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Avete letto su Repubblica,
edizione di Bologna del 7 novembre?
Il preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Ateneo di quella città,
Giuseppe Sassatelli, ha raccontato all’Italia - almeno a quella che legge
Repubblica - che le Facoltà “stanno prendendo (sic) le delibere formali
sulla nuova riforma degli ordinamenti didattici”.
“I corsi – scrive Sassatelli - erano troppi in assoluto e, al loro interno,
frazionati in un numero eccessivo di esami che disorientavano lo studente
con la polverizzazione di un sapere che finiva col perdere la propria
identità”. E subito dopo: “Non sappiamo ancora se ci riuscirà, ma anche la
nostra Università sta cercando di razionalizzare i corsi e ha già ridotto il
numero degli esami”.
A parte che, come dice il proverbio, “volere è potere” e dunque non si
capisce bene dove, se veramente lo volesse, l’Università di Bologna potrebbe
fallire in questa operazione di ripulitura, ci stupisce, in tutta sincerità,
questo mea culpa accademico, arrivato dopo anni di colposi ritardi. Specie
in considerazione del fatto che a frammentarli – quei corsi – sfruttando
l’allegra autonomia didattica che gli Atenei del Belpaese hanno utilizzato
“pro domo loro” da alcuni anni a questa parte, sono stati gli stessi Atenei,
Università di Bologna compresa.
Comunque, straordinaria o no la presa di coscienza di Sassatelli, che se
sincera è un buon inizio (ma noi dubitiamo di pentimenti indotti da
circostanze esterne non più favorevoli), la vera notizia, giornalisticamente
parlando, non è questa.
La vera, sensazionale notizia è la risposta che a quell’intervento dà il
ministro del Mur Fabio Mussi.
Il quale, replicando a Sassatelli, che in un altro passo dell’articolo
accusa Governo e Ministero di essere latitanti, elenca tutti gli interventi
ai quali “si è lavorato un anno con l’intera comunità accademica”. E
affonda, il ministro: “Sbaglio o le Facoltà e gli Atenei,… negli ultimi anni
hanno autonomamente e gioiosamente portato i corsi al numero di 5.600, gli
insegnamenti a 171.000, gli esami a decine e decine per triennio e biennio,
(per non parlare della disinvolta moltiplicazione delle sedi, delle astute
lauree facili in convenzione, delle allegre lauree "honoris causa")…”.
“Autonomamente e gioiosamente”, dunque – dice Mussi (e “senza
tentennamenti”, aggiungiamo noi) – gli Atenei italiani, chi più chi meno,
hanno gestito la cosa pubblica come “cosa loro” (e poi si offendono quando
li accusano di mafia accademica),
inventandosi corsi di laurea al limite del
ridicolo,
istituendo gli Atenei “da condominio” – uno per ogni palazzo di ogni strada
di ogni città e di ogni paese italiano -
regalando lauree-cattura-studenti come fossero noccioline, distribuendo, al Signor Tizio e al Dottor Caio,
illustri sconosciuti o peggio, stelle effimere del dell’effimero firmamento
del mondo dello spettacolo, o dei media, o della politica, o di qualsiasi
altra cosa che faccia sensazione, lauree honoris causa
in grado di assicurare all’Ateneo di turno un misero trafiletto sui giornali
(più volte anche noi abbiamo stigmatizzato il proliferare di lauree “ad
honorem”).
Atenei che curano l’immagine perché non hanno contenuti a cui badare, in
cerca di notorietà come i tanti Tariconi del Grande Fratello televisivo
(scusate, siamo rimasti indietro), Atenei massificati intorno al culto
dell’apparenza, perfettamente in linea con tutti quei nuovi “valori” che la
società, attraverso un web privo di regole, la tv spazzatura, il consumismo
sfrenato, ci impone.
Non si può dire che da questo punto di vista le nostre Università siano
rimaste indietro.
Ma la cultura è un’altra cosa. Quella non si trasmette ai propri studenti
solo attraverso operazioni di marketing, per quanto riuscite, ma con
“qualità” e “merito”.
“La verità è che, senza l’azione del Governo, qualità e merito non avrebbero
naturale cittadinanza nell’Università” - scrive Mussi sulla replica a
Sassatelli.
Non sappiamo se quello che afferma il ministro è vero: a giudicare del punto
in cui siamo – al di là delle criminalizzazioni strumentali da parte di
questa o quell’area politica – non si direbbe che se qualcosa (pure in
buonafede) finora è stato fatto abbia portato ai risultati sperati.
Ma Mussi non è uno qualunque e non parla a titolo personale. Ed è questa la
vera notizia: per la prima volta il responsabile di un Ministero prende le
distanze – e in modo così plateale – da chi al suo stesso Ministero
afferisce.
“…Sono un uomo di una qualche ostinazione e di parecchia passione - conclude
il responsabile del Ministero Università e Ricerca nella sua replica - ma a
volte mi viene il pensiero (che non condivido) che, con l´occuparsi di
professori universitari, siano virtù sprecate”.
Diciamolo francamente, nel bene e nel male, a un ministro così non eravamo
abituati.
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