dicembre 2007 numero 72

attualità
Vi diciamo noi chi difende l’Università
Replichiamo all’intervento di Maurizio Boldrini, pubblicato sul magazine
“Il Corriere dell’Università e del Lavoro” di dicembre
 

di  Francesca Patanè

Avevamo già chiuso quest’ultimo numero dell’anno quando ci è arrivata notizia di un intervento - firmato Maurizio Boldrini e pubblicato sul numero attualmente in edicola del magazine “Il Corriere dell’Università e del Lavoro” - che ha chiamato in causa questo giornale e il suo direttore responsabile. E con loro anche altri protagonisti della guerra alla malauniversità.

Non c’è volontà persecutoria né mania di protagonismo in questo interesse sempre più generalizzato nei confronti dei problemi dell’Accademia italiana: solo desiderio di pulizia e di legalità. E voglia di vincere.

Ma il collega Boldrini non condivide; piuttosto, “denuncia” i denuncianti. E pubblicamente chiede: “Chi difende la maltrattata Università?”, dimenticando, tra i tanti nomi possibili, l’esempio più autorevole: il ministro del Mur Fabio Mussi. Che – clamoroso precedente nella storia della Repubblica italiana - si è costituito parte civile proprio in difesa dell’Università e contro il “barone” Piero Tosi - ex rettore dell’Ateneo di Siena ed ex presidente della Crui: una notizia - rimbalzata tra tutti gli internauti che hanno a cuore le sorti dell’Istituzione-Università - che a Boldrini, da ex responsabile della Comunicazione della Crui e da attuale docente (a contratto) di Comunicazione istituzionale e pubblica all’Università di Siena, non può certamente essere sfuggita.

Al direttore responsabile del Corriere dell’Università e del Lavoro è già pervenuta la nostra replica. Non sappiamo se verrà mai pubblicata.
Noi intanto ve la anticipiamo qui.



***


Egregio Direttore,
non è mia consuetudine scrivere lettere ai giornali: da oltre trent’anni sto dall’altra parte, quella delle redazioni.
Ma sono stata chiamata in causa da un intervento - “Chi difende l’Università?” -
firmato Maurizio Boldrini e pubblicato sul numero attualmente in edicola del Suo magazine “Il Corriere dell’Università e del Lavoro” e pertanto Le sarei grata se volesse offrirmi l’opportunità di una replica pubblicando integralmente sul prossimo numero del Suo giornale questo mio intervento.

Comprendo la scelta del collega - già responsabile della comunicazione della Conferenza dei rettori delle Università italiane - che va oltre l’incarico, ormai cessato, di garante dell’immagine della Crui e più in generale dell’Università italiana.

Ma tutelare l’immagine delle Istituzioni non significa fingere di non vedere, o schierarsi dalla parte di chi proprio quell’immagine sta fortemente offuscando.
Le difese a oltranza - in assenza di prove a discolpa e al contrario, davanti a evidenze impossibili da celare - rischiano qualche volta di diventare dannose, oltre che inutili.

Per ciò che più direttamente mi riguarda, rettifico quanto affermato dal collega precisando che:

1) non sono e non sono mai stata una docente dell’Università di Palermo, ma bibliotecaria presso l’Ateneo e pertanto appartenente alla discretamente bistrattata categoria del personale tecnico-amministrativo.
Dico questo perché, se fossi stata una “collega di casta”, probabilmente l’Università di Palermo non avrebbe montato intorno a me quell’insano processo inquisitorio con licenziamento in tronco - poi ritrattato causa codardia da “indotte motivazioni mediatiche” (sull’argomento La prego di documentarsi su Repubblica.it - articoli di Antonello Caporale - e sull’archivio del giornale di cui sono direttore responsabile, “Ateneo Palermitano”, mesi di aprile e maggio 2006 - www.ateneopalermitano.it) che invece ha messo su quando io ho “osato” scrivere, su un articolo di cronaca pubblicato in apertura del numero di gennaio dello scorso anno, che due docenti (“baroni”) della Facoltà di Agraria dell’Ateneo erano stati indagati (lo sono ancora) per associazione a delinquere e abuso d’ufficio

2) nel “repertorio del calvario” contro l’Istituzione accademica di cui Boldrini parla, è compreso anche - anzi soprattutto, visto che occupa il primo posto della lunga lista - il mio giornale.
Nulla quaestio: è un periodico di informazione universitaria, libero, non istituzionale e asservito solo alla verità.

E’ mio dovere tuttavia precisare - e non è solo questione formale, ma sostanziale - che, contrariamente a quanto sostenuto da Boldrini, non si tratta di un “sito” del “piccolo campionario dei siti che fioriscono settimana dopo settimana”, ma di una testata giornalistica elettronica a cadenza mensile, regolarmente registrata al Tribunale di Palermo e attiva da ben otto anni.

Quanto al fatto che – cito testualmente pur non virgolettando – costringerei l’intero Ateneo a inseguirmi nei tortuosi meandri delle denunce, anche le più bizzarre e le più piccole, dai concorsi ai posti macchina, vorrei ricordare al collega che la vita di un giornale di cronaca (universitaria, nel caso appunto della mia testata), è scandita da fatti di cronaca, ovvero da avvenimenti realmente accaduti – l’indagine aperta sui due docenti palermitani, giusto per fare un esempio - di cui non è certamente il giornalista, che ne scrive per ottemperare al suo diritto/dovere di informare, responsabile. E i fatti di cronaca, anche i più “piccoli e bizzarri” come il malcostume dei parcheggi selvaggi all’interno della Cittadella universitaria palermitana, per citare l’esempio di Boldrini, non sono mai privi di significato, specie se indizio di un’arroganza generalizzata che induce molti docenti (ma anche discenti) dell’Ateneo a ignorare quotidianamente le esigenze di legalità delle proprie motorizzate “vittime” di turno.
E anzi, non solo non sono privi di significato, ma non sono neanche inutili se, al contrario, riescono a influenzare l’Istituzione (la terminologia è di Boldrini) costringendola a scelte all’insegna della correttezza e dell’efficienza amministrativa (un esempio per tutti, il problema - solo apparentemente banale - dei cani randagi all'interno del Policlinico e della Cittadella universitaria, dal mio giornale sollevato e dall’Ateneo e dal Comune di Palermo affrontato e risolto grazie alle mie ripetute “punzecchiature” editoriali).
Quanto ai concorsi, se non ci fossero le denunce, non ci sarebbero neppure i giornalisti che ne scrivono.

Egregio Direttore, considero l’intervento di Maurizio Boldrini uno spontaneo, sanguigno e sincero “grido di dolore” contro la situazione di grave disagio in cui versa l’Accademia italiana: un moto dell’animo condivisibile, perché - mi creda - a nessun cittadino italiano onesto fa piacere un tale abisso morale.

Ma proprio per questo “i meandri delle denunce” non solo non sono “tortuosi”, ma sono necessari, anzi, vista la situazione di lassismo pluridecennale, indispensabili.
Così come indispensabili sono tutte le iniziative di giornali, televisioni, professori universitari, esponenti istituzionali, scrittori, magistrati, pensate e realizzate a garanzia dell’Istituzione-Università.

Boldrini nel suo intervento si chiede chi difende l’Università.

Ebbene, Egregio Direttore - e riprendo da lui qualche esempio - Lucia Lazzerini di “Ateneopulito” difende l’Università; un prefetto coraggioso come Paolo Padoin difende l’Università (a proposito, come mai Boldrini non ha stigmatizzato pure un altro sito del “piccolo campionario”, quel “Rinnovare le Istituzioni” che coincidenza vuole sia gestito proprio dal prefetto di Padova Padoin?); Giovanni Grasso, da Siena, con “Il senso della misura” difende l’Università; Tommaso Gastaldi col suo sito-Osservatorio difende l’Università; Sergio Rizzo, Gian Antonio Stella, Giovanni Floris coi loro libri, e tanti altri illustri scrittori e studiosi dell’argomento difendono l’Università; Quirino Paris, italianissimo docente in America, difende l’Università; il mio giornale ed io, Direttore, se mi consente, difendiamo l’Università.

E sa da chi la difendiamo? Da tutti coloro che dall’interno la stanno minando.
Perché ci sarà pure un motivo se – come osserva Boldrini – le Istituzioni universitarie “tacciono o replicano con voce flebile”; ci sarà pure un motivo se, nel mio caso, l’Università di Palermo scelse clamorosamente di fare marcia indietro.

Non è denunciando i denuncianti – caro collega Boldrini (stavolta mi rivolgo direttamente a te) - che si guariscono i mali dell’Accademia italiana.

Egregio Direttore, solo l’Università in quanto Istituzione è ancora difendibile, e spiace leggere che c’è chi, non riconoscendo le giuste battaglie di legalità condotte, anche a costo di sacrifici personali, a garanzia dell’Istituzione - Le rammento ancora il tentativo di licenziamento in tronco perpetrato nei miei confronti – piuttosto se ne indigna, confondendo vittime e carnefici, nobiltà dell’Istituzione - da garantire e difendere - e miserie di certi piccoli uomini che ve ne fanno parte, da maltrattare (per usare la stessa terminologia del collega) e combattere.
Spiace e sorprende, poi, constatare che a indignarsi, in questo caso, sia un doppiamente esperto - della comunicazione, ma anche del mondo accademico - come Maurizio Boldrini, giornalista professionista e docente a contratto di Comunicazione istituzionale e pubblica all’Università di Siena.

Non è facile “comunicare”, come non è facile “informare”.
Per insegnarmelo, Giuseppe Fava, morto di mafia nel 1984, mi disse che prima di tutto ci vuole coraggio.
“Io ho un concetto etico di giornalismo – scriveva Fava nell’81 - un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza della criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende il funzionamento dei servizi sociali, sollecita la costante attuazione della giustizia, impone ai politici il buon governo. Se un giornale non è capace di questo si fa carico di vite umane. Un giornalista incapace, per vigliaccheria o per calcolo, della verità si porta sulla coscienza tutti i dolori che avrebbe potuto evitare, le sofferenze, le sopraffazioni, le corruzioni, le violenze, che non è stato capace di combattere”.

Io sono di quella scuola, Direttore.

Fino a quando per le strade ci saranno i clienti, ci saranno pure le prostitute; e fino a quando esisterà il malcostume negli Atenei italiani esisteranno pure “certi sovversivi dell’ordine costituito” come me (e come i tanti come me) che avranno il fegato di denunciarlo.

Ringrazio Lei dell’ospitalità e il collega Maurizio Boldrini per essersi dimostrato mio assiduo lettore.

Francesca Patanè
direttore responsabile di “Ateneo Palermitano”


 


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