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Nell'articolo "Il
fornaio-direttore generale dell’Università italiana" pubblicato lo
scorso aprile e nell'articolo "Come
funghi" di giugno
Ateneo Palermitano ha dato conto della privatizzazione massiccia
dell’Università italiana nel delicato settore della sanità pubblica che
corrisponde alla specializzazione in Psicoterapia. Tutte le 340 sedi delle
scuole esistenti sul territorio sono di tipo privato e sono state
riconosciute dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
(Miur) soltanto negli ultimi 16 anni con procedure che lasciano dubitare
della qualità di una buona parte di esse se, almeno una quarantina, sono
state de-autorizzate in breve tempo dallo stesso ufficio del Miur che le
aveva riconosciute poco prima.
Ma la privatizzazione strisciante dell’Università italiana non si ferma qui.
Essa continua con le Scuole Superiori per Mediatori Linguistici. Anche in
questo secondo capitolo si intravedono le crepe di una burocrazia senza
controlli. Infatti, ci sono voluti sedici anni per l’emanazione del
regolamento
di una legge di due soli articoli, emanata nel 1986,
che stabiliva il riordino giuridico delle Scuole Superiori per Interpreti e
Traduttori. L’aspetto più caratterizzante di tale regolamento è l’esplicita
affermazione – che non si trova nei documenti legislativi – secondo la quale
i “titoli di studio, conseguibili al termine di corsi di studi superiori di
durata triennale, (sono) equipollenti a tutti gli effetti ai diplomi di
laurea rilasciati dalle università al termine dei corsi afferenti alla
classe delle ‘Lauree universitarie in Scienze della Mediazione Linguistica’
(art. 1, comma 2).” Cioè, con un semplice regolamento è cambiato il nome
delle scuole che, da scuole per interpreti e traduttori, sono diventate
Scuole Superiori per Mediatori Linguistici equiparate a Facoltà
universitarie. E ai loro titoli di studio si è concessa l’equipollenza alla
laurea. Il che comporta l’inclusione di corsi di letteratura delle lingue
proposte dall’offerta formativa e altri corsi di completamento della
formazione universitaria.
E i docenti? Il regolamento del 2002 dice poco o nulla riguardo a questo
aspetto cruciale. L’articolo 2, comma 1, stabilisce che l’istanza di
riconoscimento presentata dalla scuola deve documentare “i requisiti di
qualificazione didattica e di adeguatezza delle dotazioni di personale”. La
definizione di che cosa siano tali requisiti è lasciata, presumibilmente,
alla Commissione tecnico-consultiva prevista dall’articolo 3. Ma già il nome
di “Commissione tecnico-consultiva” fa nascere il sospetto che la burocrazia
del Miur abbia voluto tenersi le mani libere di accettare o non accettare le
relazioni della Commissione. Mentre i siti Internet delle varie scuole non
riportano nemmeno il nome dei docenti, senza parlare, dunque, della loro
qualificazione professionale. E quattro scuole non dispongono nemmeno di un
sito internet.
Stando ad un
elenco del Miur datato 31 marzo 2004, le Scuole Superiori per
Mediatori Linguistici sarebbero 24 (con 29 sedi), inclusa la scuola di
Afragola (NA) riconosciuta con Decreto Direttoriale
del 21 gennaio 2009 firmato dal solito Antonello Masia. Ma, allora, come mai
l’elenco è datato al marzo 2004? Misteri di una burocrazia solerte, attenta
e puntuale.
A proposito di Antonello Masia, – il Direttore Generale (oppure Capo del
Servizio, oppure, da pochi mesi, Capo del Dipartimento, non si sa bene) e
firmatario dei
Decreti di conferma e di riconoscimento delle scuole –
si trova ad essere
membro del Consiglio di Amministrazione
della Scuola Superiore per Mediatori Linguistici Carlo Bo con sede centrale
a Milano e sedi periferiche a Bari, Bologna, Firenze e Roma. Tale
partecipazione al Consiglio di Amministrazione è in aperto contrasto –
almeno nello spirito – al regolamento di cui sopra che stabilisce (art. 3):
“3. Ai lavori della Commissione partecipa, con voto consultivo, il dirigente
del competente Ufficio del servizio, responsabile del procedimento”. E
subito dopo, “8. L’incarico di membro della Commissione è incompatibile con
quello di componente di organi di direzione, gestione, consultivi, di
controllo e didattici dei soggetti gestori delle scuole che abbiano prodotto
istanza ai sensi dell’articolo 2. I membri della Commissione stessa non
possono avere comunque cointeressenze nelle scuole, né avere presso
incarichi di insegnamento in atto”. Quindi, Antonello Masia ha partecipato
ai lavori della Commissione per la conferma della Scuola Carlo Bo e ha
espresso il suo voto “consultivo” (in una Commissione consultiva…) e ha
firmato il Decreto di conferma. Un ovvio conflitto di interesse, in un Paese
dove il conflitto di interesse serve solo come materia di barzellette. Ai
margini del problema, è curioso notare come il presidente dello stesso
Consiglio di Amministrazione sia il noto poliglotta (almeno di latino e
greco antico) senatore Giulio Andreotti, tanto per garantire alla scuola la
copertura politica.
La Commissione tecnico-consultiva, composta da nove membri più il capo del
servizio Miur, deve svolgere un arduo lavoro di accertamento e verifica per
l’accreditamento delle scuole, ma il suo lavoro è solo di tipo “consultivo”.
È’ sufficiente tale lavoro di istruzione della domanda fatta dalla scuola
per garantire un livello adeguato e continuato di qualità? In più, le
relazioni della Commissione non sono rese pubbliche, violando così i minimi
criteri di transparenza della Pubblica Amministrazione.
La privatizzazione in atto dell’Università italiana, dalla preparazione
degli psicoterapeuti a quella dei mediatori linguistici, stranamente non ha
interessato coloro che – professori, studenti, sindacati – si agitano in
maniera ideologica contro la privatizzazione dell’Università. Forse non si
sono accorti di quello che sta succedendo e, nel frattempo, il Miur fa e
disfa a suo piacimento le maglie degli studi e degli ordinamenti accademici.
È arrivata l’ora di disfare il Miur?
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