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Alla fiaccolata per commemorare a
Palermo il giudice Paolo Borsellino, ucciso dalla mafia sedici anni fa,
c’era anche lui, il Pm di Catanzaro Luigi De Magistris. Che, puntando sui
poteri occulti ha detto: “Il livello di metastasi nelle Istituzioni è grave
per la forte deviazione criminale di pezzi delle Istituzioni che di fatto
governano il Paese”.
Lo sappiamo – neanche l’ambiente universitario si salva da tutto questo. Ma
dette da lui, il Pm più silurato e scomodo d’Italia - giudice a Napoli dal prossimo
settembre perché ponti d’oro a chi se ne va - queste parole hanno un sapore
diverso.
Per allontanare dal suo posto di lavoro Albina Colella, ordinario di
Geologia dell’Università della Basilicata, non si sono sforzati nemmeno di
costruirle i ponti d’oro. Lei - secondo il magnifico Antonio Mario Tamburro,
rettore dell’Unibas che, detto così, più che un Ateneo sembra una sigla
sindacale - se ne deve andare e basta. Al di là di ogni più ragionevole dubbio, come si dice, di ogni
osservazione o più lecita aspettativa. E al di là anche di alcuni documenti a suo favore presenti negli incartamenti giudiziari.
Storia complicata, quella che sta dietro le quinte della strana
decisione dell'Ateneo lucano. Storia di un "accanimento accademico-giudiziario" -
così definisce la vicenda che l'ha coinvolta la professoressa Colella -
legato a doppio filo proprio al (quasi ex) Pm De Magistris e alle sue “Toghe
Lucane”, anzi, a uno dei rami di “Toghe Lucane”, quello che fionda
direttamente nel “paradiso terrestre” Marinagri (com' è stato definito ill
megavillaggio turistico di Policoro, in provincia di Matera): “300 ettari di
territorio incontaminato - si legge sul sito ufficiale - 3
chilometri di spiagge e pinete, 30 ettari di riserva ed habitat naturale di
numerose specie migratorie, una flora unica con rare e tipiche essenze del
mediterraneo, un delfinario di 10 ettari realizzato in ossequio alla
convenzione di Washington sulle specie protette, un orto botanico a
coronamento di un bosco autoctono per la migliore tutela e conservazione di
un ambiente integro”.
Marinagri – “unico punto di riferimento nell'area mediterranea, di turismo
ecologico e compatibile” - dice ancora il sito ufficiale - che offre
persino servizi di limousine ed elicotteri per le vacanze dorate dei vip, ha
un unico difetto: sta sull’acqua.
Duecento milioni di euro – tanto è
costato realizzarlo – per un complesso turistico edificato sul delta del
Fiume Agri, in un’area ad alto rischio idrogeologico che avrebbe imposto l’assoluta inedificabilità dei terreni con l’entrata in vigore, dal gennaio del 2002,
del
Piano di Assetto Idrogeologico (PAI).
Ma il rischio inondazioni e crolli è una cosa, il business un’altra, e va da
tutt’altra parte. Seguendo rivoli contorti e canali privilegiati fatti di
interessi commerciali e connivenze, silenzi colpevoli e pilatesche lavate di
mano, accordi sopra e sottobanco tra privati e privati, privati e
Istituzioni, Istituzioni e Istituzioni, privati e Istituzioni, Istituzioni e
privati, in un tutt’uno armonico teso verso un identico scopo: il business,
appunto.
E il business per Marinagri è una torta che da anni si dividerebbero in tanti:
dalla Regione Basilicata a Unibas (l’Ateneo del magnifico Tamburro),
pare
fortemente finanziato dall’Istituzione regionale; passando per politici e
magistrati, come il senatore Filippo Bubbico o l’ex colonnello Pietro
Gentili, capo della Polizia Giudiziaria di Potenza, e alti magistrati e
forze dell’ordine lucani che nel progetto pare abbiano investito centinaia di
milioni di lire.
Tutti accusati di aver fatto anche pressioni su alcuni pentiti per
intimorire chi rischiava di ostacolare Marinagri: come
Mario Altieri, ex
sindaco di Scanzano, per esempio, che dichiara al Pm “di essersi opposto
agli atti amministrativi posti in essere dalla Regione Basilicata a favore
del progetto Marinagri” e che - scrive De Magistris - “ricollega tutte le disavventure giudiziarie e
le minacce ricevute dalla criminalità organizzata alla sua posizione sul
progetto Marinagri”.
Dunque gli interessi del gruppo “Marinagri” e in primis del suo patron - tal
Vincenzo Vitale, 67 anni, imprenditore - collidono con le disposizioni del
Pai: che cosa c’è di meglio di una variante per eliminare i vincoli di
inedificabilità?
Detto, fatto. L’AdB - più pomposa della sigla il suo nome
per esteso: “Autorità di Bacino” - presieduta dal senatore Bubbico - corre in soccorso di Marinagri. E
nonostante la variante fosse stata ritenuta illecita dagli inquirenti, pare
non sia mai stata approvata in via definitiva, né mai divulgata a distanza
di tanti anni, il villaggio viene realizzato e beneficia pure di un
finanziamento pubblico di quasi 26 milioni di euro da parte del Cipe
(delibera approvata il 19 dicembre del 2002).
Senza alcuno studio di fattibilità, ma solo recependo - i tecnici dell’AdB e
i loro consulenti, docenti del Difa (Dipartimento di Ingegneria e Fisica
dell’Ambiente) dell’Unibas - lo studio allegato alla richiesta di variante
redatto da Marco Vitale, non omonimo, ma figlio del patron Vincenzo di Marinagri, cioè – giusto per sottolineare
– della parte interessata
all’edificazione del villaggio.
E a proposito di docenti del Difa, sono due gli ordinari che dovrebbero
rispondere a una domanda semplice semplice (quale ve la diciamo dopo): l’ex
prorettore dell’Unibas Rosa Viparelli (di cui ci siamo occupati
lo scorso
aprile
per raccontarvi della mannaia della Corte dei Conti caduta sulla sua testa a
causa del danno erariale che ha provocato all’Ateneo) e l’attuale direttore
del Difa Aurelia Sole: entrambe nel luglio del 2005 avevano supervisionato
uno studio sulle “criticità” riscontrate, tra gli altri, nei rilievi
condotti sul fiume Agri, ed evidenziato “situazioni di rischio non
adeguatamente segnalate nella precedente campagna di rilievi”. Il
documento però non è mai stato divulgato, né dalle due docenti, né dal
Dipartimento e men che meno dall’Ateneo. Perché?
Marinagri - ritornando alla cronaca della vicenda giudiziaria che sta sullo
sfondo del caso Colella - è stato sequestrato due volte in due anni.
Il primo sequestro preventivo, a febbraio del 2007, mette in luce un
“comitato d’affari” molto attivo in Basilicata: diversi “vip” incassano
informazioni di garanzia e decreti di perquisizioni. Tra loro il senatore
Nicola Buccico; i procuratori della Repubblica di Matera e Potenza, Giuseppe Chieco e Giuseppe Galante; il sostituto procuratore della Repubblica di
Potenza Felicia Genovese e il presidente del Tribunale di Matera, Iside
Granese. E il solito Filippo Bubbico, all’epoca presidente della Regione
Basilicata, il cui giudizio di compatibilità ambientale era stato
determinante per la concessione alla Società Marinagri del già citato
finanziamento Cipe di 26 milioni.
A marzo 2007 il Tribunale del Riesame di Catanzaro decide il dissequestro
del complesso, con grande soddisfazione di una certa parte sindacale (nel
cantiere Marinagri S.p.A. lavora oltre mezzo migliaio di dipendenti di una
sessantina di ditte di Basilicata, Puglia e Calabria).
Il 17 aprile scorso
il secondo sequestro preventivo -
eseguito dalla Guardia di Finanza di Catanzaro e
convalidato il successivo
29 aprile -
condito anche di perquisizioni all’abitazione e agli uffici dell’attuale
presidente della Regione Basilicata Vito De Filippo, indagato nell’ambito
dell’inchiesta “Toghe Lucane” per truffa e abuso d’ufficio. A fare compagnia
a De Filippo altre sette persone, accusate di abuso d’ufficio, corruzione,
truffa e falsità ideologica in atti pubblici.
E nell’ambito di questa seconda operazione i finanzieri sequestrano anche i
26 milioni di provenienza Cipe, insieme ai conti correnti bancari intestati
ad alcuni degli indagati (tra questi anche il neo-sindaco di Policoro
Nicolino Lopatriello, che aveva ricoperto l'incarico di primo cittadino
negli anni a cui fa riferimento l'indagine).
Il sequestro viene disposto sulla base dei risultati di una
consulenza
tecnica affidata da De Magistris al geologo Carlo Alberto Vavalà, che -
confermando di fatto le obiezioni avanzate dalla stessa Colella agli
inquirenti sulla liceità della variante del Pai - bolla come “elevato” il
rischio idrogeologico nell’area del fiume Agri e boccia senza appello l’edificazione sulla foce del fiume Agri del
megavillaggio turistico.
Intanto i difensori del patron di Marinagri Vincenzo Vitale incassano, da
parte del Tribunale di Catanzaro,
il rigetto dell’istanza di riesame del
sequestro.
Ma torniamo ad Albina Colella, una vera mina vagante per Marinagri.
Di lei
ci siamo occupati per la prima volta
lo scorso marzo
con un’intervista
che ci ha fatto conoscere direttamente dalla sua voce dieci anni di
malauniversità lucana: dieci anni che l’hanno vista indiscussa protagonista,
oltre che vittima.
Val la pena di riassumere, per chi si fosse persa qualche sfumatura.
Critica sulla gestione ambientale del territorio, libera da condizionamenti
politici ed esperta di ambienti deltizi, nel novembre 2003 Albina Colella
aveva denunciato scientificamente e pubblicamente
i rischi geologici del
sito unico di scorie nucleari di Scanzano Ionico.
Altri quattro docenti dell’Unibas – Marcello Schiattarella, Giuseppe
Spilotro, Mauro Dolce e Vito Copertino – coadiuvati da alti dirigenti della
Regione Basilicata, incaricati di redigere uno studio geologico per
verificare la validità delle argomentazioni dell’Enea (che aveva indicato
nella Basilicata una possibile sede per lo stoccaggio di scorie nucleari),
erano pervenuti ad analoghi risultati, ma avevano preferito non divulgarli.
E anzi il loro studio viene secretato dalla Giunta del Governo regionale
(presidente pro-tempore - lo ricordiamo - Filippo Bubbico).
Un’altra denuncia pubblica sul rischio idrogeologico di Marinagri avrebbe
fatto perdere al villaggio turistico il requisito della cantierabilità e
quindi il finanziamento pubblico.
A marzo del 2002, poco dopo l’entrata in vigore del PAI e la contestuale
richiesta di variante, l’attuale rettore dell’Unibas Antonio Mario Tamburro
- allora preside della Facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali -
denuncia Albina Colella per la gestione del suo progetto europeo Agrifluid
sulle risorse idriche della Val d’Agri. (L' approfondimento sulla nostra intervista
di marzo, n.d.r.).
Chi invia la denuncia alla Procura di Potenza il 20 marzo 2002, lo stesso
giorno in cui (quando si dice l’efficienza…) il rettore dell’epoca Lelj
Garolla di Bard ne riceve comunicazione da Tamburro? Ma sì, proprio
lei, il prorettore ing. Rosa Viparelli del Difa,
consulente dell’Autorità di Bacino sul rischio idraulico del Fiume Agri e
componente con Filippo Bubbico dell’Associazione per le risorse idriche
“Gruppo 183”.
Sempre lei. La Viparelli del danno erariale all’Ateneo (14.688,00 euro), la
stessa che successivamente firma la sospensione facoltativa ad oltranza
della prof. Colella ancora in fase di indagini preliminari.
E di quelle indagini responsabile è l’ex colonnello Pietro Gentili, capo -
come già detto - della Polizia Giudiziaria di Potenza, socio - come già
detto - di Marinagri e capo della sicurezza del villaggio, dopo essersi
congedato dall’Arma a novembre del 2004.
A fine 2003 le indagini sulla prof subiscono una brusca
accelerazione, con frequenti visite degli inquirenti negli Uffici di
Segreteria del Dipartimento di Scienze geologiche, il Dipartimento dove lei
insegna.
L’anno successivo la doccia fredda del sequestro del gommone del Laboratorio
per lo studio delle coste di cui la Colella è responsabile
(l'approfondimento ancora sull'intervista di marzo, n.d.r.) e trenta giorni
di arresti domiciliari.
La prof intanto presenta un’articolata denuncia su quello che ritiene, come
già detto, un
vero e proprio “accanimento” contro la sua persona. E rincara la sua dose di
verità precisando che le accuse per cui è stata rinviata a giudizio sono
fomentate da gente interessata a delegittimarla allo scopo di allontanarla
dall’Ateneo.
Tra le imputazioni a suo carico anche l’acquisto – liquidato, secondo
l’accusa, sui fondi europei del progetto Agrifluid cui non sarebbero stati
attinenti - di un motore marino e un carrello-rimorchio per imbarcazione, e
l’acquisto di miscela per il gommone. In realtà,
il mandato di pagamento
indica che il motore e il carrello, così come le spese di missione
e di miscela, acquistata
per una missione svolta e liquidata – precisa la professoressa Colella -
prima che cominciasse e fosse finanziato il progetto europeo Agrifluid,
erano stati liquidati con
fondi ministeriali Murst 40% riguardanti un
progetto sulle coste: prove a discarico, per Albina Colella, che l’ex
colonnello Gentili forse avrebbe fatto meglio a non ignorare.
Il 18 dicembre 2007 il Consiglio di Stato annulla le due sentenze di
sospensione dal servizio del Tar Basilicata e ordina il reintegro sul posto
di lavoro della prof.. E se per discutere il merito dei ricorsi che avevano
determinato le due sentenze se l’era presa comoda (leggasi anni), stavolta per
l’udienza di merito di quanto deciso dal Consiglio di Stato il Tar Basilicata mette il turbo.
In realtà intorno al caso Colella c’è un rimpallo di sentenze tra Tar e
C.d.S. che vanno per il verso opposto: per il Tribunale amministrativo –
perfettamente allineato al rettore Tamburro - Albina Colella deve restare
fuori dall’Ateneo, per il Consiglio di Stato deve essere reintegrata in
servizio.
E la determinazione del C.d.S. è ancora una volta confermata
davanti all’ultimo ricorso della Colella: il 29 luglio scorso – e questa è
cronaca e non più storia – lo stesso giorno in cui il rettore fa decorrere
per la professoressa
la seconda sospensione cautelativa dal servizio
richiamandosi alla sentenza di merito del 9 luglio con la quale il Tar respinge, more solito, le tesi della Colella,
il Consiglio di
Stato delibera sulla terza sentenza, annullandola.
Mentre prosegue la guerra fredda Colella-Tamburro (sull’intervista di marzo
avevamo invitato la “controparte” della prof a raccontarci la sua verità per
darle analoga evidenza, ma
l’invito fino a questo momento non è stato raccolto, n.d.r.), gli
studenti di Scienze geologiche tremano, temendo la chiusura del
Dipartimento: preoccupazione fondata, visto l’esodo, verso altre strutture
dell’Ateneo, di alcuni suoi docenti, esodo che ha indotto il
Consiglio di Dipartimento a ribadire con fermezza la volontà di tutelare
l’esistenza di Scienze geologiche, come si legge sul
documento ufficiale
prodotto in sede di riunione del Consiglio lo scorso aprile.
Intanto che la professoressa Colella continua a dibattersi nel bailamme di
carte bollate, ricorsi, sentenze favorevoli e contrarie, prese di posizione,
vendette e ritorsioni varie, il quasi ex Pm De Magistris – la notizia è di
pochi giorni fa – ha chiuso l’inchiesta “Toghe Lucane”.
Diversi sono i capi d’accusa presenti nelle oltre cinquecento pagine del
provvedimento di conclusione delle indagini, un provvedimento che riassume
gli esiti di attività contenute in ben cento faldoni con migliaia di
atti processuali: associazione per delinquere, abuso d’ufficio, truffa
aggravata ai danni dello Stato, corruzione, corruzione in atti giudiziari,
rivelazione di segreto d’ufficio, minacce a pubblico ufficiale.
Gli indagati sono trentatre: Vito De Filippo, presidente della Giunta
regionale della Basilicata; Filippo Bubbico, parlamentare, già presidente
della Regione Basilicata; Arnaldo Mariotti, segretario particolare di
Bubbico; Massimo Goti, nel ruolo di direttore generale del Ministero dello
Sviluppo economico; Emilio Nicola Buccico, avvocato, già componente del
Consiglio Superiore della Magistratura e attuale sindaco di Matera; Vincenzo
Tufano, procuratore generale presso la Corte d’Appello di Potenza; Gaetano
Bonomi, sostituto procuratore generale presso la Corte di appello di
Potenza; Felicia Genovese, già sostituto procuratore presso la Dda di
Potenza, ora giudice del Tribunale di Roma; Michele Cannizzaro, marito della
Genovese, già direttore generale dell'Azienda ospedaliera San Carlo di
Potenza; Giuseppe Chieco, procuratore della Repubblica di Matera; Iside
Granese, già presidente del Tribunale di Matera; Vincenzo Barbieri,
magistrato, ex direttore della Direzione Generale Magistrati al Ministero
della Giustizia e attuale procuratore capo di Avezzano; Claudia De Luca,
sostituto procuratore al Tribunale di Potenza; Daniele Cenci, già giudice al
Tribunale di Potenza; Biagio Costanzo, cancelliere al Tribunale di
Lagonegro; Luisa Fasano, ex dirigente della Squadra Mobile di Potenza,
adesso di stanza a Matera; Vincenzo Mauro, ex questore di Potenza, adesso di
stanza a Messina; Massimo Cetola, ex generale dell’Arma dei carabinieri, ora
commissario all’Azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria; Emanuele
Garelli, ex comandante della Regione Carabinieri Basilicata; Nicola Improta,
ex capo di Stato Maggiore della Regione Carabinieri Basilicata; Pietro
Giuseppe Polignano, ex comandante provinciale dei carabinieri di Potenza;
Attilio Caruso, già presidente della Banca Popolare del Materano; Vincenzo e
Marco Vitale, proprietari del villaggio turistico Marinagri di Policoro;
Pietro Gentili, ex colonnello dei carabinieri, già responsabile della
sezione di Pg dei carabinieri di Potenza, oggi consigliere di
amministrazione e attuale addetto alla sicurezza del villaggio Marinagri;
Giuseppe Labriola, ex presidente del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di
Matera; Elisabetta Spitz, dirigente generale dell’Agenzia del Demanio di
Roma; Nicolino Lopatriello, sindaco del comune di Policoro; Nicola
Montesano, presidente pro tempore del Consiglio comunale di Policoro; Felice
Viceconte, dirigente del settore Urbanistica del Comune di Policoro;
Giuseppe Pepe, dirigente dell’Agenzia del demanio di Matera; Michele Vita,
segretario generale dell’Autorità di Bacino regionale della Basilicata; Vito
Santarsiero, sindaco di Potenza.
Non si sono fatte attendere,
naturalmente, le reazioni degli interessati, a partire da quella del
senatore Bubbico, che ha pubblicamente dichiarato: "Finalmente... potrò conoscere nel
dettaglio le accuse che mi vengono mosse... Non ho mai inteso sottrarmi al
giudizio di legalità sul mio operato... ritengo di aver sempre agito a
tutela dell’interesse pubblico. Ora potrò finalmente difendermi e dimostrare
la mia totale estraneità".
In attesa di vedere come andrà a
finire la brutta storia delle "Toghe Lucane" con tutti gli annessi e
connessi, "Ateneo Palermitano" continuerà a seguire da vicino il caso Colella
e a raccontarvelo.
Non sappiamo, alla fine, chi
la spunterà: se il magnifico Tamburro - forte delle sentenze a sfavore della
prof da parte del Tribunale Amministrativo Regionale della Basilicata - o la
professoressa Colella, le cui argomentazioni, per il Consiglio di Stato,
sono perfettamente motivate e condivisibili. (La sensazione, per chi osserva
dall’esterno, è che il braccio di ferro non sia solo accademico, tra due
rappresentanti del mondo universitario, ma anche “politico”, tra due Organi
istituzionali che, più che esprimere due diversi livelli di giudizio, fanno
i capricci e puntano i piedi per averla vinta l’uno sull’altro).
Insomma, la partita a scacchi tra Albina Colella e Antonio Mario Tamburro non si è
ancora conclusa e forse lo scacco matto è ancora lontano.
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