diretto da Francesca Patanè

settembre-ottobre 2009 numero 90/91

 Tamburro fino in fondo

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di Francesca Patanè


Non lo faccio perché non ci sei più, e nemmeno perché all’improvviso mi appari corretto. Lo faccio per dimostrarti – e pazienza se non potrai più leggere – che non ho mai scritto “contro” di te per partito preso: ho scritto contro il tuo operato per molti versi fortemente discutibile e ai limiti dell’arroganza e della prepotenza, quella che accomuna in ogni Università italiana tutti i baroni. Per dimostrartelo, caro Antonio Mario Tamburro, che in vita fosti rettore dell’Unibas, ti dedico quest’editoriale.).

A un certo punto dell’esistenza si deve rendere conto del proprio operato. A chi non importa, dipende dalla convinzioni personali: a Dio, al fato, a se stessi.
Tu lo sapevi, non potevi non saperlo – d’altra parte nessuno ha mai messo in dubbio la tua intelligenza – così come sapevi, anzi, avresti dovuto sapere, che nessuno può sfuggire al proprio destino. Il tuo si è compiuto a sorpresa ed è stato talmente repentino – nonostante il tipo di malattia, che al di là di ridicoli ottimismi non lascia mai spazio a illusioni – da averci stupito tutti (specie gli stessi responsabili del sito ufficiale dell’Ateneo che ancora il 7 luglio, nonostante la tua scomparsa della fine del mese di giugno, ti dava ancora rettore dell’Ateneo).

Tamburro fino in fondo, insomma, Tamburro plateale – la tua foto con maschera che abbiamo pubblicato sul numero scorso ne è la prova tangibile – Tamburro che nel bene e nel male con le tue scelte volevi sempre essere al centro della scena. Come nelle tue ostinate battaglie contro Albina Colella, la docente dell’Unibas che avevi preso di mira chi lo sa davvero perché, e che per anni con atteggiamento vessatorio hai ostacolato in ogni modo possibile che la tua autorità ti ha consentito; o come nella tua ultima scelta di continuare l’attività di docente oltre l’età pensionabile con il biennio consentito dalla legge–“anti-bacucchi”, come l’abbiamo definita noi su questo giornale (certe necessità di sintesi ci rendono un po’ cinici ed è questo uno degli aspetti più fastidiosi del nostro mestiere).
Io però un certo disagio nei tuoi confronti lo provo. E per un motivo ben preciso, i due ultimi titoli che ho scelto scrivendo del caso-Colella: “ORA BASTA, TAMBURRO!” e “Tamburriata nera”.

Due scelte infelici, alla luce di quanto è accaduto, una coincidenza, naturalmente, ma che certamente benissimo non mi fa stare.
Il destino, qualche volta, per alcuni può essere crudele, per altri beffardo.






 


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