aprile 2008 numero 76

attualità
Giustizia non è fatta, ovvero: come ti annacquo il paradosso
Chiesta l'archiviazione del procedimento penale al Ghota accademico dell'Economia agraria nazionale
 

di Francesca Patanè


La notizia è nota: la Procura di Trieste nella persona del sostituto Maurizio De Marco ha chiesto al Gip di voler disporre l’archiviazione del procedimento penale a carico dei professori Mario Prestamburgo, Antonino Bacarella, Vasco Boatto, Marta Cosmina, Gianluigi Gallenti e Salvatore Tudisca, procedimento che si riallaccia all’indagine partita dall’esposto del professore Quirino Paris, che nel 2003 aveva denunciato l’esistenza, nell’ambiente dell’Economia agraria accademica nazionale, di un gruppo di potere (una “cupola” in perfetto stile mafioso) in grado di addomesticare le Commissioni di concorso per il reclutamento di docenti e ricercatori, allo scopo di assegnare i posti a parenti e amici.

Motivo della richiesta: perché il fatto non sussiste.

Cioè, sussiste nella pratica (collaudata e consolidata), ma non nella teoria.
Paradossale è l’aggettivo giusto (il sostituto De Marco non poteva indirizzarci meglio).

Proviamo a spiegare (la legge liberticida attualmente in vigore ci vieta di pubblicare i documenti, ma non di leggerli, se l’interessato ce lo consente, e nemmeno di ricordarne il contenuto).

In realtà l’assioma è semplice (complimenti a De Marco per l’eccellente confezionamento): non si può considerare scorretta una prassi scorretta se questa prassi scorretta non è codificata come scorretta (e quindi non può essere sanzionata una prassi nei fatti illegale se questa prassi nei fatti illegale non è considerata formalmente illegale - e dunque reato - dalla legge italiana).

Pertanto, anche se, secondo De Marco, l’accostamento dei comportamenti tenuti da Mario Prestamburgo (il Capo-prof che pilotava le scelte dei commissari di concorso) al 416bis del codice penale (l’associazione di tipo mafioso) in via di paradosso non manca di una sua forza suggestiva e descrittiva esatta, esiste un buco nel sistema, perché nessuna legge - allo stato attuale - attesta che i comportamenti dei prof che addomesticano i concorsi all’Università sono codificabili come mafiosi.
Dunque, in attesa che il legislatore faccia una legge ad hoc (se mai la farà, n.d.r.), archiviamo e non se ne parla più.

D’altra parte – sempre secondo il sostituto procuratore - il 416bis è stato pensato per ben altri fenomeni criminali (al di là di quelli del caso in questione, dunque - se l’italiano non è un’opinione - che, non essendo “ben altri”, sono fenomeni criminali sì, ma di livello inferiore, n.d.r.).
Tanto più che il Prestamburgo era “extraneus” alle Commissioni (De Marco dimentica la partecipazione diretta del Capo-prof nella composizione di diverse Commissioni di concorso, n.d.r.) e le scelte degli economisti agrari per decidere i commissari sono state sì condizionate dalla sua enorme influenza, ma sono state comunque scelte volontarie.

Insomma, il delitto avuto di mira è di prova sostanzialmente diabolica e tutti i docenti dell’Economia agraria nazionale non sono stati addomesticati attraverso i famigerati "santini" presenti nell’incartamento processuale (in effetti i santini poco hanno a che fare con i diavoli evocati dal Pm), piuttosto hanno subìto una sorta di freudiana ipnosi collettiva, perniciosa e prolungata nel tempo, impossibile da dimostrare coi fatti, che li ha condizionati nelle loro scelte volontarie.

Fin qui (a parte l’ipnosi e tutto il resto che abbiamo trascurato per non perderci nei meandri dei cavilli giurisprudenziali) il succo della questione.

L’indagine, che sembra a questo punto avviarsi a conclusione (ma l’opposizione alla richiesta di archiviazione da parte del professore Paris, già partita, potrebbe aprire nuovi e imprevedibili scenari), è stata in un primo tempo appannaggio della Procura di Firenze – sostituto Francesco Pappalardo – e ha preso le mosse dal caso di un concorso a un posto di ricercatore di Economia agraria alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Ateneo fiorentino, vinto nell'ottobre del 2002 da Nicola Marinelli - figlio del rettore Augusto di quell’Ateneo, docente nell’area dell’Economia agraria - che all’epoca non aveva ancora conseguito neppure il dottorato di ricerca.
Poi è passata a Trieste, su decisione del Gip Anna Sacco, che si era dichiarata incompetente territorialmente e per questo motivo aveva rinviato gli atti a Pappalardo e disposto il trasferimento alla Procura del capoluogo friulano.

A Firenze il Pm Pappalardo era andato giù duro, scrivendo di disegno criminoso e sistema di illecito operante da tempo, e chiedendo al Gip, per gli inquisiti, l’interdizione dal servizio con sospensione degli incarichi.

La vita tormentata dell’inchiesta è tutta nella montagna di materiale documentale e carte processuali che si è accumulata nei lunghi mesi di indagine.
Del nutrito incartamento fanno parte anche resoconti di intercettazioni telefoniche; verbali di perquisizioni (che hanno portato alla luce pure alcuni cd, naturalmente sequestrati dal Pm Pappalardo); i nomi di tutti gli economisti agrari italiani, schedati da Prestamburgo secondo quattro “strati” di affidabilità (“A” - i più obbedienti - valutazione da 0,8 a 1.0; “B”, valutazione da 0,2 a 0,7; “C”, valutazione da 0,0 a 0,1; “D” - i non addomesticabili - valutazione 0,0); e persino il “Modello di votazione proposto” che nel ’90 Prestamburgo aveva messo a punto per facilitare le indicazioni di voto, con tanto di istruzioni per l’uso.

Tra le carte processuali anche un’altra richiesta di archiviazione del sostituto De Marco, datata 29 ottobre 2007, ovvero quattro mesi e ventuno giorni prima della richiesta ufficiale del 19 marzo 2008.
Una minuta inserita anch’essa nei robusti incartamenti, che ha preceduto di quasi cinque mesi il documento ufficiale? Probabile.
D’altra parte il contenuto rispecchia pressoché quello della richiesta definitiva, se non fosse per un punto, essenziale, modificato in modo forse frettoloso (almeno a giudicare dalla forma), relativo proprio all’adattabilità dell’art. 416bis del codice penale al caso in questione: che nella prima versione appare inequivocabilmente convinzione del Pm De Marco e nella versione definitiva, invece, si trasforma in concetto espresso dal professore Paris.

Ma anche la domanda finale varia nelle due versioni di richiesta d’archiviazione: nella versione definitiva De Marco chiede di disporre l’archiviazione perché il fatto non sussiste e nella versione di cinque mesi prima perché il fatto non sussiste/perché non costituisce reato.

Perché De Marco ha scritto due richieste di archiviazione?
Perché nella prima, quella di ottobre, a proposito del 416bis, esprime con chiarezza una convinzione personale e nella versione definitiva – pasticciando con la lingua italiana – mette in bocca a Paris la convinzione che il 416bis attagli al caso in questione?
“Io non ho mai parlato di 416bis” ci ha detto il docente trentino che vive e insegna in California.

E allora? Perché De Marco ha ritenuto di dover modificare – non corroborato neppure dalle dichiarazioni di Paris – proprio uno dei passaggi cruciali del documento di richiesta di archiviazione, annacquando l’intera questione?
Che cosa è intercorso – se qualcosa è intercorso – tra le due versioni della stessa richiesta e con tale urgenza da far dimenticare, nella versione definitiva, anche la lingua italiana?
Perché, ancora, la richiesta di archiviazione, nella prima versione, propone al Gip anche la possibilità di un fatto - esistente - che comunque non costituisce reato e nella versione definitiva gli propone una sola alternativa: che il fatto non sussiste?
Che cosa, in meno di cinque mesi e in presenza degli stessi risultati, ha convinto il sostituto De Marco a modificare la motivazione della richiesta con una formula sicuramente più vantaggiosa per gli accusati?
E, a margine, perché De Marco non ha voluto tenere in debito conto le pesanti affermazioni del suo collega Pappalardo presenti nella richiesta di misure interdittive e ha scelto di percorrere invece la strada, molto meno incidentata, della benevolenza?
Non ci aspettiamo risposte.

Ma ci sia consentita, alla fine, una riflessione: poiché, secondo De Marco, orientare la scelta dei commissari di concorso è perfettamente legale in quanto non risulta specifica violazione di legge, il caso Paris vs Prestamburgo & C. - da un punto di vista giurisprudenziale - costituisce precedente di non poco conto.

Pertanto i baroni accademici nazionali (e non solo quelli dell’Economia agraria), che addomesticano i concorsi per favorire parenti e amici alimentando quella che è ormai internazionalmente conosciuta come “Malauniversità”; quelli di Concorsopoli, Parentopoli ed Esamopoli, per intenderci, saltando tutti i noiosi gradini della gerarchia nobiliare (nell’ordine: visconte, conte, marchese, duca, principe, re), sono autorizzati a diventare imperatori subito.

E i giornali come questi a chiudere.

 


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