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Non possiamo
tacere su quanto sta avvenendo in Italia perché il nostro giornale è vero
che si occupa di Università, ma è anche vero che non vive fuori dalla
società (cosiddetta) civile. Pertanto sull'argomento del giorno - lo scontro
tra Procure, quella di Salerno e quella di Catanzaro, approdato al Consiglio
Superiore della Magistratura - non entriamo nel merito per tre motivi:
perché non ne siamo competenti, perché il tema esula appunto dai nostri
interessi diretti e perché il caso ha sfiorato solo di striscio il nostro
giornale, quando abbiamo parlato – a più riprese, per la verità – di Luigi
De Magistris e di Toghe Lucane in relazione alla vicenda che ha coinvolto e
ancora coinvolge la professoressa dell’Università della Basilicata Albina
Colella. (Per ricordare meglio vi rimandiamo alla lettura dell'ultimo
nostro articolo pubblicato sul caso).
Ma ci preme affrontarlo - e provocatoriamente in apertura - sotto un altro aspetto conseguenziale, che - questo
sì - ci riguarda direttamente come operatori dell'informazione, l’aspetto
che può avere solo un nome in quest’Italia dai mille e contraddittori volti:
quello della censura giornalistica.
La notizia. Il 3 dicembre scorso l’inviato del “Corriere della Sera” Carlo
Vulpio, che per due anni aveva seguito per conto del suo giornale le
inchieste sul caso De Magistris – come ha annunciato lui stesso dal suo sito
(www.carlovulpio.it) - è stato sollevato dall'incarico. Vulpio è uno dei
giornalisti indagati per il reato di associazione per delinquere finalizzata
alla diffamazione a mezzo stampa e alla violazione del segreto istruttorio.
Ma allora, contrariamente ad oggi, il suo giornale l’appoggiava. Ci
piacerebbe sapere che cos’è cambiato da allora ad ora.
In realtà il lavoro del giornalista sta diventando sempre più difficile, con
leggi sempre più liberticide che impediscono ai giornalisti l’accesso alle
fonti e la pubblicazione del materiale documentale a cui, per
chissà quale caso fortuito (sempre più fortuito, vista l’accusa di correità
a cui verrebbero sottoposte le lingue lunghe degli Uffici delle Procure
pronte a girare fonti e notizie alla stampa), dovessero venire in possesso.
Siamo in clima di dittatura (e di intimidazioni), è questa la verità, e lo siamo già da anni, con
un processo che è andato via via fortificandosi e che non è riferibile a un
Governo in particolare, ma al complesso degli ultimi Governi che si sono
succeduti. Dunque una dittatura trasversale (non solo politica - con
ministri pronti a stringere sempre più forte il cappio intorno al collo
della stampa libera - ma anche giudiziaria, con una Magistratura partigiana
- di destra o di sinistra, poco importa) impedisce a una
larga fetta di popolazione – quella che gravita intorno al mondo
dell’informazione – di fare il proprio lavoro. Certo, non tutti i
giornalisti sono liberi, tutt’altro, e questo è un sicuro elemento di
contestazione: la stampa schierata esiste ed è sempre più prolifica, non
siamo certamente noi a non volerlo ammettere (al contrario noi l’abbiamo
sempre denunciato e ne abbiamo sempre preso le distanze), ma esistono anche,
i giornalisti liberi, come Carlo Vulpio, per
esempio, giornalisti cioè che davanti alla fede politica pongono la propria
professionalità, che per un giornalista si traduce nel volere raccontare
alla gente le cose come stanno e non come loro vorrebbero che stessero o come
altri vorrebbero che stessero (e cercano di ottenerlo coi mezzi indiretti
della coercizione del diritto alla libertà di pensiero e di azione).
E allora una proposta provocatoria (paradossale e fantastica) potrebbe essere quella
di eliminare il giornalismo italiano, di chiudere l’Ordine, di oscurare tutti i
giornali in rete e tutti i vari blog di settore e di impedire a chiunque,
accreditati dalla professione e non, di fare informazione (pensando prima a
una soluzione per il reimpiego di tutti i novelli disoccupatii...).
Oppure, in
alternativa, ripristinare il Minculpop. Sperando che le veline del rinnovato
Ministero siano almeno procaci come quelle della Tv spazzatura che siamo
oramai abituati a vedere.
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