Caro Marcello Romano,
nella notte di venerdì 15 giugno, all’una, diciassette minuti e cinquantuno
secondi, sulla mia casella di posta ufficiale di questo giornale è arrivata un’email.
Indirizzo del mittente: Sedop, una di quelle sigle sibilline oggetto di un mio
editoriale, qualche anno
fa.
Lascia che spieghi.
Sedop – per chi non conosce il linguaggio di Babele – significa “Settore
Documentazione, Pubblicazioni e Archivio Storico” dell’Università di Palermo (ma
non sarebbe stato più corretto, per par condicio, chiamarlo Sedopas? Perché non
apri una petizione, sull’argomento?).
Sedop è il settore di cui tu, ormai da anni, sei funzionario responsabile.
E infatti l’e-mail era tua.
Non mi piace derogare ai miei principi, che mi vietano di pubblicare come molti
fanno, senza preventiva autorizzazione, le e-mail che ricevo: non pubblico
pertanto nemmeno la tua. Però ti rispondo, da qui, ora, e coram populo, come si
dice.
Intanto grazie dei complimenti per questo giornale, che mi rendono felice,
almeno per due motivi:
1) perché mi riconosci il merito di una “piacevole fatica” che dura ormai da
oltre sette ininterrotti anni (le attestazioni di stima fanno sempre piacere,
specie quando provengono da un collega di vecchia data quale tu sei)
2) perché, soprattutto, me lo riconosci non solo e non tanto nella tua veste
“privata”, ma nel ruolo pubblico dell’ Istituzione che tu rappresenti: se così
non fosse stato, infatti, non mi avresti scritto dall’indirizzo ufficiale
dell’Università di Palermo.
Ciò vuol dire che parli non solo a tuo nome, ma anche a nome dell’Ateneo, e
questo indipendentemente dal fatto di avere anticipato o meno la tua volontà di
contattarmi a rettore e direttore amministrativo, o di avere aderito a una loro
richiesta, o di averne con loro precedentemente definito termini e contenuti.
Comprendi dunque quanto questo riconoscimento sia significativo per me, oltre
che gratificante, specie alla luce dei noti fatti dello scorso anno, quando
l’Ateneo si imbarcò in una incredibile
storia di censura nei miei riguardi,
che certamente non giovò alla sua immagine né a quella dei suoi
due docenti che esso,
irragionevolmente schierandosi, tentò inutilmente di proteggere.
Ciò vuol dire che l’Università non solo si è ricreduta nei miei confronti – ma
questo l’aveva già a suo tempo dimostrato non applicando mai la pur
ridimensionata “pena” che mi aveva inflitto: due giorni di sospensione dal
servizio e dallo stipendio contro il licenziamento in tronco incredibilmente
deciso prima di procedere all’audizione, e poi altrettanto incredibilmente
rinnegato! – ma è anche intellettualmente aperta a riconoscere l’utilità di
questo giornale, che fa informazione corretta sempre e comunque, anche se
qualche volta pure scomoda.
E questo, se fosse dimostrato, farebbe onore all’Università di Palermo (e al
livello intellettuale dei suoi Vertici istituzionali e di tutto il suo
Apparato).
E ora vengo alle tue richieste: due, una esplicita e l’altra, implicita sì, ma
motivo evidente della richiesta esplicita.
E’ la esplicita, in particolare, che mi compiace. “Possiamo
intrecciare un dialogo per pubblicare le nostre e le vostre pagine web?”, mi
chiedi.
Dunque l’Università di Palermo, per tramite di un suo alto funzionario, chiede a
me, la tanto vituperata, piccola e fastidiosa giornalista che parla troppo e che
non sa stare al posto giusto (sul comò), si è ricreduta al punto, non solo di
complimentarsi per il mio lavoro, ma anche di chiedermi uno scambio di link?!
E come potrebbe non compiacermi una richiesta del genere? Al settimo cielo mi ha
portata, altro che!
Ma confesso di esserci rimasta poco, tra le nuvolette dai colori pastello,
giusto il tempo di crogiolarmi qualche minuto in questa rinnovata veste di
professionista finalmente riconosciuta “anche” dall’Ateneo palermitano.
Poi sono tornata giù, nella realtà grigia di tutti i giorni, e ho dovuto fare i
conti ancora una volta con le solite storie (se vai al secondo articolo di
questo numero capirai).
Storie che accomunano tutta l’Accademia italiana, per carità! Nessuno vuol dare
all’Università di Palermo un’esclusiva così deleteria per la sua immagine
istituzionale.
Però i fatti sono fatti. E non si possono ignorare, specie quando si fa il mio
mestiere.
E i fatti, nel caso dell’articolo numero due di questo giornale, almeno fino a
questo momento, non stanno dando ragione all’Università di Palermo, costretta
dal Tar ad annullare tutti gli atti prodotti nell’ennesimo concorso per
ricercatore pervenuto agli onori (onori?) della cronaca nazionale.
Ne ho scritto, naturalmente, perché oltre che a rientrare nei miei compiti
professionali, rientra, il caso in questione, tra gli scopi di questo giornale.
Pensi che se avessi accettato la tua (vostra) proposta - che infatti, perdonami,
ma non accetto - non ne avrei parlato? Sbagli, se lo pensi, perché io ne avrei
parlato: sono una cittadina libera di un Paese libero, e tale voglio restare.
Ma sarebbe stato alquanto incoerente, da parte mia, da un lato registrare un
caso di malauniversità dell’Ateneo di Palermo (indipendentemente da come finirà,
lo rimane comunque, perché qualsiasi “intoppo” nell’iter
organizzativo-gestionale è “malauniversità” perché nuoce all’intera
struttura); dall’altro, con quello stesso Ateneo (con la sua home page o
direttamente con la pagina del tuo Settore, è lo stesso) stringermi in un
“abbraccio virtuale” – perché è così che io intendo lo scambio di link – un
abbraccio che significa condivisione: di idee, di principi, di scopi e di
comportamenti. Una condivisione che purtroppo non c’è.
Dunque ringrazio e declino formalmente e ufficialmente l’invito.
E passo ora alla tua seconda richiesta, quella di tipo deduttivo, per chi ha un
poco di logica, e che ti sta molto a cuore… come d’altra parte è giusto che sia
per un dipendente pubblico, “storico” per la struttura, innamorato del proprio
lavoro come tu sei.
Mi scrivi della recente pubblicazione – a tua cura, come le altre precedenti da
molti anni a questa parte - della nuova edizione dell’Annuario Accademico
dell’Università di Palermo. Legittimo, da parte tua (vostra), è il desiderio di
pubblicizzarlo, così come incredibile è - considerate le battaglie che ho dovuto
combattere per affermare, davanti a un Ateneo fermo nelle sue indifendibili
posizioni, la legalità della mia testata – la tua (vostra) idea di poterlo fare
proprio attraverso un link al mio giornale.
L’Annuario Accademico, imposto dalla legge già negli anni Venti (R.D. 6 aprile
1924 n. 674 – Approvazione del Regolamento generale universitario), è opera di
fondamentale importanza, indispensabile per ogni Istituzione, che ha il dovere
di affidare alla storia, perché altri in futuro se ne possano giovare, tutta la
vita amministrativa e organizzativa di ogni sua struttura.
D’accordo che un nostro scambio di link avrebbe contribuito ad una ulteriore e
anche molto significativa pubblicizzazione del tuo nuovo Annuario (ma anche così
lo sto già facendo).
Tuttavia… c’è un problema, al di là della mancanza di link che di fatto rende
impossibile tale “operazione mediatica”, e stavolta è un problema personale, che
sconfina però – e questo lo rende particolarmente grave – nel “pubblico”:
l’inattendibilità di precedenti edizioni del tuo Annuario per ciò che riguarda
la mia figura di dipendente dell’Università di Palermo (non so di altri casi,
ma, se sei interessato, posso controllare).
Provo a rammentarti, confortata dalle fonti: i volumi a stampa e la loro
versione elettronica, che anche i lettori, se vorranno, potranno… spulciare (da
unipa.it, alla pagina web del “Settore Documentazione, Pubblicazioni e Archivio
Storico” dell’Università di Palermo).
I tuoi Annuari, più volte, con una recidività che ha dell’incredibile, hanno
clamorosamente “toppato”, sia nell’attribuirmi sedi di servizio, sia – fatto,
oltre che grave e inaccettabile, anche rilevante dal punto di vista legale – nel
non riconoscermi incarichi ufficiali che nel tempo mi sono stati formalmente
assegnati.
Qualche esempio? Ti accontento subito.
Annuario Accademico 1986/1994.
In quegli anni, fino all’ottobre del ’91, ho prestato servizio alla Biblioteca
centrale della Facoltà di Lettere, poi sono andata all’Università di Catania,
per aver vinto un concorso di livello superiore (i livelli superiori si
raggiungono anche coi concorsi pubblici…) e, dopo una permanenza in questa città
di oltre un anno (fino a novembre del ’92), sono tornata a Palermo, a mettere su
dal nulla – questo l’impegnativo incarico che mi è stato assegnato e per il
quale più volte sono stata convocata – la Biblioteca centrale della Facoltà di Scienze
politiche.
Ora, un Annuario che si rispetti, prima di tutto – da qui il nome - dovrebbe
essere pubblicato annualmente: solo così si è in grado di registrare
correttamente i diversi "movimenti evolutivi” che costituiscono la storia
professionale di un normale dipendente pubblico.
Se così non è, si deve comunque essere in grado di annotare, con scrupolo tale
da rasentare la pedanteria, ogni variazione. O, in subordine, nell’evidente
difficoltà di recuperare il pregresso e mettendo in pratica quanto scritto anche
dal rettore dell’epoca proprio sull’edizione ’86/’94, si deve comunque
procedere, dell’Ateneo, a “raccogliere… le notizie più significative…”.
E tu, che hai fatto?
Mi hai cancellata dall’elenco generale dei bibliotecari di Lettere, come se
dall’ ’86 al ’92 non vi fossi mai stata; mi hai inserita alla Biblioteca
centrale di Scienze politiche, come se vi fossi sempre stata, dall’86 al ’94
(ovvero in tutto il periodo preso in esame da questo “lungo” Annuario); e hai
aggiunto un microscopico “codicillo” nell’elenco generale di tutto il personale
dell’Ateneo (pag. 435 della copia cartacea: chissà per quale misteriosa ragione,
le pagine in pdf sul sito Internet non coincidono perfettamente con la
progressione originale di quelle della versione a stampa).
In questa lillipuziana annotazione informi i lettori di un mio “trasferimento ad
altra Università, dalla Biblioteca di Lettere e Filosofia”: quale “altra
Università” non è dato sapere, né si sa da dove sarei stata “trasferita”, visto
che - secondo il tuo Annuario - nell’elenco dei bibliotecari di Lettere, come ho
già detto, non appaio; e neppure si sa per quale strano miracolo io mi sia
potuta trovata a Scienze politiche di Palermo senza aver mai fatto ritorno da
alcuna “altra Università” (sempre a voler dar credito al tuo Annuario che non ha
registrato, neppure con altro lillipuziano codicillo, il mio rientro a Palermo).
Che pasticcio, Marcello! Eppure mi sembrava così lineare, fino a poco prima di
leggere le tue pubblicazioni, la mia carriera professionale!… (e con l’Annuario
Accademico dell’Università di Catania come l’hai messa? Hai sollevato il
conflitto di appartenenza o hai raccontato del mio dono dell’ubiquità?).
Comprendo che tu possa non ritenere i miei trasferimenti – come sollecitato dal
rettore pro tempore - tra le “notizie più significative” dell’Ateneo, ma un
Annuario (vero, non approssimativo) non dovrebbe entrare in questo merito se non
vuole essere classificato – e parlo al mio collega bibliotecario in questo
momento – tra le opere di fantasia.
Altro esempio. Annuario Accademico 1996/1997.
In quegli anni ero allo Steri - da sola, con pochi fondi e senza grande
collaborazione da parte di molti dei nostri colleghi (l’invidia è una brutta
bestia) - a realizzare “Ateneo Palermitano”, organo di informazione ufficiale
dell’Università di Palermo.
E tu, che hai fatto?
Non solo hai ignorato l’esistenza mia e della redazione, ma hai depennato il mio
nome da qualsiasi struttura dell’Università di Palermo! (vedi Indice generale
alfabetico di tutto il Personale).
Eppure sapevi che c’ero e che ero lì, in redazione allo Steri, almeno per
quattro ragioni:
1) Sulle due precedenti edizioni dell’Annuario (’94/’95 e ’95/’96) alla
redazione del giornale mi avevi inserita (che cosa è intervenuto, dopo, che ti
ha indotto a cancellarmi?)
2) Proprio tu sei stato uno dei miei più assidui collaboratori in tutti quegli
anni (e di questo colgo l’occasione per ringraziarti)
3) Abbiamo condiviso con qualche colazione fugace le nostre solitarie
pause-pranzo
4) Il tuo ufficio era a un soffio dalla mia redazione, allo Steri…
Ancora. Annuario Accademico 1997/1998.
Quell’anno ero al Laboratorio di Giornalismo della Facoltà di Scienze della
Formazione - dove ero stata spostata non in qualità di bibliotecaria, ma in
quanto giornalista - e sempre per occuparmi di “Ateneo Palermitano”.
E tu, che hai fatto?
Hai completamente ignorato il Laboratorio e il mio incarico e mi hai collocata
agli Uffici di Presidenza (mi spiegherai, prima o poi, che ci faceva, se non
“l’imboscata”, una bibliotecaria agli Uffici di Presidenza…).
Ma il culmine l’hai raggiunto poco dopo…
Annuario Accademico 1998/1999 – 1999/2000.
Tornata alla Facoltà di Scienze politiche (le “traversie” di “Ateneo
Palermitano” Organo di informazione dell’Università di Palermo sono note e io
stessa più volte ne ho parlato da queste pagine),
sono stata immediatamente nominata, a seguito di delibera del Consiglio di Facoltà
e con decreto della
Dirigenza della Divisione del Personale dell'Amministrazione dell'Ateneo,
direttore della Biblioteca centrale: unico caso dell’epoca, quello, in cui è
stato realmente applicato l’art. 7 del Regolamento delle Biblioteche di Facoltà
dell’Università di Palermo (approvato dal Senato accademico nella seduta del 31
marzo 1983), che obbligava, prima della designazione dei direttori
delle biblioteche centrali, a sentire il parere del preside (che nel mio caso
ha avuto anche il consenso del Consiglio di Facoltà).
E tu? Che hai fatto tu?
Hai scritto e pubblicato (pag. 192) che direttore della Biblioteca centrale
della Facoltà di Scienze politiche era la mia dipendente Maria Di Caro, la quale
– preciso per una corretta e più compiuta informazione – non solo non era
direttore quando in Facoltà c’ero io, ma non lo è stata nemmeno dopo, quando io
non c’ero più, e ciò dimostra una volta di più che l’affidamento di incarichi
del genere non è motivato da automatismi burocratici o da diktat sindacali.
(L’attuale edizione dell’Annuario la dà di nuovo direttore, ma, visti i
precedenti, consentimi di dubitare, in assenza di verifica documentale).
Una svista? Concedimi almeno il beneficio del dubbio, considerato quello che tu
stesso hai scritto (anzi, non scritto) sulla successiva edizione…
Annuario Accademico 2000/2001.
Ero sempre direttore alla Facoltà di Scienze politiche.
E tu che hai fatto sulla nuova edizione del tuo Annuario?
Hai eliminato la “svista” dell’attribuzione della direzione alla mia dipendente
Di Caro (ridimensionandole però, correttamente, il livello: da 8° a 7°), ma hai
mancato di aggiungere al mio nominativo la mia legittima carica, come chiunque
avrebbe fatto in fase di sincera rettifica. Così, a dar credito a quell’Annuario,
la Biblioteca centrale della Facoltà di Scienze politiche, tra tutte le
biblioteche centrali esistenti allora nell’Ateneo, era l’unica a non avere un
direttore, chissà poi perché (è questa l’informazione scorretta che tu hai
affidato alla storia).
Mi fermo qui.
Non voglio dubitare della tua buonafede, ma non posso non sottolineare che tu
non abbia sentito il dovere morale (e professionale) di fare - intorno al mio
nome e pubblicamente, sulle nuove edizioni che nel tempo si sono succedute -
alcuna rettifica (ne prenderai atto per la prossima edizione?).
Così come non posso evitare di precisare che la pubblicazione più importante di
un Ateneo debba basarsi non sui “si dice” che possono arrivare da ogni parte e
per qualsiasi ragione (occulta o manifesta), ma solo, esclusivamente sulla
documentazione ufficiale: per poter “fornire un’immagine coerente
dell’Università nelle sue molteplici articolazioni”, come ben scrive il
rettore Silvestri sull’edizione del 2000/2001.
Per garantire la correttezza (e l’inattaccabilità) di un progetto così
impegnativo com’è quello dell’Annuario Accademico di un Ateneo, occorre “libertà
di pensiero”, prima di tutto.
Caro Marcello, se al tuo posto ci fossi io, cercherei di convincerti della mia
malafede: meglio Alexis di Dynasty, che Homer dei Simpson (ma la mente umana è
così complessa che è difficile, qualche volta, stabilire certi confini).
Lascio a te la libertà di farmi credere quello che vuoi.
Francesca
P.S.: Complimenti per aver dato alle stampe la nuova edizione dell’Annuario
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