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Avevamo già chiuso quest’ultimo numero dell’anno
quando ci è arrivata notizia di
un intervento -
firmato Maurizio Boldrini e pubblicato sul numero attualmente in edicola del
magazine “Il Corriere dell’Università e del Lavoro” - che ha chiamato in
causa questo giornale e il suo direttore responsabile. E con loro anche
altri protagonisti della guerra alla malauniversità.
Non c’è volontà persecutoria né mania di protagonismo in questo interesse
sempre più generalizzato nei confronti dei problemi dell’Accademia italiana:
solo desiderio di pulizia e di legalità. E voglia di vincere.
Ma il collega Boldrini non condivide; piuttosto, “denuncia” i denuncianti. E
pubblicamente chiede: “Chi difende la maltrattata Università?”,
dimenticando, tra i tanti nomi possibili, l’esempio più autorevole: il
ministro del Mur Fabio Mussi. Che – clamoroso precedente nella storia della
Repubblica italiana - si è costituito parte civile
proprio in difesa dell’Università e contro il “barone” Piero Tosi - ex
rettore dell’Ateneo di Siena ed ex presidente della Crui: una notizia -
rimbalzata tra tutti gli internauti che hanno a cuore le sorti
dell’Istituzione-Università - che a Boldrini, da ex responsabile della
Comunicazione della Crui e da attuale docente (a contratto) di Comunicazione
istituzionale e pubblica all’Università di Siena, non può certamente essere
sfuggita.
Al direttore responsabile del Corriere dell’Università e del Lavoro è già
pervenuta la nostra replica. Non sappiamo se verrà mai pubblicata. Noi
intanto ve la anticipiamo qui.
***
Egregio Direttore,
non è mia consuetudine scrivere lettere ai giornali: da oltre trent’anni sto
dall’altra parte, quella delle redazioni.
Ma sono stata chiamata in causa da
un intervento - “Chi difende
l’Università?” -
firmato Maurizio Boldrini e pubblicato sul numero attualmente in edicola del
Suo magazine “Il Corriere dell’Università e del Lavoro” e pertanto Le
sarei grata se volesse offrirmi l’opportunità di una replica pubblicando
integralmente sul prossimo numero del Suo giornale questo mio intervento.
Comprendo la scelta del collega - già responsabile della comunicazione della
Conferenza dei rettori delle Università italiane - che va oltre l’incarico,
ormai cessato, di garante dell’immagine della Crui e più in generale
dell’Università italiana.
Ma tutelare l’immagine delle Istituzioni non significa fingere di non
vedere, o schierarsi dalla parte di chi proprio quell’immagine sta
fortemente offuscando.
Le difese a oltranza - in assenza di prove a discolpa e al contrario,
davanti a evidenze impossibili da celare - rischiano qualche volta di
diventare dannose, oltre che inutili.
Per ciò che più direttamente mi riguarda, rettifico quanto affermato dal
collega precisando che:
1) non sono e non sono mai stata una docente dell’Università di Palermo, ma
bibliotecaria presso l’Ateneo e pertanto appartenente alla discretamente
bistrattata categoria del personale tecnico-amministrativo. Dico questo
perché, se fossi stata una “collega di casta”, probabilmente l’Università di
Palermo non avrebbe montato intorno a me quell’insano processo inquisitorio
con licenziamento in tronco - poi ritrattato causa codardia da “indotte
motivazioni mediatiche” (sull’argomento La prego di documentarsi su
Repubblica.it - articoli di Antonello Caporale - e sull’archivio del
giornale di cui sono direttore responsabile, “Ateneo Palermitano”, mesi di
aprile e
maggio 2006 - www.ateneopalermitano.it)
che invece ha messo su quando io ho “osato” scrivere, su
un articolo di
cronaca pubblicato in apertura del numero di gennaio dello scorso anno,
che due docenti (“baroni”) della Facoltà di Agraria dell’Ateneo erano stati
indagati (lo sono ancora) per associazione a delinquere e abuso d’ufficio
2) nel “repertorio del calvario” contro l’Istituzione accademica di cui
Boldrini parla, è compreso anche - anzi soprattutto, visto che occupa il
primo posto della lunga lista - il mio giornale. Nulla quaestio: è un
periodico di informazione universitaria, libero, non istituzionale e
asservito solo alla verità.
E’ mio dovere tuttavia precisare - e non è solo questione formale, ma
sostanziale - che, contrariamente a quanto sostenuto da Boldrini, non si
tratta di un “sito” del “piccolo campionario dei siti che fioriscono
settimana dopo settimana”, ma di una testata giornalistica elettronica a
cadenza mensile, regolarmente registrata al Tribunale di Palermo e attiva da
ben otto anni.
Quanto al fatto che – cito testualmente pur non virgolettando – costringerei
l’intero Ateneo a inseguirmi nei tortuosi meandri delle denunce, anche le
più bizzarre e le più piccole, dai concorsi ai posti macchina, vorrei
ricordare al collega che la vita di un giornale di cronaca (universitaria,
nel caso appunto della mia testata), è scandita da fatti di cronaca, ovvero
da avvenimenti realmente accaduti – l’indagine aperta sui due docenti
palermitani, giusto per fare un esempio - di cui non è certamente il
giornalista, che ne scrive per ottemperare al suo diritto/dovere di
informare, responsabile. E i fatti di cronaca, anche i più “piccoli e
bizzarri” come il malcostume dei parcheggi selvaggi all’interno della
Cittadella universitaria palermitana, per citare l’esempio di Boldrini, non
sono mai privi di significato, specie se indizio di un’arroganza
generalizzata che induce molti docenti (ma anche discenti) dell’Ateneo a
ignorare quotidianamente le esigenze di legalità delle proprie motorizzate
“vittime” di turno. E anzi, non solo non sono privi di significato, ma non
sono neanche inutili se, al contrario, riescono a influenzare
l’Istituzione (la terminologia è di Boldrini) costringendola a scelte
all’insegna della correttezza e dell’efficienza amministrativa (un esempio
per tutti, il problema - solo apparentemente banale - dei cani randagi
all'interno del Policlinico e della Cittadella universitaria, dal mio
giornale sollevato e dall’Ateneo e dal Comune di Palermo affrontato e
risolto grazie alle mie ripetute “punzecchiature” editoriali). Quanto ai
concorsi, se non ci fossero le denunce, non ci sarebbero neppure i
giornalisti che ne scrivono.
Egregio Direttore, considero l’intervento di Maurizio Boldrini uno
spontaneo, sanguigno e sincero “grido di dolore” contro la situazione di
grave disagio in cui versa l’Accademia italiana: un moto dell’animo
condivisibile, perché - mi creda - a nessun cittadino italiano onesto fa
piacere un tale abisso morale.
Ma proprio per questo “i meandri delle denunce” non solo non sono
“tortuosi”, ma sono necessari, anzi, vista la situazione di lassismo
pluridecennale, indispensabili. Così come indispensabili sono tutte le
iniziative di giornali, televisioni, professori universitari, esponenti
istituzionali, scrittori, magistrati, pensate e realizzate a garanzia
dell’Istituzione-Università.
Boldrini nel suo intervento si chiede chi difende l’Università.
Ebbene, Egregio Direttore - e riprendo da lui qualche esempio - Lucia
Lazzerini di “Ateneopulito” difende l’Università; un prefetto coraggioso
come Paolo Padoin difende l’Università (a proposito, come mai Boldrini non
ha stigmatizzato pure un altro sito del “piccolo campionario”, quel
“Rinnovare le Istituzioni” che coincidenza vuole sia gestito proprio dal
prefetto di Padova Padoin?); Giovanni Grasso, da Siena, con “Il senso della
misura” difende l’Università; Tommaso Gastaldi col suo sito-Osservatorio
difende l’Università; Sergio Rizzo, Gian Antonio Stella, Giovanni Floris coi
loro libri, e tanti altri illustri scrittori e studiosi dell’argomento
difendono l’Università; Quirino Paris, italianissimo docente in America,
difende l’Università; il mio giornale ed io, Direttore, se mi consente,
difendiamo l’Università.
E sa da chi la difendiamo? Da tutti coloro che dall’interno la stanno
minando.
Perché ci sarà pure un motivo se – come osserva Boldrini – le Istituzioni
universitarie “tacciono o replicano con voce flebile”; ci sarà pure un
motivo se, nel mio caso, l’Università di Palermo scelse clamorosamente di
fare marcia indietro.
Non è denunciando i denuncianti – caro collega Boldrini (stavolta mi rivolgo
direttamente a te) - che si guariscono i mali dell’Accademia italiana.
Egregio Direttore, solo l’Università in quanto Istituzione è ancora
difendibile, e spiace leggere che c’è chi, non riconoscendo le giuste
battaglie di legalità condotte, anche a costo di sacrifici personali, a
garanzia dell’Istituzione - Le rammento ancora il tentativo di licenziamento
in tronco perpetrato nei miei confronti – piuttosto se ne indigna,
confondendo vittime e carnefici, nobiltà dell’Istituzione - da garantire e
difendere - e miserie di certi piccoli uomini che ve ne fanno parte, da
maltrattare (per usare la stessa terminologia del collega) e combattere.
Spiace e sorprende, poi, constatare che a indignarsi, in questo caso, sia un
doppiamente esperto - della comunicazione, ma anche del mondo accademico - come Maurizio Boldrini, giornalista professionista e docente a contratto di
Comunicazione istituzionale e pubblica all’Università di Siena.
Non è facile “comunicare”, come non è facile “informare”. Per
insegnarmelo, Giuseppe Fava, morto di mafia nel 1984, mi disse che prima di
tutto ci vuole coraggio.
“Io ho un concetto etico di giornalismo – scriveva Fava nell’81 - un
giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza
della criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende il
funzionamento dei servizi sociali, sollecita la costante attuazione della
giustizia, impone ai politici il buon governo. Se un giornale non è capace
di questo si fa carico di vite umane. Un giornalista incapace, per
vigliaccheria o per calcolo, della verità si porta sulla coscienza tutti i
dolori che avrebbe potuto evitare, le sofferenze, le sopraffazioni, le
corruzioni, le violenze, che non è stato capace di combattere”.
Io sono di quella scuola, Direttore.
Fino a quando per le strade ci saranno i clienti, ci saranno pure le
prostitute; e fino a quando esisterà il malcostume negli Atenei italiani
esisteranno pure “certi sovversivi dell’ordine costituito” come me (e come i
tanti come me) che avranno il fegato di denunciarlo.
Ringrazio Lei dell’ospitalità e il collega Maurizio Boldrini per essersi
dimostrato mio assiduo lettore.
Francesca Patanè
direttore responsabile di “Ateneo Palermitano”
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