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A Berlino
i muri cadono, a Palermo i muri si innalzano. Questioni politiche? Di più.
Questioni di “sopravvivenza”.
Quattro mesi fa al Dipartimento di Scienze stomatologiche dell’Università di
Palermo c’erano due porte e una stanza, quella dove convivevano i due
protagonisti della storia. Ora, le porte sono sempre due, ma anche le
stanze, “opportunamente” divise da una parete in plexiglass: da un lato ci
lavora Giuseppe Alessandro Scardina, il ricorrente, ennesima “vittima” di un
concorso universitario in perfetto stile nazionale, che nel frattempo ha ottenuto un assegno
biennale di ricerca; dall’altro Chiara Di Liberto, la candidata vincitrice,
cioè ex vincitrice, ovvero vincitrice fino a prova contraria – nella
fattispecie una sentenza di annullamento del Tar - che non ha mai smesso di
lavorare in quel Dipartimento, a fianco del direttore (ora ex) Matteo
D’Angelo, il quale, all’epoca del concorso, oltre a essere direttore del
Dipartimento, era anche presidente del corso di laurea (lo è ancora),
presidente nazionale del Collegio dei docenti di Odontoiatria (lo è ancora)
e - soprattutto - presidente della Commissione del concorso vinto dalla sua
più stretta collaboratrice (non lo sarà mai più, per via della sentenza di
quel birboncello del Tar Sicilia, che ha annullato la selezione e imposto
all’Ateneo di rifare tutte le procedure, nomina di una nuova Commissione
compresa).
Regolare, secondo la legge. Ma in un Paese serio, in casi come
questo, si parlerebbe di incompatibilità, come minimo. In Italia non solo
non si parla di incompatibilità, ma nessuno (della Commissione esaminatrice)
ci trova da ridire se la candidata (poi vincitrice e poi ex vincitrice)
presenta un elenco di titoli di pubblicazioni scritte a più mani, due delle
quali quasi sempre del suo Prof (il D’Angelo, naturalmente). In un tutt’uno
armonico, talmente armonico che non si capisce dove finisce l’apporto
scientifico dei Prof (del Prof) e dove comincia il suo sforzo intellettuale
di aspirante ricercatrice dell’Università di Palermo.
Una storia, quella che stiamo per raccontarvi, che comincia male, procede
malissimo e che probabilmente (coi dovuti scongiuri) si concluderà anche
peggio, nonostante (l’apparente) vittoria della vittima (poi vi diciamo
perché).
Ma cominciamo dall’inizio.
Il 28 aprile 2005 il rettore Giuseppe Silvestri indice una
procedura di
valutazione comparativa - in parole povere bandisce un concorso – per la copertura di n. 63 posti di
ricercatore nelle diverse Facoltà dell’Ateneo e per diversi settori
scientifico-disciplinari. Alla Facoltà di Medicina e Chirurgia, per il
settore Med/28 – quello di Scardina e della Di Liberto – assegna un posto e
– per la prima volta nella storia del Med/28 all’Università di Palermo, che
appena sei mesi prima per un analogo concorso, dello stesso settore, l’aveva
pensata all’opposto - limita (nella fattispecie a 10), pena l’esclusione!,
il numero di pubblicazioni valevoli ai fini della valutazione comparativa
(non il numero complessivo dei lavori realizzati nel corso dell’intera
attività scientifica, che i candidati – se ne fossero stati in possesso –
avrebbero potuto elencare a parte, per una più “adeguata valutazione”): non
solo limita, ma - contrariamente a quanto stabilisce la legge che consente
la limitazione, però solo in presenza di motivazioni precise - non
giustifica.
Una prassi singolare, questa della limitazione delle pubblicazioni, che ora
c’è, ora non c’è, e qualche volta, quando c’è, come in questo caso, non è nemmeno motivata come
vorrebbe la legge. E che soprattutto costituisce un
inutile, e anzi deleterio e ridicolo livellamento forzato di tutti i
candidati ai nastri di partenza. Difficile comprenderne la “ratio” (solo
quella di superficie, però): che ragione c’è, infatti, di livellare in
partenza i candidati, se un concorso si fa proprio per stabilire chi è il
più bravo? E se c’è un candidato con 9 pubblicazioni e un altro con 32 (i
numeri, come vedrete dopo, non sono casuali), che ragione c’è di obbligarli
a presentarne, con o senza motivazione, solo 10?
L’epoca dell’omologazione a tutti i costi, tanto cara ai sindacati di oggi,
come quella dei benefici a pioggia per non scontentare nessuno (persone o
strutture, è lo stesso), è finita: ora conta la produttività, il lavoro a
progetto, l’effettiva resa. Imporre un tetto massimo alle pubblicazioni da
presentare ai concorsi è vergognoso, tutto qui (e perché allora non stabilirne anche uno minimo?). E serve solo a favorire (guarda caso), con
il solito sistema del concorso-fotocopia, candidati meno produttivi che, senza quell’escamotage, col piffero che vincerebbero.
Vero è che non è dal numero che si vede la qualità… ma allora, se, per
esempio, tre pubblicazioni possono essere più importanti di dieci,
cinquanta, cento pubblicazioni, perché, nel caso in questione (volendo
sindacare l’insindacabilità dei giudizi dei commissari in sede di
concorso), le tre di Scardina – le sole ritenute valide dalla Commissione
esaminatrice - sono state giudicate di minore valore rispetto alle nove
della Di Liberto, pur avendo – le tre di Scardina - oggettiva e attestata
rilevanza scientifica internazionale? E che autorità può avere il giudizio
di un presidente di Commissione che tra le pubblicazioni da esaminare
ritrova pure le sue?
Ma chiudiamo la parentesi e non anticipiamo oltre… Torniamo alla storia.
Il bando rettorale viene pubblicato sulla base di una delibera del Consiglio
di Facoltà, come effettivamente previsto dallo Statuto dell’Ateneo (art. 17,
comma 3, lettera c.) , ma senza il parere preventivo, previsto sempre dallo
stesso articolo dello Statuto,
da parte del Consiglio di Dipartimento, Organo che peraltro – per il fatto
di conoscere più direttamente le esigenze della struttura – a nostro avviso,
dovrebbe essere l’unico deputato a richiedere posti ed eventuale inserimento
di clausole come quella della limitazione del numero di pubblicazioni valide
ai fini del concorso (ma lo Statuto dell’Ateneo è evanescente su questo
delicato passaggio).
La nomina della Commissione evidenzia la solita, affermata prassi: la
concentrazione di voti, per quanto riguarda i membri nominati per elezione,
solo su due docenti: i predestinati, secondo concorsopoli, a far parte del
pool di esaminatori, quelli che affiancheranno l’unico membro designato.
Anche nel caso-Scardina la concentrazione di voti sui membri eletti fa a pugni
- pure visivamente, come si può facilmente verificare cliccando
qui - con l’unico voto ciascuno di tutti gli altri,
presenti pro-forma, sempre secondo concorsopoli.
Ed è questa evenienza - teoricamente rara, nei fatti regolare – che è stata
definita, con una sola efficacissima immagine, “a cassettone-moquette” dal
professore Quirino Paris, l’economista agrario italiano che vive in
California e che per primo ha parlato di concorsi truccati, commissioni
pilotate, “santini” e “mafie” accademiche e dimostrato scientificamente, in
uno studio statistico-matematico,
che i professori universitari in materia di concorsi imbrogliano.
Scardina sceglie, della sua cospicua produzione scientifica, le ultime dieci pubblicazioni, ritenendo congruo un giudizio della
Commissione eventualmente basato anche sul valore degli elementi innovativi
dei lavori più recenti rispetto ai più datati. E le presenta, insieme
all’elenco complessivo della sua produzione scientifica: 32 pubblicazioni
(più 9 “posters”, comunicazioni ai convegni, che però, in quanto tali,
passano in secondo piano: in tutto 41), in 25 dei quali figura come primo
autore (in una – la n. 29 dell’elenco – è l’unico).
Anche la Di Liberto, naturalmente, la vincitrice fino a prova contraria -
come Scardina e come tutti gli altri candidati che hanno presentato domanda
(in tutto sei, ma tre si perdono per strada e agli orali ne arriva la metà)
- invia alla Commissione la sua produzione scientifica. Ligia alla clausola
stabilita dal bando, presenta anche lei massimo 10 pubblicazioni (per la
precisione ne presenta 9 più un “poster”, poi scartato dai commissari), ma,
contrariamente a Scardina, non deve spremersi le meningi per il criterio di
selezione da adottare per la scelta: le presenta tutte (leggasi tutte quelle
che ha al momento del concorso: nove più la “spintarella” del poster.
Le prove scritte scorrono secondo copione.
Alla prova orale per Scardina c’è
un colpo di scena. Prima di cominciare l’esame (quando si dice la
tempestività), la Commissione lo informa che delle dieci pubblicazioni solo
tre sono valide: tutte le altre – dicono - sono bozze di stampa o articoli
accettati per la successiva pubblicazione, compresa
quella
–
nell’elenco del candidato al posto 22 - presente anche su PubMed, il sito
che raccoglie notizia di tutte le pubblicazioni scientifiche a stampa
dell’ambito medico, con tanto di abstract, annotazioni delle pagine occupate
dagli articoli all'interno dei volumi, anni di pubblicazione e ammennicoli
vari di carattere bibliografico che dimostrano - a chi ha occhi per leggere
e cervello per pensare - l'esistenza, senza dubbio alcuno, del formato
cartaceo tradizionale.
Ben altro trattamento per la candidata-vincitrice-ex-vincitrice Di Liberto,
che si vede convalidate nove pubblicazioni su dieci (tutte, dunque),
nonostante lo stesso bando stabilisse che i lavori redatti a più mani (anche quelli scritti coi propri Prof che poi -
per una strana e fortunata coincidenza - si ritrovano presidenti nelle Commissioni dei propri
concorsi, n.d.r.) "possono essere considerati come titoli utili solo ove sia
possibile scindere ed individuare l’apporto dei singoli autori…”.
Scardina perde (secondo copione?) perché, come si legge sulla
relazione
finale della Commissione,
“l’esiguità dei lavori scientifici prodotti non consente di definire appieno
la personalità scientifica del Candidato…”. (Ma il candidato, non ne aveva
prodotte dieci, di pubblicazioni? E non aveva prodotto anche un elenco di
trentadue pubblicazioni per permettere, come dice pure il bando, un’
“adeguata valutazione”? E trentadue pubblicazioni non avrebbero
tranquillamente potuto “definire appieno la personalità scientifica” del
loro autore? Non sarebbe stato più realistico allora, da parte della
Commissione, scrivere: “l’esiguità dei lavori scientifici ottenuta dopo
l’abbattimento drastico che noi abbiamo effettuato – tre pubblicazioni
validate su dieci presentate - non consente di definire appieno la
personalità scientifica del Candidato, considerato che abbiamo deciso
unanimemente di ignorare tutto il resto della sua produzione”?).
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