Non lo faccio perché non ci sei più, e nemmeno perché all’improvviso mi
appari corretto. Lo faccio per dimostrarti – e pazienza se non potrai più
leggere – che non ho mai scritto “contro” di te per partito preso: ho scritto
contro il tuo operato per molti versi fortemente discutibile e ai limiti
dell’arroganza e della prepotenza, quella che accomuna in ogni Università
italiana tutti i baroni. Per dimostrartelo, caro Antonio Mario Tamburro, che in
vita fosti rettore dell’Unibas, ti dedico quest’editoriale.).
A un certo punto dell’esistenza si deve rendere conto del proprio operato. A chi
non importa, dipende dalla convinzioni personali: a Dio, al fato, a se stessi.
Tu lo sapevi, non potevi non saperlo – d’altra parte nessuno ha mai messo in
dubbio la tua intelligenza – così come sapevi, anzi, avresti dovuto sapere, che
nessuno può sfuggire al proprio destino. Il tuo si è compiuto a sorpresa ed è
stato talmente repentino – nonostante il tipo di malattia, che al di là di
ridicoli ottimismi non lascia mai spazio a illusioni – da averci stupito tutti
(specie gli stessi responsabili del sito ufficiale dell’Ateneo che ancora il 7
luglio, nonostante la tua scomparsa della fine del mese di giugno, ti dava
ancora rettore dell’Ateneo).
Tamburro fino in fondo, insomma, Tamburro plateale – la tua foto con maschera
che abbiamo pubblicato sul numero scorso ne è la prova tangibile – Tamburro che
nel bene e nel male con le tue scelte volevi sempre essere al centro della
scena. Come nelle tue ostinate battaglie contro Albina Colella, la docente dell’Unibas
che avevi preso di mira chi lo sa davvero perché, e che per anni con
atteggiamento vessatorio hai ostacolato in ogni modo possibile che la tua
autorità ti ha consentito; o come nella tua ultima scelta di continuare
l’attività di docente oltre l’età pensionabile con il biennio consentito dalla
legge–“anti-bacucchi”, come l’abbiamo definita noi su questo giornale (certe
necessità di sintesi ci rendono un po’ cinici ed è questo uno degli aspetti più
fastidiosi del nostro mestiere).
Io però un certo disagio nei tuoi confronti lo provo. E per un motivo ben
preciso, i due ultimi titoli che ho scelto scrivendo del caso-Colella:
“ORA
BASTA, TAMBURRO!”
e “Tamburriata nera”.
Due scelte infelici, alla luce di quanto è accaduto, una coincidenza,
naturalmente, ma che certamente benissimo non mi fa stare.
Il destino, qualche volta, per alcuni può essere crudele, per altri beffardo.
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