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Di Albina Colella hanno parlato in
tanti. Dell’Ateneo lucano, intorno al quale ruota la sua storia di
malauniversità, pure.
Noi sul caso Colella abbiamo letto documenti ufficiali, articoli di
giornale, repliche, blog su Internet, mail, lettere anonime,
intercettazioni.
Ci siamo fatti un’idea, ma non la diciamo. Lasciamo parlare invece la
protagonista della storia. Per sentire la sua verità. L’altra, quella della
controparte, l’aspettiamo. Per darle identica visibilità.
Si faccia avanti chi è interessato a raccontarcela.
- Professoressa Colella, dieci anni fa le
affidarono la direzione del Centro di Geodinamica dell’Università della
Basilicata. Cominciò allora la guerra con l’Ateneo?
- Poco meno di un anno dopo, quando inspiegabilmente decisero di chiuderlo.
- Che si faceva, al Centro?
- Didattica, prima di tutto. Ma io cominciai ad avviare anche rapporti
col territorio per problemi concernenti le Scienze della Terra: la
Basilicata è una regione a forte vocazione geologica.
- A forte vocazione geologica e anche molto ricca, a quanto
pare. Perché la Basilicata è chiamata la “Svizzera del Sud”?
- Perché, pur essendo una regione con circa 570 mila abitanti, riceve
finanziamenti europei per milioni e milioni di euro finalizzati a
rilanciarne l’attività socio-economica in quanto regione sottosviluppata.
L’altra fonte di denaro deriva dal petrolio: la Basilicata, infatti,
beneficia delle royalties del petrolio estratto in Val d’Agri: centinaia e
centinaia di milioni di euro gestiti dalla Regione e di cui trae vantaggio,
attraverso finanziamenti sostenuti, anche l’Università.
- Nonostante tutta questa pioggia di milioni, però, il territorio rimane
un territorio povero.
- Ci sono delle stranezze, infatti. La Basilicata risulta la terza
regione più povera d’Italia e c’è un forte esodo degli studenti: circa il
70%.
- Torniamo al Centro. E’ vero che qualcuno a un certo punto lo definì “struttura
istituzionalmente anomala”?
- E’ vero. Fu l’allora rettore Gianfranco Boari a definirlo così,
forse perché non era un Dipartimento.
- Quindi doveva diventarlo: per questo è stato chiuso?
- No, è stato chiuso e basta. E la cosa singolare è che, dopo averlo
chiuso, hanno lasciato me e il mio gruppo geologico senza struttura per
dieci mesi in una situazione ben più anomala.
- Un’attesa lunga, ma alla fine, nato il Dipartimento di Scienze
Geologiche, affidarono a lei la direzione...
- Non me l’affidarono, io venni eletta dai componenti del Dipartimento.
E il Dipartimento non nacque senza ostacoli. Alla proposta di istituzione si
oppose all’unanimità la Facoltà di Ingegneria e tutti i Dipartimenti ingegneristici, tra cui il Dipartimento di Strutture, Geotecnica e Geologia
Applicata all’Ingegneria ora diretto dall’ingegnere geotecnico Caterina Di
Maio. Anche l’attuale rettore, il chimico Antonio Tamburro, allora preside
della Facoltà di Scienze, fece un duro ostruzionismo.
- Qual era la necessità di dar vita a un Dipartimento di Scienze
Geologiche quando esisteva già nell’Ateneo un altro Dipartimento che si
occupava di Scienze della Terra?
- Il Dipartimento di Strutture, Geotecnica e Geologia Applicata
all’Ingegneria non aveva le stesse competenze del mio Dipartimento. Era un
Dipartimento ingegneristico che si occupava anche di Geologia. Pure i
settori disciplinari erano diversi.
- Ma al di là
della forma, la sostanza era la stessa. Quindi il suo Dipartimento, in un
certo senso, si sovrappose all’altro.
- No, la sostanza non era la stessa, visto che le Scienze della Terra non si
identificano solo con la Geologia applicata all’Ingegneria. Comunque a suo
tempo tra le nostre intenzioni c’era anche quella di afferire in gruppo a
quel Dipartimento, ma non fu possibile: in via informale riuscimmo a sapere
che non era considerata una soluzione praticabile.
Una volta istituito, il Dipartimento di Scienze Geologiche fu ridotto a un
contenitore semivuoto: il rettore dell’epoca, il chimico Francesco Lelj
Garolla di Bard, non concesse il personale tecnico necessario per il
funzionamento dei tredici laboratori didattico-scientifici, che in parte
rimasero inutilizzati, e non dotò il Dipartimento di un segretario
amministrativo di ruolo: si susseguirono ben sei segretari ad interim in
quattro anni. Ciò non ci mise nelle condizioni di operare bene a fronte
delle continue visite dei revisori dei conti.
- Oggi il
Dipartimento è diretto dal prof. Luigi Coppola. Perché le tolsero quella
direzione?
- Questo accadde a seguito della vicenda giudiziaria che mi ha coinvolta e
che ha avuto inizio nel 2002, con una denuncia che il preside della Facoltà
di Scienze dell’epoca Antonio Tamburro inoltrò sul mio conto il 20 marzo di
quell’anno al rettore Lelj Garolla.
- Che cosa le
contestavano?
- A mio carico c’erano presunte irregolarità gestionali in merito al mio
progetto europeo Pop-Agrifluid, uno dei ventidue progetti di ricerca per
10,5 milioni di euro complessivi che l’Unione Europea attraverso la Regione
Basilicata dal 1994 al 1999 aveva finanziato all’Ateneo: un progetto molto
ambizioso da 630 mila euro sulle risorse idriche e sul monitoraggio
ambientale della valle del petrolio, la Val d’Agri, che era riuscito a non
fare danni all’erario, completando la rendicontazione contabile entro la
tassativa scadenza europea. Ciò che invece non riuscì ad altri dei ventidue,
che persero il cofinanziamento europeo - corrispondente al 60% del totale –
con grave danno non solo all'erario, ma anche allo stesso Ateneo lucano, a
causa del mancato tempestivo rientro degli anticipi concessi per l’avvio dei
progetti. Ancora nel 2004, cioè tre anni dopo la scadenza del programma
europeo POP, nelle casse dell’Ateneo c’era un ammanco di quasi due milioni
di euro e ciò fu più avvertito perché in quel periodo quelle casse
erano vuote. Tant’è che all’inizio del 2005 l’Ateneo finì in esercizio
provvisorio. Per risanare la situazione furono usati e non più restituiti
592 mila euro dell’alta formazione degli studenti di Scienze Geologiche, che
in questo modo sono stati privati di un’importante opportunità didattica. Ma
su tutto ciò è sceso il silenzio istituzionale.
- Quali furono esattamente i
capi d’accusa?
- Truffa, concussione e peculato. Su consiglio del mio legale io ritenni
opportuno avvalermi della facoltà di non rispondere: all'epoca non capivo
bene che cosa stesse accadendo.
- Lei però non ci risulta che se ne sia stata ferma e zitta a subire.
- No, naturalmente. Presentai una denuncia su tutta la partita dei progetti
e poi querelai Tamburro per diffamazione. D’altra parte era stata la stessa
Commissione Europea a censurare la mancata osservanza delle scadenze: alcuni
progetti, ripeto, non sono stati chiusi né nei tempi - 2001 - né nei modi
previsti, ovvero dopo il collaudo e la rendicontazione. Tra i progetti non
ancora collaudati a fine 2006 c’era pure quello da 760 mila euro del prof.
Tamburro.
Su questa faccenda della gestione dei progetti europei lo stesso ministro
Mussi, in risposta a un’interrogazione parlamentare, ha chiesto chiarimenti
al rettore.
- Quanti sono stati i progetti che non hanno rispettato le regole, sui
ventidue finanziati?
- Questa è una bella domanda, che è stata posta diverse volte in diverse
contesti, alla Regione Basilicata, al Parlamento Italiano, alla Commissione
Europea. Ma su quest’argomento le cose non sono ancora chiare.
- Nel 2006 lei è andata di nuovo al contrattacco…
- Sì, ho presentato una denuncia alla Procura della Repubblica e alla Corte
dei Conti, e a tutt’oggi risultano indagati l’ex rettore Lelj Garolla e l’ex
Consiglio di Amministrazione dell’Ateneo, ma in Italia, si sa, le denunce
giacciono, sempre in fase di accertamento e raramente in fase di chiusura.
- I tempi all'Università, invece, nel suo caso, sono stati rapidi: la
denuncia del prof. Tamburro non si è fermata a lungo sul tavolo del rettore.
- Infatti. Tramite il prorettore Rosa Viparelli fu subito inviata - insieme
ai rilievi dei revisori dei conti - alla Procura e alla Corte dei Conti.
Senza alcun chiarimento preventivo da parte mia e senza attendere le mie
controdeduzioni, com’è prassi tra rettore, preside e direttore, e come
normalmente avviene in tutte le Amministrazioni.
- Professoressa Colella, lei è molto critica in materia di gestione
ambientale del territorio lucano: perché?
- Per delle scelte impossibili da condividere. Se avessi potuto continuare a
svolgere il mio lavoro al Dipartimento, per esempio, avrei affrontato
scientificamente e pubblicamente anche la questione del fiume Agri, nel cui
alveo di piena e alla cui foce è stato ubicato il villaggio cementificato
Marinagri, un complesso costruito grazie a un giudizio di compatibilità
ambientale della Regione Basilicata e a pareri e ad atti amministrativi
molto discutibili. Marinagri è al centro dell’inchiesta “Toghe Lucane” del
Pm Luigi De Magistris.
- Leggere sulla stampa dell’Ateneo lucano significa leggere non soltanto
di irregolarità nella gestione dei fondi provenienti dall’Unione Europea, ma
anche di sperperi e sprechi di finanziamenti post-terremoto: può farci lei
qualche esempio?
- Le serre di Macchia Romana, per esempio, com’è stato riferito anche dalla
trasmissione televisiva "Striscia la Notizia" e dai giornali locali ("La Nuova Basilicata", n.d.r.). Con
i soldi del dopo-terremoto sono state costruite, all’interno del nuovo polo
di Macchia Romana, circa venti serre, a supporto dell’attività didattica
della Facoltà di Agraria. Nessuno ha pensato che, dopo, si sarebbe anche
dovuto provvedere alla loro manutenzione. E le hanno lasciate inutilizzate.
- E’ vero che nell’Università della Basilicata ci sono due forze
contrapposte, quella dei chimici e ingegneri e quella dei geologi? E se è
vero, in che modo, secondo lei, questo “schieramento” può condizionare le
scelte politiche e organizzative dell’Ateneo?
- Le contrapposizioni sono sia all’interno della Facoltà di Scienze, sia
all’esterno. All’interno sono legate a un’anomalia di base: in quella
Facoltà gran parte dei corsi con più studenti sono quelli che hanno meno
risorse. Questo è stato possibile grazie a certe discutibili logiche
accademiche e alla mancanza di regole chiare. All’esterno sono legate al
settore geoambientale, che in Basilicata, la regione dell’oro nero e
dell’oro blu, muove molti interessi a livello politico ed economico.
- Nel novembre del 2003 lei partecipò ad alcune trasmissioni televisive:
nell’Ateneo non glielo perdonarono. Ci dice perché li fece arrabbiare?
- Alla televisione parlai del sito unico nazionale di scorie nucleari di
Scanzano Jonico, di cui scientificamente denunciavo l’inadeguatezza. In
quelle trasmissioni dimostrai di essere una persona libera.
- Che c’entrava l’Ateneo col sito di Scanzano?
- Nell’Ateneo ci sono dei docenti che sono anche consulenti della Regione
Basilicata.
- … e che su Scanzano la pensavano diversamente?
- No, non la pensavano diversamente, ma al momento della grande reazione
popolare non ritennero di rendere pubbliche le loro riserve.
- Parliamo del gommone del Laboratorio di Geologia Marina di cui lei era
responsabile.
- Dopo quei miei interventi televisivi e in concomitanza con l’arrivo di 25
milioni di euro di fondi pubblici per la difesa del suolo e dell’erosione
costiera metapontina su cui insiste il villaggio di Marinagri di cui ho già
detto, e con l’attribuzione delle relative consulenze a docenti
universitari, le indagini a mio carico subirono un’accelerazione e si
concentrarono su quel gommone, che venne sequestrato. Ciò di fatto mise
fuori uso il Laboratorio, preposto allo studio delle coste.
- Insomma, che ci faceva lei con quel gommone e di chi era?
- L'avevo acquistato per lo studio delle coste coi miei fondi di ricerca
ex 40%, ottenuti quando insegnavo all’Università di Catania. Si trattava di
un vecchio gommone da lavoro che richiedeva una continua manutenzione che
l’Università della Basilicata non poteva garantire. Per questo è stato
allocato in un deposito dove una persona competente se ne prendeva cura
gratuitamente. Per quel gommone sono stata rinviata a giudizio. Responsabile
delle indagini era il colonnello dei carabinieri Pietro Gentili, poi
dimessosi dall’Arma e diventato il responsabile della sicurezza del
villaggio Marinagri. Oggi Gentili è indagato per truffa, insieme al
sottosegretario diessino del secondo Governo Prodi ed ex presidente della
Regione Basilicata Filippo Bubbico, a magistrati e ad avvocati, nell’ambito
dell’inchiesta “Toghe Lucane” che come ho detto prima ha coinvolto Marinagri,
dal Pm Luigi De Magistris, il quale ha ipotizzato l’esistenza di un vero e
proprio “comitato d’affari” che strozza la Basilicata e che ha giudicato la
mia vicenda giudiziaria "una ritorsione".
- Per la storia del gommone fu sospesa dal servizio, nonostante il parere
contrario del Cun: è così?
- Sì, è così: dopo il sequestro del gommone fu montato il caso giudiziario.
L’8 novembre 2004 chiesi al rettore Lelj Garolla di farmi tornare in
servizio con un atto extragiudiziale di invito e costituzione in mora, ma
per tutta risposta il prorettore Viparelli, ancora in fase di indagini
preliminari, avviò nei miei confronti un procedimento disciplinare con
sospensione dal 18 ottobre 2004, quindi con decorrenza retroattiva. Le
motivazioni erano tre: la necessità di garantire il buon andamento
dell’Amministrazione, il clamore della stampa e l’offesa all’immagine
dell’Università.
Lo stesso trattamento non hanno subìto altri docenti dell’Ateneo, condannati
in primo grado o plurindagati. Il Cun sospese il procedimento disciplinare
che accompagnava la mia sospensione, la quale però fu mantenuta.
- Che cosa accadde dopo la sospensione?
- Furono subito avviate le procedure per la chiusura del Dipartimento di
Scienze Geologiche, come risulta da alcune intercettazioni telefoniche fatte
dalla polizia. Nel frattempo la direzione del Dipartimento venne affidata a
un virologo, Pasquale Piazzola. Siamo già a ottobre del 2004.
- Che ci faceva un virologo a Scienze Geologiche?
- Era un docente di fiducia del professor Tamburro.
- Continui il racconto.
- Il 25 marzo del 2005 il Tar Basilicata respinse la mia prima richiesta di
sospensiva non ritenendo ci fosse il “fumus boni juris” e perché, a suo
parere, il provvedimento di sospensione era formalmente ben motivato. Una
settimana dopo la Corte di Disciplina del Cun sospese il provvedimento
disciplinare che accompagnava la mia sospensione, ma il rettore Lelj Garolla
non mi richiamò in servizio.
Il 13 febbraio dell’anno successivo rinnovai la richiesta di riammissione,
che mi venne rigettata in attesa del pronunciamento di merito del Tar.
Nel marzo dell’anno scorso inviai al nuovo rettore Tamburro una diffida per
revocare la sospensione, ma la mia richiesta venne ancora una volta
rigettata, stavolta dal nuovo prorettore, l’ingegnere Vito Copertino, con la
stessa motivazione dell’attesa del pronunciamento di merito del Tar.
Inoltrai un secondo ricorso al Tar: la richiesta venne ancora rigettata.
- Lei intanto dove se ne stava?
- A casa, con lo stipendio dimezzato.
- A fine anno però le venne incontro il Consiglio di Stato…
- … che annullò le due ordinanze del Tar, ritenendo prevalente il mio
interesse alla reintegrazione in servizio. Era il 18 dicembre del 2007.
- Ma la professoressa Colella non tornò in servizio...
- No. Il rettore Tamburro non eseguì l’ordinanza dicendo che non era chiara
e chiese un parere all’Avvocatura dello Stato.
- Che rispose dando ragione a lei.
- Sì e il rettore lo scorso 11 marzo mi ha finalmente inviato il telegramma
di riammissione.
- Sappiamo che gli studenti del Dipartimento l’hanno sostenuta in questa
battaglia: contenta?
- Molto. Gli studenti sono scesi sul piede di guerra perché in questi
giorni, in coincidenza con la mia riammissione in servizio, si è tornato a
parlare di chiudere il Dipartimento di Scienze Geologiche.
- In che modo?
- Ridimensionandolo fino a completa chiusura. Già qualche docente ha fatto
richiesta di afferire al Dipartimento di Chimica: questo è legittimo, ma
molto strano.
- Che farà adesso lei? Tornerà a dirigere il suo Dipartimento al posto di
Coppola, intanto che c’è?
- No, anche perché il mio mandato è scaduto.
- Che cosa c’è nella sua scaletta per il primo giorno di servizio?
- Cercherò di riappropriarmi del mio studio di docente che mi era stato
tolto e che era stato svuotato del mio materiale di lavoro, senza informarmi
preventivamente per consentirmi di provvedervi personalmente, nel rispetto
della mia privacy.
- Secondo lei, la riammissione in servizio apre nuovi scenari?
- Non so ancora, aspettiamo il 3 aprile.
- Che cosa accadrà il 3 aprile?
- Il Tar Basilicata ha fissato per quella data l’udienza di merito di quanto
deciso dal Consiglio di Stato senza però fissare le udienze di merito dei
due ricorsi precedenti vecchi fino a tre anni, nonostante i miei formali
solleciti.
- Se le daranno ragione non cambierà niente, tanto sarà già in
servizio, ma se le daranno torto?
- Mi sospenderanno di nuovo...
- Secondo lei, come finirà il caso Colella?
- Vorrei tanto saperlo anch'io.
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