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Non per
piaggeria, che non fa parte del nostro patrimonio genetico, né per spezzare
una lancia a favore dell’Istituzione in linea di principio (nemmeno queste
scelte ci appartengono), ma solo per chiarire, perché, davvero, nessuno è
esente dal prendere cantonate quando si parla di Università. E c’è poi chi,
quelle cantonate, è pronto a raccoglierle e a strombazzarle, con una cassa
di risonanza che rimbomba in ogni dove.
Stiamo parlando dell’Ateneo di Catania e del professore Isidoro Di Carlo
che, scrivendo su “la Repubblica” di “graduatorie di merito” dei docenti
dell’Università etnea ha scatenato un putiferio di portata nazionale, anzi
internazionale, visto che la notizia è rimbalzata anche Oltreoceano. Ed era
logico, d’altra parte. I professori universitari esaminano, ma non amano
essere esaminati, questo è notorio. “… si è avuta la conferma di come la
gran parte dei baroni… si trovino in fondo alla graduatoria” sostiene sulla
lettera Di Carlo.
E però per correttezza il prof catanese avrebbe dovuto specificare un paio
di cose che invece ha trascurato di precisare.
Ovvero che quella che lui chiama “graduatoria di merito” non è altro che la
comunicazione, rilasciata in maniera volontaria e dunque senza alcuna
imposizione, delle ultime produzioni scientifiche di quei docenti che hanno
ritenuto di volerle comunicare; che il fine della comunicazione non era
quello di farsi giudicare secondo il merito (non pensiamo sinceramente, con
tutta la buonafede che riconosciamo in generale ai prof, che qualcuno di
loro, specie se agli ultimi posti in “graduatoria”, fornisca lui stesso la
“croce” giusta per farsi crocifiggere), ma quello – di tipo essenzialmente
pratico-burocratico – di conferire i finanziamenti dei Progetti d'Ateneo (ex
60%) come da delibera del Senato Accademico del 21 maggio 2008.
Certo il processo di valutazione diventa consequenziale, ma può solo essere
indicativo, non potendosi basare il giudizio, a nostro parere, su una
produzione parziale e fornita spontaneamente e ancor meno si può procedere
ad alcun giudizio di merito comparando lavori tra loro diversi e
appartenenti a ben 17 tipologie differenti, tante sono le aree entro cui
sono raccolti i lavori scientifici presentati.
Detto questo e spezzando una lancia a favore del Di Carlo, c’è da dire però
che qualcosa di “fastidioso” bolle in pentola, qualcosa che si deve a ogni
costo tenere nascosto. E cioè:
1) che i nomi dei docenti che hanno prodotto costituisce il Catalogo
d’Ateneo, che pur consultabile in rete è comunque scomodo in quanto
pubblicizza con maggiore evidenza chi ha prodotto e chi no;
2) che a quei docenti le Commissioni scientifiche di area ad hoc costituite
attribuiranno (o hanno già attribuito, non sappiamo) un “peso specifico” che
varia a seconda della tipologia delle pubblicazioni presentate: a quelle “di
maggior pregio scientifico” per ciascuna area verrà assegnato il peso di
valore massimo nella scala, per esempio 10;
3) che la somma dei pesi attribuiti alle varie tipologie deve essere uguale
a un valore prefissato e lo stesso per tutte le aree (ad esempio 50);
4) che per ciascun docente verrà anche calcolato un “peso scientifico
modificato” che tiene conto del numero di co-autori in accordo a parametri
correttivi determinati per ciascuna area sempre dalla Commissione
scientifica. Tale peso modificato verrà poi utilizzato per confrontare
docenti appartenenti alla stessa area.
E su un’altra cosa stanno tentando di glissare a Catania, e cioè che è stata
stabilita una soglia minimale che consentirà di suddividere i ricercatori
dell’Ateneo in operativi (con peso scientifico al di sopra della soglia) e
non operativi (con peso scientifico al di sotto della soglia).
Tutti elementi, questi, che potrebbero fare, a seconda dei risultati, molto
rumore.
E’ allora questa attribuzione dei pesi specifici che fa parlare a Di Carlo
di graduatorie di merito? Se è così, le fasi di valutazione, rinnegate
ufficialmente, ma realmente esistenti e utilizzate solo “per uso interno”
alla faccia della trasparenza di tutti gli atti di ogni Pubblica
Amministrazione, sarebbero tre: la prima, pur con le limitazioni che noi
abbiamo evidenziato sopra, finalizzata alla creazione del Catalogo d’Ateneo;
la seconda indirizzata a teorizzare i pesi specifici per le 17 tipologie; la
terza diretta all’assegnazione di questi pesi da parte delle Commissioni
scientifiche di area, fase questa molto delicata e – chissà perché, ma forse
si può capire perché – da tenere “strettamente riservata”.
Nonostante le “bugie”, le minimizzazioni (come sostiene il Cineca, nella
valutazione verranno considerati tutti e solo i lavori presenti sul
Catalogo), le clamorose smentite, le mezze verità e le rassicurazioni
finalizzate a non creare allarmismi, la situazione catanese su questo
argomento è migliore di molte altre.
Gli Atenei di Palermo e Trieste, per esempio, sono ancora fermi alla fase 1
(disponibile tramite link a Saperi/Cineca), ma non hanno mai dichiarato di
voler fare una graduatoria di “pesi specifici” per tutti i docenti. Le
altre Università non sono arrivate nemmeno alla fase 1.
C’è da dire però che non tutti gli Atenei hanno richiesto il sistema Saperi
per mettere in linea il Catalogo d’Ateneo e pertanto è probabile che vi
siano Cataloghi realizzati con sistemi diversi.
Al di là di tutto, noi ribadiamo il concetto: non capiamo perché la
graduatoria non sia e non possa essere di dominio pubblico. In una
Università pubblica, ripetiamo, tutti gli atti dovrebbero essere pubblici.
Se non lo sono, o peggio, se vengono secretati, come in questo caso catanese
o come nel caso dell'Ateneo
di Parma, è
legittimo chiedersi perché.
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