|
|
L’Università di Messina, quella
del “verminaio”, è tornata prepotentemente alla luce. Con venticinque
docenti rinviati a giudizio. Abuso d’ufficio e tentata concussione i capi
d’accusa. A guidare la cordata dei baroni accademici messinesi imbrigliati
nelle maglie della giustizia (in omaggio alle gerarchie) il rettore
dell’Ateneo Francesco Tomasello, attualmente di nuovo sospeso dall'incarico
su decisione del Gip Mariangela Nastasi nell'ambito di una nuova inchiesta
della Procura (intorno alle sue dimissioni si è discusso
animatamente in Senato Accademico tra favorevoli e contrari), a cui seguono
altri notabili, a cominciare da quel Battesimo Consolato Macrì, prorettore e
all’epoca dei fatti preside della Facoltà di Veterinaria, teatro del famoso
caso di malauniversità peloritana di cui in passato
vi abbiamo raccontato
con dovizia di particolari.
Il caso riguardava un concorso a un posto di seconda fascia nel settore di
Clinica chirurgica della Facoltà di Medicina veterinaria, appunto, che il
prorettore voleva ad ogni costo per suo figlio Francesco. Per ottenerlo non
aveva esitato ad esercitare pressioni sul capo della Commissione del
concorso, il quale però ha disubbidito infrangendo la barriera d’omertà
eretta da rettore, prorettore & C. a protezione del rampollo di casa Macrì.
La lingua lunga che ha spifferato alla Procura di essere stato “sollecitato”
per addomesticare il concorso è quella di Giuseppe Cucinotta. Il suo “no” è
stato una vera e propria tegola sulla testa degli interessati, così come lo
è stata, poco dopo, a conclusione delle prove del febbraio 2006,
l’inidoneità di Francesco Macrì: “carente preparazione di base”,
“superficiale e non aggiornata conoscenza delle materie del settore” e
persino “scarsa capacità espositiva” le motivazioni del “niet” della
Commissione al giovane Macrì. Benedetto Consolato Macrì, inconsolabile e per
niente rassegnato, a quel punto comincia a brigare per far annullare le
prove concorsuali e chiede un parere all’Avvocatura dello Stato segnalando
un possibile vizio formale. Ma la segnalazione non sortisce gli effetti
sperati e il sempre più inconsolabile Benedetto assiste impotente alla
dichiarazione di validità del concorso.
Livido di rabbia e desideroso di
vendetta a quel punto comincia a minacciare ritorsioni contro il rettore,
colpevole di non essere stato sufficientemente pressante sulla Commissione.
E come si può materializzare la vendetta di un notabile barone universitario
nei confronti del proprio rettore? Tramite un pacchetto di voti. Quello, in
questo caso, che può gestire Macrì senior dalla sua Facoltà: quattordici
voti su cui il rettore Tomasello non può più contare per la sua riconferma
(Tomasello, da lì a poco, verrà riconfermato lo stesso, con o senza quei
quattordici voti).
Il primo colpo di scena però è dietro l’angolo: il Consiglio di Facoltà
decide di non dare il posto a Filippo Spadola, vincitore del concorso al
posto di Macrì junior perché – secondo i docenti rinviati a giudizio – “non
ha i requisiti scientifici e l’esperienza didattica”. Consolato può
consolarsi? Niente affatto.
Il secondo colpo di scena arriva il 22 giugno 2007, quando il Tar di Catania
ordina di “procedere alla chiamata” di Spadola.
Il cerchio si chiude.
|
|
argomenti correlati:
Torna al sommario..........
Hai un argomento da proporre? Entra nel forum di Ateneo palermitano e avvia il
dibattito con gli altri navigatori
.............................. entra
Oppure scrivi una e-mail
al Direttore
............................. scrivi
|