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Che qualcosa bolliva nella pentola
dell’Università di Catania l’avevamo capito
già ai tempi della lettera aperta a “la Repubblica” del prof. Isidoro Di
Carlo, anche se qualche docente dell’entourage del rettore Antonino Recca ha
cercato di convincerci del contrario. Ora però è ufficiale: in realtà la
classifica di produttività dei docenti dell’Ateneo esiste davvero (con buona
pace di chi aveva tentato di secretare la notizia) e condiziona pure la
destinazione dei fondi.
Il motivo di questi maldestri tentativi di secretazioni? Non è difficile
capirlo: cercare di salvare la faccia pubblica ai baroni fannulloni, cioè a
tutti quei professoroni dell’Ateneo che per anni si sono adagiati sugli
allori non producendo più nulla, troppo presi dall’esercizio del potere per
poter pensare alla produttività al fine di implementare il loro curriculum e
di dare un contributo concreto alla ricerca. Docenti spesso con zero titoli
che finora hanno ritenuto automatica l’assegnazione di fondi solo per il
nome che portavano: chi avrebbe osato discutere davanti a certe dinastie ben
note dentro e fuori l’Ateneo? Ebbene sì, qualcuno ha osato. E questo
qualcuno ha la chioma fulva e i modi spicci del rettore, che proprio
riferendosi alla qualità delle ricerca di tutti quei blasonati docenti ad
Antonio Rossitto di “Panorama” che gli ha chiesto notizie su quello che
hanno prodotto ha sinteticamente risposto: “L’acqua calda”. Ed è stato fin
troppo gentile nei loro confronti perché l’acqua calda prevede un sistema di
riscaldamento che sicuramente quei docenti usano (ma per lavarsi le
coscienze ci vorrebbe ben altro), ma di cui probabilmente non conoscono
nemmeno l’esatta tecnica di produzione, a meno di non essere esperti del
settore. Così hanno collezionato, su quella famosa “graduatoria di merito”
di cui parlava Di Carlo, una sfilza di punteggi bassi che li hanno fatti
classificare come “non operativi”.
Un disdoro per l’Ateneo, ma soprattutto
per ciascuno di loro, specie per quelli dell’area sanitaria – alla faccia
della sensibilità nei confronti della ricerca medica – 110 dei quali, su
402, secondo il Catalogo d’Ateneo non hanno scritto nulla che meritasse di
essere citato su riviste scientifiche internazionali. E c’è addirittura pure
qualcuno di loro (come Santa Salvo, ordinario di Igiene Generale, come scrive Rossitto)
che considera l’invio delle pubblicazioni a queste riviste “una smania").
Come se lo scopo non fosse di mettere a conoscenza la comunità scientifica
dei contributi più innovativi, ma di accarezzare il proprio ego di docente.
Motivazione che potrebbe pure esserci, nessuno lo nega, ma in questi casi
non serve andare troppo per il sottile.
Dunque il combattivo rettore, sulla soglia dei sessant’anni e al suo secondo
mandato, prima ha costretto i suoi docenti a uscire allo scoperto
obbligandoli a inserire le loro pubblicazioni sul Catalogo d’Ateneo, poi ha
esaminato i dati e dopo ha tirato le somme. Risultato? Assegnazione dei
fondi solo ai più produttivi. “Prima non esisteva alcuno strumento di
valutazione – ha spiegato a Rossitto – ora, oltre alla qualità del progetto,
pesano anche le pubblicazioni. La graduatoria è un fatto innovativo su cui
continueremo a lavorare”.
Non solo. Recca, mosso da sacro furore, ha anche deciso di cancellare
diversi corsi di laurea di Agraria, Giurisprudenza, Lingue e Medicina del
Consorzio Universitario di Ragusa. Il provvedimento partirà dal prossimo
anno accademico. La decisione, unilaterale, ha naturalmente scatenato
proteste a diversi livelli e la guerra è più che mai aperta, col Consorzio
che ha deciso di rivolgersi al Tar e alla giustizia ordinaria.
Quanto alla “graduatoria di merito”, non sappiamo se l’esempio catanese
verrà seguito a ruota da tutti gli altri Atenei per la verità ancora
immobili su questo fronte, quello che campanilisticamente ci auguriamo è che
il mondo accademico siciliano, una volta tanto, possa dare un segnale di
rinnovamento, in controtendenza rispetto al resto del mondo accademico
nazionale. E’ chiedere troppo? Forse. Ma i venti di rinnovamento alle
poltrone rettoriali (e ci riferiamo a Palermo, naturalmente) fanno ben
sperare. Speriamo di non rimanere delusi.
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