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Alla fine era sì. Ma il secondo round romano del processo Paris
- dopo il primo dello scorso maggio - è cominciato all'insegna del giallo. Giallo sindacalizzato, cioè.
Tutto è partito da un avviso al pubblico: dal 9 al 14 ottobre sciopero nazionale dei giudici di pace.
Una mazzata sulla testa di chi da varie parti d'Italia e pure dalla California - l'imputato Paris, appunto, catapultato in quel di Roma per la seconda
volta in meno di cinque mesi a difendersi da un'accusa di diffamazione - si è presentato il 9 ottobre (più o meno) puntuale davanti a uno splendido sole
capitolino per un’altra, e più avvincente della precedente, puntata del processo.
Condivisibili i motivi dello sciopero dai punti 1 a 3.
Primo: assegnazione di una più idonea sede (sacrosanta richiesta e - speriamo - con climatizzatore incluso nel prezzo); secondo: riorganizzazione degli
uffici ("assenza di collegamento tra ufficio di coordinamento e referenti di sezione" tra i motivi addotti, noi aggiungeremmo totale scollamento tra
giudici e pm, scelti questi ultimi come i bussolotti della ruota della fortuna quanti minuti prima dell'udienza non sappiamo, ma sicuramente tanti
da non consentire una lettura anche solo superficiale del fascicolo a cui di volta in volta i poveri pm - vittime sacrificali dei processi
all'italiana - vengono abbinati); terzo: carenza di personale negli uffici (per la verità noi ne abbiamo visto anche troppo).
Sul quarto punto ci stiamo a metà. Passi per la richiesta di fotocopiatrici e fax funzionanti, ma indire uno sciopero nazionale per "l'immediata
dotazione" di scotch e penne a noi sinceramente è parso un po' azzardato.
Misteri della fede, anzi, della pace, anzi dei giudici di pace.
Ma proseguiamo con ordine. La Lady di ferro del processo Paris - Cancelli di nome e di fatto - non si lascia tentare dalle sirene sindacali e non
aderisce allo sciopero (alla fine del processo penne per tutti come premio di professionalità).
L'udienza si apre, ed è subito colpo di scena. Il secondo, dopo il paventato sciopero. Il caso Paris dal quinto posto in elenco dei dibattimenti
passa in pole position grazie all'agguerrita Osele-Schumacher, l'avvocato difensore del Paris, che incassa la prima vittoria della mattinata
ottenendo – complice la galanteria del pm di turno Alfonsi che personalmente abbiamo sentito parlare solo in questa occasione - un occhio di riguardo
per chi come lei doveva far ritorno alla base (Trento) nella stessa giornata del 9.
Il terzo colpo di scena (nel senso che non se l'aspettava) è di chi scrive, affiancata per tutto il tempo da uno dei querelanti, per il quale si è
dovuta improvvisare traduttrice simultanea. E non perché il processo fatto a un (quasi) americano si svolgesse in lingua inglese, ma perché tra le
carenze di dotazione nelle aule dei giudici di pace c'è pure quella dei microfoni (ottima motivazione per un prossimo sciopero nazionale, anzi,
nella fattispecie, internazionale).
Presenti in aula tutti i querelanti tranne Dario Casati e Lorenzo Idda, gli unici a non essersi costituiti parte civile.
In carne e ossa, dunque, pure il palermitano Salvatore Tudisca, preside della Facoltà di Agraria dell'Ateneo siciliano, che alla puntata precedente
non aveva ritenuto opportuno presenziare (per motivi sicuramente giustificati, ma che noi non conosciamo).
Insieme a lui il resto della nutrita controparte: Mario Prestamburgo, Antonino Bacarella, Francesco Bellia e Giuseppe Chironi. (Francesco Sorrentino
del foro di Gorizia difensore di Prestamburgo; Filippo Paterniti del foro di Catania per Bellia e Fabrizio Lanzarone del foro di Palermo per la tris
Bacarella, Chironi e Tudisca).
"Occorre sciogliere le riserve della volta scorsa" esordisce il giudice Cancelli, e annuncia la lettura di un'ordinanza.
"Sulla memoria difensiva avevo chiesto per il mio assistito l'aggravante..." azzarda Osele, che però viene interrotta dalla bionda Lady: "Avvocato,
se il pm non si oppone...".
A proposito di aggravante. Avete letto bene: la difesa ha chiesto l'aggravante. Impazzita? Macché. Accondiscendente verso la giurisprudenza italica
che per consentire a un imputato una migliore difesa con l'uso di testi a discolpa impone la richiesta del comma 2 (art. 595 del codice penale),
che per i non eletti vuol dire aggravante (e non il comma 1, già ottenuto dal Paris, che non prevede l’audizione dei testi).
Paradossi da Paese delle banane. Che è come dire Italia, appunto.
Ma torniamo alla cronaca.
Come non detto e chi fiata più. Orecchie spalancate per la lettura dell'ordinanza... Ordinanza? Ma quale ordinanza? Catastrofe nucleare, altro che
ordinanza (quarto colpo di scena): "Le e-mail (scritte da Paris nel 2003 al Cun e al Murst per sollecitare il loro potere di controllo sulle
Commissioni di conferma dell’area AGR01, Economia ed Estimo rurale, n.d.r.) - legge imperterrita Laura Cancelli - vanno ritenute genuine". Dunque
le norme giurisprudenziali in materia di validità legale dei prodotti telematici considerano come data di partenza quella effettiva delle due e-mail
e danno ragione alla difesa.
Accusa atterrata e sotterrata: non dovendo ritenersi necessario l’accertamento reale dell’autore degli scritti ne consegue dritta dritta
l'intempestività di due querele - quella di Prestamburgo e quella di Casati, tra i primi ad aver saputo delle due missive telematiche del docente
italo-californiano - arrivate oltre il tempo massimo stabilito dalla legge.
Costituzione di parte civile di Prestamburgo rigettata, Prestamburgo fuori dalla singolar tenzone (a meno di ulteriori colpi di scena).
Mano destra di Prestamburgo sulla testa di Prestamburgo, in segno di evidente desolazione.
E' la volta del Lanzarone. Che mostra al giudice un elenco di documenti di più recente produzione chiedendo un rinvio per l'esame. “Avvocato, di nuovo!
Li abbiamo già esaminati, i documenti...”.
La Lady perde la pazienza, Lanzarone la grinta della prima udienza. E si avvita su discorsi in caduta libera (quanto a tonalità di voce utilizzata),
difficili da seguire senza le necessarie “dotazioni” dei giudici di pace…
Non è facile incassare l'intempestività della querela prestamburghese. Nemmeno per la pila elettrica dell’avvocato Paterniti, che in ben due occasioni
si lascia richiamare dalla Lady di ferro come uno scolaretto al primo giorno di scuola: la prima quando le chiede se nella sua veste di giudice non stia
irritualmente “anticipando” la sentenza (unica “colpa” della Cancelli quella di essersi rivolta alla Osele dicendo: “capisco le sue considerazioni, ma…”)
e la seconda a chiusura dell’udienza quando, alla richiesta della Osele di spostare per ragioni accademiche del Paris la data della puntata numero tre
dal 29 gennaio (appuntamento proposto) al 5 aprile (data stabilita), sbotta in una battuta - fulminata dal giudice con un “avvocato, la sua osservazione
è inopportuna e fuori luogo” - che per dovere di cronaca fedelmente riportiamo: “ Alle conseguenze bisogna pensarci prima…”.
Se da un lato il nervosismo si può affettare come un salame, dall’altro, visibilmente soddisfatta per la seconda vittoria appena incassata, l’Osele osa
l’inosabile: “Signor giudice, se la querela di Prestamburgo è intempestiva, anche tutte le altre a caduta lo sono pure...” E fa riferimento a una seduta
della Sidea (Società italiana di Economia Agraria) in cui era stata ufficializzata, molto tempo prima della presentazione delle querele, la notizia
delle due e-mail del professore Paris. E accenna anche a un concorso del 2003, vinto dalla moglie del preside Tudisca, in cui l’espulsione del Paris
dalla Sidea a seguito delle atomic-mail di denuncia - argomento pare molto battuto il giorno del concorso - doveva essere sicuramente nota anche alla
presente e vincitrice Anna Maria Di Trapani in Tudisca.
Ma la Cancelli, forte del suo cognome (e delle sue certezze professionali) non si lascia intenerire: occorrono i nomi dei presenti alla seduta della
Sidea, occorrono dati certi.
Poi lancia un’àncora nel mare aperto e autorizza la difesa a produrre le prove alla prossima udienza.
Apriti cielo. Lanzarone protesta, Paterniti protesta: e i documenti che in apertura aveva esibito la controparte, allora? La Osele tenta una replica,
il giudice calma gli animi di tutti ed esclama: “Interessante la dialettica, ma dobbiamo proseguire”.
Blocca le rimostranze dell’accusa, stronca la richiesta della difesa di esclusione di parte civile pure di Salvatore Tudisca, accoglie la voluminosa
documentazione fresca di giornata dell’accusa, conferma alla difesa la proroga per la raccolta delle nuove prove e rimanda alla terza udienza del
5 aprile.
Non prima però di aver ascoltato, sulla proposta bocciata del 29 gennaio, le esigenze didattiche californiane del timido (e per la verità un po’
frastornato) imputato Paris, mise in marrone pieno, camicia celeste, cravatta bicolore: “Signor giudice, per la verità io non potrei… Insegno,
nel trimestre gennaio-marzo…”.
Possibile non accogliere le richieste di un illustre docente italiano di fama internazionale, che insegna Economia agraria all’University of
California, Davis; che colleziona premi alla qualità; che è esperto mondiale della “legge del minimo”; che gira il mondo - Sicilia compresa - a
diffondere le sue tesi d’avanguardia, e che nei mesi liberi da impegni accademici viene, da forze uguali e contrarie, italicamente impantanato
in processi da giudici di pace per presunte diffamazioni?
No, non è possibile. Per non rischiare di cadere nei soliti paradossi da Paese delle banane. Che è come dire Italia, appunto. |
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