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Se fosse
l’amministratore delegato di una società privata, dotata di un Consiglio di
Amministrazione che si rispetti - e non addomesticato com’ è il C.d.A. di
qualsiasi Università italiana - sarebbe stato licenziato da tempo. Invece,
dopo sette anni di amministrazione disastrata e fallimentare, rimane ancora
a galla e tuona saette e fulmini contro un governo che - a suo dire -
dovrebbe dare più soldi
per riempire le voragini di bilancio aperte in nome dell’allegra autonomia
universitaria fiorentina.
Parliamo, naturalmente, di Augusto Marinelli, economista agrario e rettore
dell’Università di Firenze che - per fare quello che ha fatto e fa -
percepisce ogni anno lo stipendio di professore e
un’indennità di carica
di circa 400mila euro.
Tra tutte le Università italiane, quella di Firenze presenta la situazione
finanziaria più drammatica. Il
bilancio di previsione
per l’anno 2008, approvato dal C.d.A. dell’Università lo scorso dicembre (ma
non ancora reso pubblico on line), presenta un disavanzo di 27 milioni di
euro.
Ma la grave situazione finanziaria dell’Ateneo si protrae da qualche anno e
si estende nel futuro quasi immutata, nonostante la triste alienazione del
patrimonio universitario
e le drastiche misure in termini di nuove assunzioni. Nel 2005 e nel 2006 il
disavanzo era, rispettivamente, di 15 e 31 milioni di euro. Il disavanzo
cumulato fino al 31 dicembre 2006 ammontava a 57 milioni. La relazione del
rettore sul bilancio preventivo per il 2007 contiene una
tabella
che dà i numeri del disavanzo annuale fino al 2011: 34 milioni nel 2009, 31
milioni nel 2010, 27 milioni nel 2011.
Da segnalare che il disavanzo previsto per il 2008 è “contenuto” nei 27
milioni, nonostante lo stop all’istituzione di nuove cattedre fino al 2010,
la limitazione al 20% del turn over (il rimpiazzo dei professori che
andranno in pensione) e il blocco dell’edilizia universitaria.
Queste misure, peraltro, non sono farina del sacco di Marinelli: sono norme
pensate e raccomandate dalla
Commissione Tecnica per la Finanza Pubblica
istituita dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF). Vale la pena di
citare i punti 8 e 9 delle sue conclusioni:
“8. Le Università che hanno superato il limite del 90% delle spese di
personale sul FFO (Fondo Finanziamento Ordinario, n.d.r.) vanno sottoposte
al vincolo di assunzioni limitate al 35% dell’importo liberato dalle
cessazioni…”.
Per l’Università di Firenze, la percentuale delle spese di personale sul FFO,
per il 2006, è di 99,4. Altre 18 Università (Bari, Cagliari, Cassino,
Ferrara, Genova, L’Aquila, Messina, Napoli “Federico II”, Napoli “seconda
Università”, Napoli “L’Orientale”, Palermo, Pavia, Pisa, Roma “La Sapienza”,
Siena, Udine, Trieste, Ca’ Foscari di Venezia) fanno parte del gruppo che ha
sforato.
“9. Le Università che, oltre ad avere superato tale limite, appaiano in
stato di potenziale dissesto perché negli ultimi due anni hanno avuto un
saldo di bilancio negativo (al netto delle poste finanziarie), devono
presentare un Piano di risanamento di durata non superiore a 10 anni da
sottoporre all’approvazione congiunta del MUR e del MEF. Il Piano deve
prevedere la limitazione delle assunzioni entro il 20% delle cessazioni e
l’aumento obligatorio e graduale delle tasse di iscrizione fino al 25% del
FFO. È fatto obbligo al collegio dei revisori, in cui va ovviamente
mantenuto il rappresentante del MEF …di certificare con cadenza almeno
trimestrale l’osservanza del Piano. L’inosservanza del suddetto Piano
dovrebbe comportare adeguate sanzioni, senza escludere nel caso estremo il commissariamento dell’ateneo”.
Si tratta, in sostanza, dell’abc del primo corso di Finanza aziendale.
Ecco quello che ha dovuto fare l’Università di Firenze per garantirsi il FFO:
un Piano di programmazione triennale con tutti i crismi raccomandati dalla
Commissione Tecnica, che non ha definito cosa debba intendersi per “caso
estremo”. Questa indicazione, chiaramente, spetta ai ministri Mussi e
Padoa-Schioppa, i quali - in mancanza di precedente - devono essersi
chiesti: quando e come si commissaria un Ateneo?
È probabile che il rettore Marinelli stia sentendo il loro fiato sul collo.
Firenze non è la sola Università a dibattersi nel
buco
rosso del bilancio: Genova, Siena e chissà quante altre hanno dichiarato
disavanzi per il 2007.
Per questo motivo la Commissione Tecnica ha lanciato un solenne diktat sul
dissesto strutturale e finanziario del sistema universitario italiano. Essa
ha individuato una lunga serie di “aspetti critici”, tra i quali:
1) la proliferazione dei corsi di laurea e la moltiplicazione dei professori
a contratto
2) la diffusione delle sedi universitarie
3) il rapporto docenti/studenti inadeguato
4) il tardivo avvio della valutazione delle attività didattiche e di
ricerca.
“Nel complesso - scrive la Commissione Tecnica - per l’effetto congiunto di
alcune carenze sopra esposte, nel sistema universitario italiano si registra
la sostanziale assenza di qualunque meccanismo concorrenziale che premi gli
Atenei meglio in grado di rispondere adeguatamente alla domanda proveniente
dalle famiglie e dalle imprese”.
A questi aspetti negativi, la Commissione aggiunge “un sistema di governance
delle Università con una marcata tendenza all’autoreferenzialità, riflessa
nella composizione e nei ruoli del Senato accademico e del Consiglio di
Amministrazione; un sistema di remunerazione “rigida” dei docenti che non
ricompensa il maggiore impegno e la qualità del lavoro prestato né nella
didattica né nella ricerca; meccanismi concorsuali inefficienti, che non
sempre hanno premiato la qualità dei candidati”; l’invecchiamento
programmato del corpo docente. Infine, la mancanza di controlli da parte del
potere centrale e “l’uso disinvolto, da parte di vari Atenei, dell’autonomia
universitaria, in particolare nei riguardi del reclutamento e della
promozione del personale docente”.
Chi più ne ha, più ne metta.
Il rapporto della Commissione Tecnica costituisce, senza dubbio, il più
autorevole e articolato documento sullo stato di degrado strutturale e
finanziario del sistema universitario italiano. Tanto autorevole e
preoccupante che i ministri Mussi e Padoa-Schioppa hanno ritenuto opportuno
di adottarlo interamente come base del processo di ristrutturazione
dell’Università, fin dall’anno finanziario 2008.
Il 2 agosto 2007 i due ministri lanciarono la proposta di un Patto per
l’Università, alla presenza del presidente del Consiglio (e del suo addetto
stampa Sircana), con grande
rumore mediatico.
In particolare Mussi si impegnò sulla raccomandazione della Commissione
Tecnica per la quale “… già per il 2008 una quota del 5% del FFO va
ripartita tra le Università non soggette a piani di risanamento…”. In
sostanza, un aumento (altrimenti si sarebbe dovuto decurtare il FFO delle
Università non virtuose: azione impensabile in Italia) di circa 350 milioni
del Fondo di Finanziamento Ordinario da destinare come incentivi agli Atenei
che attirano più studenti, ottengono risultati formativi, e risultano più
brillanti nella ricerca. La Conferenza dei Rettori delle Università Italiane
inneggiò al Patto
con lusinghieri apprezzamenti per i due ministri.
Ma il Patto, solenne e pubblico, ha avuto, purtroppo, la durata di un fuoco
di paglia. A settembre, la Finanziaria 2008 prevedeva circa 550 milioni in
aggiunta al livello del FFO normale. A dicembre, i soliti imperativi di
scarsa visione programmatica
avevano decurtato
il livello del FFO di circa 90 milioni di euro, rispetto a quello del 2007.
Un quota di circa 20 milioni è servita per tamponare la protesta degli
autotrasportatori.
La Crui - abituata a questi sgambetti - ha espresso
uno dei suoi tanti “vivi
sconcerti”
poco prima di Natale.
In precedenza,
aveva lamentato la limitazione e la violazione dell’autonomia universitaria
che la Finanziaria 2008 impone rispetto all’assunzione di lavoro flessibile
e straordinario (professori a contratto?) nelle Pubbliche Amministrazioni.
L’autonomia universitaria! Quella piena Mussi non vuole concederla; quella
attuale – un’autonomia vigilata – secondo la Commissione Tecnica è
interpretata dalle Università in modo tribale.
Il Mur non si fida delle Università e le Università non si fidano del Mur:
questa è la realtà. E la proclamazione unilaterale di un Patto – peraltro
rapidamente disatteso - non sarà certo sufficiente ad arrestare
l’inesorabile declino del sistema universitario italiano.
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