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Più volte su
questo giornale abbiamo accennato al caso di David Aliaga, il ricercatore
cileno che vive e lavora in Canada e che avrebbe vissuto
e lavorato in Calabria, probabilmente, se l'Italia non fosse quello che è.
Oggi il caso Aliaga è oggetto di una petizione, firmata già da numerosi
esponenti del mondo culturale nazionale e internazionale, di cui il
giornale on line Just
Response si è fatto promotore.
Noi, per i nostri lettori, abbiamo scelto di ripercorrere le fasi più
significative della storia di Aliaga, pubblicando anche, in altro spazio,
il testo della petizione.
Per testimoniare pubblicamente la nostra solidarietà a questa ennesima,
pluridecennale e non riconosciuta vittima della malauniversità italiana.
Ma soprattutto per offrire un servizio alla verità e alla giustizia.
In Cile, ai tempi di Allende, David Aliaga, è dirigente degli studenti della
sua Università. Quando nel '73 il golpe di Pinochet rovescia il
governo, Aliaga, che si schiera con Allende, è ritenuto dalla dittatura
avversario politico e condannato a un lungo periodo di detenzione.
Grazie all'intervento dell'Onu e di Amnesty International, ottiene asilo
politico in Canada.
Rivede il Cile solo nel '90, appoggiato dall' International Organization for
Migration (Iom), l'Organizzazione per il rimpatrio, nel dopoguerra,
dei rifugiati politici.
Negli anni trascorsi in Canada continua i suoi studi e si innamora di una
ragazza italiana, calabrese, che sposa. Con lei, e per lei, decide di
trasferirsi in Calabria. Nell' '87 supera l'esame di ammissione a un
dottorato di ricerca in Ethnoanthropology all'Università della Calabria,
ad Arcavacata di Rende, in provincia di Cosenza.
Nonostante l'ambiente accademico lì gli sia ostile, Aliaga a gennaio del '90
completa la ricerca ricevendo, per la qualità del suo lavoro,
l'approvazione di esperti internazionali e di specialisti del mondo
accademico - molto vicini ai temi della sua ricerca - come Russel King,
che nel '92 - in una lettera a Tullio Tentori, a quel tempo presidente dell'
Associazione di Etnologia e Antropologia italiana (oggi Aisea) - da un
lato attesta la validità della sua ricerca, dall'altro si stupisce di quanto
fosse stato carente il sostegno a quel ricercatore da parte
dell'Ateneo calabrese.
Soddisfacenti, per Aliaga, le attestazioni di stima, ma i rapporti umani
sono altrettanto importanti e in grado, specie quando non sono
idilliaci come quelli da lui avuti in quegli anni all'Università, di
condizionare pesantemente vita e scelte professionali.
Così il cileno Aliaga decide, per disintossicarsi da quel clima avverso (e
anche per sopraggiunte difficoltà economiche), di lasciare l'Italia
per un po', rimandando ad altra data l'esame finale del suo dottorato e
informando tempestivamente della decisione il Ministero, all'epoca
ancora Murst.
Il Ministero non risponde e nel maggio del '90 informa Aliaga della
composizione della Commissione giudicatrice. Aliaga - che intanto si trova
in Cile grazie appunto allo Iom - reitera la richiesta di proroga, ma per
tutta risposta riceve la comunicazione della data
d'esame: 13 novembre 1990. Aliaga insiste e ottiene la proroga.
La prova finale è fissata per il 25 luglio del '91, ma con una nuova
Commissione giudicatrice, nominata appena venti giorni prima. Il giorno
dell'esame il dottorando cileno - tornato dal Canada proprio per quella
prova - si presenta, ma la Commissione non c'è.
L'esame conclusivo di dottorato è rimandato al 7 agosto del '91. In
Commissione due componenti non hanno neanche letto la tesi, non essendo
riusciti a riceverla in tempo, e tutti i membri sconoscono la relazione
finale del collegio dei docenti che avevano seguito i tre anni di lavoro
di ricerca di Aliaga in Calabria (evidentemente rimasta, come probabilmente
anche il resto della documentazione, agli atti della Commissione
originaria del '90).
Così il candidato è costretto a consegnare al presidente della Commissione
esaminatrice Amalia Signorelli la sua copia personale di quella
relazione al momento dell'esame. Che passa agli Annali dell' Università di
Arcavacata di Rende in quattro e quattr'otto con una bocciatura.
Aliaga non ci sta e contrattacca: troppo approssimativo il lavoro della
Commissione esaminatrice perché il suo giudizio risulti credibile.
Ma grida a vuoto - il sistema universitario italiano non prevede per gli
studenti appelli in difesa delle proprie posizioni - grida per anni,
per affermare le sue ragioni. Che nel '99 approdano al tavolo del Cun, il
Consiglio universitario nazionale, dove nella sessione del 5 e 6 maggio,
"al fine di respingere accuse di inefficienza o illegittimità", si discute
del caso Aliaga, ma senza avvertire la necessità di sentire il
diretto interessato.
La Commissione, costituita ad hoc sul caso, presenta in Consiglio un
documento.
Che giudica "molto strano l'episodio della convocazione in data
25 luglio 1991".
Dunque Aliaga - e con lui altri candidati convocati per quello stesso giorno
come lui - avrebbe preso lucciole per lanterne? Avrebbe affrontato
un viaggio - soldi e fatica - dal Canada a Roma, sede del concorso, per una convocazione
mai avvenuta?
Così potrebbe sembrare, secondo quel sibillino passaggio nel documento della
Commissione ad hoc sul tavolo del Cun. Che subito dopo, a scanso di
equivoci (e di ulteriori approfondimenti) aggiunge: "Va sottolineato in
proposito che la documentazione relativa non è più reperibile in quanto,
per prassi, questo tipo di documentazione viene mantenuta in archivio solo
per un numero limitato
di anni".
Quanti non si sa. Quello che si sa - e che si legge poco dopo sul documento
- è che "la Commissione ad hoc ha preso visione del telegramma di
convocazione dei Commissari per il 7 agosto 1991, conservato dalla
Presidente della Commissione, prof. Amalia Signorelli, interpellata in
proposito".
Che si sia trattato di un altro tipo di convocazione? Di quelli che non
rientrano nella prassi poco prima richiamata dal documento, che
prevede la conservazione "solo per un numero limitato di anni"?
Perché se così non fosse, se il documento di convocazione del 7 agosto del
'91, cioè, fosse dello stesso tipo di tutti gli altri - compreso
quello del 25 luglio del ‘91, prodotto dunque appena tredici giorni prima di
quello di agosto - i membri della Commissione ad hoc del Cun
dovrebbero spiegare allora al cileno Aliaga e a tutti gli italiani come mai,
invece, il telegramma di convocazione del 7 agosto 1991 sia stato
ancora disponibile alla loro visione ben otto anni dopo la sua produzione:
nel '99, cioè, quando il caso - discusso nella sessione del 5-6 maggio
di quell’anno - è approdato appunto al Cun.
Ma "molto strano" per il Consiglio Universitario Nazionale potrebbe non
essere, invece, l'episodio della convocazione che dunque non verrebbe
messa in discussione, quanto piuttosto il fatto che il giorno fissato per un
esame - come per Aliaga la prova di dottorato - i candidati
puntualmente si presentino e l'intera Commissione invece no.
Con tutto il rispetto, se così fosse, liquidare con un "molto strano" un
fatto tanto grave, così come restare immobili piuttosto che attivarsi
per assicurare alla legge i responsabili, significherebbe possedere tutti i
requisiti per le dimissioni in blocco, immediate e definitive.
Cun a parte, il caso Aliaga è ora oggetto di una petizione, destinatari il
presidente della Repubblica, il presidente del Consiglio e il
ministro dell'Università e della Ricerca.
Lo scopo? Sollecitare l'istituzione di una Commissione d'inchiesta che
preveda anche, a garanzia di imparzialità, la presenza di una
componente internazionale: una Commissione con pieni poteri che si faccia
carico di revisionare radicalmente
il caso.
Un estremo tentativo, per David Aliaga, di ottenere finalmente quella
giustizia che cerca e chiede inutilmente da anni. |
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