settembre-ottobre numero 90/91

attualità
Il coraggio di guardare lontano
Perdono il 3% di finanziamenti ministeriali gli Atenei di Palermo e Messina
 

di Federico de Linares

Non è intenzione del Governo penalizzare alcuna Università meridionale è la risposta del ministro Gelmini a quanti – rettori e governatori di Università e regioni del Sud Italia – hanno criticato la classifica degli Atenei italiani che porterà ad una ridistribuzione dei finanziamenti con conseguenti tagli che si ripercuoteranno negativamente sui bilanci della metà (27) delle Università italiane inserite nella graduatoria (54).
A dire il vero – scorrendo la classifica resa pubblica dal Ministero – le Università virtuose e quelle non ritenute tali si trovano tanto al Nord, come al Centro e al Sud. Ma se questa osservazione è corretta, scorrendo la graduatoria, salta subito all’occhio che, dal punto di vista percentuale, le Università virtuose sono maggiormente concentrate nella parte centro-settentrionale del Belpaese.
Il governatore della Sicilia Raffaele Lombardo e i rettori delle Università di Palermo e Messina – per restare alle reazioni registratesi nell’Isola – hanno criticato le variabili di giudizio utilizzate che, peraltro, come ha sottolineato il ministro, sono state elaborate “tenendo conto dei parametri adottati da tutte le classifiche internazionali”. A loro giudizio, questi criteri, privando gli Atenei di significative somme in entrata – vanificano in parte l’azione di risanamento intrapresa dai vertici accademici dei due Atenei siciliani citati e di tante altre realtà accademiche nazionali.
Sempre restando in ambito regionale, viene tuttavia spontaneo chiedersi perché le Università di Messina e di Palermo risultino in coda alla classifica e una terza realtà accademica siciliana (l’Università di Catania) si ritrovi in una posizione sì medio-bassa, ma con chiari e incoraggianti segni di ripresa.
Ovvio che a Palermo non possa essere addebitato al rettore Lagalla, in carica da poco meno di un anno, quanto ereditato dalla quasi decennale gestione del suo predecessore e – implicitamente – stigmatizzato dal comportamento degli ultimi due direttori amministrativi recentemente nominati in seno all’Ateneo; tuttavia, se è vero quanto detto in precedenza, è altrettanto vero che il Corpo Accademico di oggi è lo stesso di ieri e se a Catania, il corpo docente e le altre componenti di quell’Ateneo, hanno cercato in questi anni (il professore Recca è al quarto anno di mandato e si vedono tangibilmente gli effetti positivi della sua azione) di allineare quanto più possibile il Siculorum Gymnasium isolano ai criteri cui correttamente si ispira il ministro, ciò non è da addebitarsi a un fatto benevolo nei confronti dell’Ateneo catanese, ma a delle precise scelte di chi era preposto a decidere (e di chi – governato – quelle decisioni ha di fatto condivise) che, nel caso di Catania, hanno mostrato di pagare, nei casi di Palermo e di Messina, invece no.
In definitiva, se a Catania sono stati previdenti e coraggiosi, non si comprende perché a Palermo e a Messina rettori e Organi collegiali di governo non abbiano preso quelle stesse cautele che oggi – probabilmente – porrebbero i due Atenei in una posizione meno scomoda e soggetta a tagli meno dolorosi di quelli che, viceversa, verranno attuati.
Quanto al tanto vituperato (in verità più ai suoi esordi che oggi) ministro Gelmini, sta conducendo una politica analoga a quella del suo collega d’Oltralpe, Valérie Pécresse, che – dopo aver avviato un processo che dovrebbe riqualificare e rilanciare le Università francesi a livello internazionale – ha avviato un analogo processo di riorganizzazione per la scuola secondaria superiore decisamente decaduta nel corso degli ultimi trent’anni.
E’ indubbio che tutto è perfettibile. Com’ è altrettanto indubbio che in un settore strategico per il nostro futuro come quello dell’educazione, non è più sufficiente attendere che altri propongano qualcosa per contestarne poi la validità. Chiunque voglia rivendicare un ruolo d’attore nel nostro Paese, nella Scuola, nell’Università, in altri settori, deve usare il proprio cervello nel modo in cui è stato addestrato a farlo dai propri educatori (familiari, maestri, professori). Se non ne è capace allora vuol dire che il sistema educativo di cui è figlio non va bene e va cambiato quale che sia il prezzo da pagare per farlo nel breve, medio e lungo termine. E allora ha ragione il ministro Gelmini quando ci incita ad essere coraggiosi. Perché è vero che “bisogna avere il coraggio di guardare al futuro e di adottare nuove logiche per essere competitivi a livello internazionale”.
Per essere in grado di essere artefici della propria esistenza e protagonisti del nostro futuro, aggiungo io.


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