del parere che anche un avvocato debba essere
stringato e arrivare al punto in modo veloce e logico senza fare sfoggio di
tanto latinismo e di tanto grecismo perché gli altri avvocati suoi colleghi
in dibattimento non è detto che abbiano fatto il liceo classico come lui e
forse neanche i giudici, dunque alla fine l’oratoria diventa
controproducente perché diventa incomprensibile.
- Professore, qualcuno su un giornale ha scritto che, ora che ha vinto, ha
avanzato pubblicamente richiesta di abolire il valore legale della laurea,
ma noi sappiamo che non è così e che lei, almeno con noi, già nel novembre
del 2006, su un articolo ha scritto che questa abolizione è condizione necessaria per
il rinnovamento dell’Università italiana. Una necessità, dunque, e non certo
– come ha scritto quel giornalista – una “provocazione”. Vuole ribadire
ufficialmente e da qui il suo pensiero, che comprende anche l’abolizione del Miur?
- Contrariamente a quanto sostenuto da quel giornalista, la mia non è
un’idea recente, ma un pallino fisso da decenni. Quando ho avuto la
possibilità di esprimerla l’ho sempre espressa perché secondo me il problema
dell’Università è la cornice di tutela del Miur. I vari Atenei non sono
entità indipendenti e maggiorenni e se non si toglie il valore legale ai
titoli di studio il ministero ha come mandato la supervisione, il controllo,
e l’intervento anche dettagliato nella vita degli atenei: che corsi di
laurea, quanti esami bisogna fare, ecc. Quindi i concorsi dovrebbero essere
aboliti, ma prima bisognerebbe togliere il valore legale alla laurea. Laurea
sì, ma non garantita a priori dal Miur. Certo il periodo di transizione sarà
difficile, ma si arriverà comunque a questo, magari tra dieci o vent’anni.
- So che una delle prime cose che ha fatto dopo la vittoria è stata la
richiesta di ammissione alla Sidea, da cui era stato espulso tempo fa a
causa delle sue denunce... Che cosa le hanno risposto?
- Ancora niente, ma ho saputo che il suo Consiglio di Presidenza ha preso atto della richiesta e deciso di “istruire la questione” con un supplemento di indagine. Insomma, vogliono riprendere in mano tutte le carte per capire esattamente che cos’è successo. Ma l’estratto del verbale del Consiglio di Presidenza che mi aveva espulso era stato inviato, a quel tempo, a tutti i membri della Sidea. Quindi “le carte” sono già nelle mani di tutti. Io spero di essere riammesso.
- Qualcuno farà opposizione…
- Sicuramente. Quando Prestamburgo e gli altri sapranno che sono stato
riammesso non la prenderanno troppo bene…
- Professore, a margine, un accenno all'organizzazione del “Tribunalino”
della Pace, come l’abbiamo chiamato noi. Lei ha cominciato con un Pubblico
Ministero donna, tale Paola Berardini, ha proseguito con altri PM sempre
diversi, uomini e donne. Nuovi e soprattutto "ignoranti" del fascicolo.
Molti ritardi sono stati causati dunque anche da una disorganizzazione di
base che non ha certamente contribuito a sveltire il procedimento
dibattimentale. Come giudica questa situazione sicuramente tutta italiana?
- La situazione in cui mi sono trovato ha degli aspetti ridicoli,
pirandelliani, perché il Pm istruttore – la Berardini – ha commesso tutta
una serie di errori procedurali: per poter rimediare a questi errori si è
dovuto rimandare di sei mesi in sei mesi.
- Come ha visto lei questa continua sostituzione di Pubblici Ministeri?
- Come una disfunzione. Anche se si tratta di dibattimenti semplici come
quelli che in genere si discutono davanti a un Tribunale della pace, deve
esserci qualcosa che non funziona: io, per esempio, in questi tre anni non
ho mai sentito il giudice pronunciare alcuna sentenza.
- Secondo lei le nuove procedure concorsuali del D.L. 180 del ministro
Gelmini contribuiranno a fare chiarezza nel caos dei concorsi universitari?
- Il Decreto Gelmini prevede che i membri delle Commissioni di concorso
vengano eletti in un numero triplo rispetto a quelli occorrenti, dopo si
dovrà procedere con l’estrazione a sorte. Io penso che non ci sarà un
miglioramento vero: è un problema di cultura e di atteggiamento mentale…
- Quindi lei è pessimista davanti a questa novità.
- Be’, sì. Però c’è un progetto ancora da discutere che potrebbe essere
interessante, quello delle abilitazioni nazionali valide per quattro anni:
per poter partecipare ai concorsi bisognerà essere abilitati. A Commissioni
così predisposte dovrebbero partecipare anche uno o due professori
stranieri. Credo che in questo modo il sorteggio possa davvero costituire un
elemento importante nella formazione delle Commissioni e questo progetto va
al di là di quello che sta scritto sul decreto Gelmini.
- E adesso che ha vinto, professore, non la rivedremo più in Italia?
- Assolutamente no, tornerò ancora! L’Italia è il mio Paese e io sono legato
al mio Paese, nonostante le tante cose che non vanno. E poi c’è sempre il
filone di Trieste…
Ride rilassato Quirino Paris e intanto comincia a programmare il suo
prossimo articolo per “Ateneo Palermitano” (pubblicato
su questo numero)…
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