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Non è intenzione del Governo
penalizzare alcuna Università meridionale è la risposta del ministro Gelmini
a quanti – rettori e governatori di Università e regioni del Sud Italia –
hanno criticato la classifica degli Atenei italiani che porterà ad una
ridistribuzione dei finanziamenti con conseguenti tagli che si
ripercuoteranno negativamente sui bilanci della metà (27) delle Università
italiane inserite nella graduatoria (54).
A dire il vero – scorrendo la classifica resa pubblica dal Ministero – le
Università virtuose e quelle non ritenute tali si trovano tanto al Nord,
come al Centro e al Sud. Ma se questa osservazione è corretta, scorrendo la
graduatoria, salta subito all’occhio che, dal punto di vista percentuale, le
Università virtuose sono maggiormente concentrate nella parte
centro-settentrionale del Belpaese.
Il governatore della Sicilia Raffaele Lombardo e i rettori delle Università
di Palermo e Messina – per restare alle reazioni registratesi nell’Isola –
hanno criticato le variabili di giudizio utilizzate che, peraltro, come ha
sottolineato il ministro, sono state elaborate “tenendo conto dei parametri
adottati da tutte le classifiche internazionali”. A loro giudizio, questi
criteri, privando gli Atenei di significative somme in entrata – vanificano
in parte l’azione di risanamento intrapresa dai vertici accademici dei due
Atenei siciliani citati e di tante altre realtà accademiche nazionali.
Sempre restando in ambito regionale, viene tuttavia spontaneo chiedersi
perché le Università di Messina e di Palermo risultino in coda alla
classifica e una terza realtà accademica siciliana (l’Università di Catania)
si ritrovi in una posizione sì medio-bassa, ma con chiari e incoraggianti
segni di ripresa.
Ovvio che a Palermo non possa essere addebitato al rettore Lagalla, in
carica da poco meno di un anno, quanto ereditato dalla quasi decennale
gestione del suo predecessore e – implicitamente – stigmatizzato dal
comportamento degli ultimi due direttori amministrativi recentemente
nominati in seno all’Ateneo; tuttavia, se è vero quanto detto in precedenza,
è altrettanto vero che il Corpo Accademico di oggi è lo stesso di ieri e se
a Catania, il corpo docente e le altre componenti di quell’Ateneo, hanno
cercato in questi anni (il professore Recca è al quarto anno di mandato e si
vedono tangibilmente gli effetti positivi della sua azione) di allineare
quanto più possibile il Siculorum Gymnasium isolano ai criteri cui
correttamente si ispira il ministro, ciò non è da addebitarsi a un fatto
benevolo nei confronti dell’Ateneo catanese, ma a delle precise scelte di
chi era preposto a decidere (e di chi – governato – quelle decisioni ha di
fatto condivise) che, nel caso di Catania, hanno mostrato di pagare, nei
casi di Palermo e di Messina, invece no.
In definitiva, se a Catania sono stati previdenti e coraggiosi, non si
comprende perché a Palermo e a Messina rettori e Organi collegiali di
governo non abbiano preso quelle stesse cautele che oggi – probabilmente –
porrebbero i due Atenei in una posizione meno scomoda e soggetta a tagli
meno dolorosi di quelli che, viceversa, verranno attuati.
Quanto al tanto vituperato (in verità più ai suoi esordi che oggi) ministro
Gelmini, sta conducendo una politica analoga a quella del suo collega
d’Oltralpe, Valérie Pécresse, che – dopo aver avviato un processo che
dovrebbe riqualificare e rilanciare le Università francesi a livello
internazionale – ha avviato un analogo processo di riorganizzazione per la
scuola secondaria superiore decisamente decaduta nel corso degli ultimi
trent’anni.
E’ indubbio che tutto è perfettibile. Com’ è altrettanto indubbio che in un
settore strategico per il nostro futuro come quello dell’educazione, non è
più sufficiente attendere che altri propongano qualcosa per contestarne poi
la validità. Chiunque voglia rivendicare un ruolo d’attore nel nostro Paese,
nella Scuola, nell’Università, in altri settori, deve usare il proprio
cervello nel modo in cui è stato addestrato a farlo dai propri educatori
(familiari, maestri, professori). Se non ne è capace allora vuol dire che il
sistema educativo di cui è figlio non va bene e va cambiato quale che sia il
prezzo da pagare per farlo nel breve, medio e lungo termine. E allora ha
ragione il ministro Gelmini quando ci incita ad essere coraggiosi. Perché è
vero che “bisogna avere il coraggio di guardare al futuro e di adottare
nuove logiche per essere competitivi a livello internazionale”.
Per essere in grado di essere artefici della propria esistenza e
protagonisti del nostro futuro, aggiungo io.
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