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Ogni anno, a gennaio, ripenso a Pippo Fava. Di tanto in
tanto scrivo qualcosa. In questo numero lo richiamo più volte: un modo per
fargli sapere, là dov'è adesso, in qualsiasi posto sia, che non l'ho
dimenticato.
Giuseppe Fava, giornalista e scrittore catanese, si era opposto coi suoi
articoli ai “cavalieri” della città, i maggiorenti che a quel tempo
dettavano la storia economica, politica e sociale di Catania.
E' stato ucciso dalla mafia il 5 gennaio del 1984.
***
Torniamo ancora una volta all’intervento
di Maurizio Boldrini sul “Corriere dell’Università e del Lavoro” dello
scorso dicembre, oggetto di una nostra
replica sul numero precedente
di questo giornale - chiamato in causa insieme al suo direttore responsabile
dallo stesso Boldrini in una forma tutt’altro che gradevole e anzi
decisamente irritante - per soccorrere il collega e aiutarlo, per analogia,
nella comprensione di un mondo – quello universitario – che sebbene lo
accolga in qualità di docente a contratto alla Facoltà di Scienze della
Comunicazione dell’Università di Siena – egli pare non conoscere affatto.
Lo facciamo regalandogli una chicca scritta da Giuseppe Fava venticinque
anni fa e purtroppo sempre attuale a certe (degenerate) condizioni. Una
chicca che Boldrini, per essersi chiesto pubblicamente come mai gli Atenei
non reagiscono alle accuse di malauniversità e soprattutto per non aver
saputo trovare da solo la risposta, certamente ignorerà.
Novembre 1983. In un teatro di Catania mettono in scena la più recente opera
teatrale di Giuseppe Fava, "Anteprima dell'Ultima violenza”, una storia di
scandali e corruzioni tra i potenti. Sulla scena per tre ore sfilano
personaggi di tutti i tipi, buoni e cattivi, giusti e iniqui, galantuomini e
mascalzoni: gli uomini del potere secondo Fava.
In sala, ad assistere all’opera, ci sono tutti i rappresentati del potere
catanese dell’epoca: personaggi equivalenti a quelli rappresentati sulla
scena.
Alla fine dello spettacolo è un’ovazione collettiva: tutti applaudono, tutti
si complimentano.
Fava, nell’ultimo editoriale scritto per “I Siciliani”, commenta così: “Il
clima morale della società è questo. Il potere si è isolato da tutto, si è
collocato in una dimensione nella quale tutto quello che accade fuori, nella
nazione reale, non lo tocca più e nemmeno lo offende, né accuse, né denunce,
dolori, disperazioni, rivolte. Egli sta là, giornali, spettacoli, cinema,
requisitorie passano senza far male: politici, cavalieri, imprenditori,
giudici applaudono. I giusti e gli iniqui. Tutto sommato questi ultimi sono
probabilmente convinti d'essere ormai invulnerabili”.
(Ah, Boldrini, Boldrini! Se tu non ti fermassi a leggere solo gli articoli di malauniversità...)
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