marzo 2007 numero 63

attualità
Il caso Aliaga, ovvero l'attesa infinita di una giustizia negata
All'esame per dottore di ricerca il candidato c'è, la Commissione no.
Una petizione per sollecitare Commissione d'inchiesta

di  Francesca Patanè

nella foto: David Aliaga

Più volte su questo giornale abbiamo accennato al caso di David Aliaga, il ricercatore cileno che vive e lavora in Canada e che avrebbe vissuto e lavorato in Calabria, probabilmente, se l'Italia non fosse quello che è.

Oggi il caso Aliaga è oggetto di una petizione, firmata già da numerosi esponenti del mondo culturale nazionale e internazionale, di cui il giornale on line Just Response si è fatto promotore.

Noi, per i nostri lettori, abbiamo scelto di ripercorrere le fasi più significative della storia di Aliaga, pubblicando anche, in altro spazio, il testo della petizione.
Per testimoniare pubblicamente la nostra solidarietà a questa ennesima, pluridecennale e non riconosciuta vittima della malauniversità italiana.
Ma soprattutto per offrire un servizio alla verità e alla giustizia.

In Cile, ai tempi di Allende, David Aliaga, è dirigente degli studenti della sua Università. Quando nel '73 il golpe di Pinochet rovescia il governo, Aliaga, che si schiera con Allende, è ritenuto dalla dittatura avversario politico e condannato a un lungo periodo di detenzione.
Grazie all'intervento dell'Onu e di Amnesty International, ottiene asilo politico in Canada.

Rivede il Cile solo nel '90, appoggiato dall' International Organization for Migration (Iom), l'Organizzazione per il rimpatrio, nel dopoguerra, dei rifugiati politici.

Negli anni trascorsi in Canada continua i suoi studi e si innamora di una ragazza italiana, calabrese, che sposa. Con lei, e per lei, decide di trasferirsi in Calabria. Nell' '87 supera l'esame di ammissione a un dottorato di ricerca in Ethnoanthropology all'Università della Calabria, ad Arcavacata di Rende, in provincia di Cosenza.

Nonostante l'ambiente accademico lì gli sia ostile, Aliaga a gennaio del '90 completa la ricerca ricevendo, per la qualità del suo lavoro, l'approvazione di esperti internazionali e di specialisti del mondo accademico - molto vicini ai temi della sua ricerca - come Russel King, che nel '92 - in una lettera a Tullio Tentori, a quel tempo presidente dell' Associazione di Etnologia e Antropologia italiana (oggi Aisea) - da un lato attesta la validità della sua ricerca, dall'altro si stupisce di quanto fosse stato carente il sostegno a quel ricercatore da parte dell'Ateneo calabrese.

Soddisfacenti, per Aliaga, le attestazioni di stima, ma i rapporti umani sono altrettanto importanti e in grado, specie quando non sono idilliaci come quelli da lui avuti in quegli anni all'Università, di condizionare pesantemente vita e scelte professionali.

Così il cileno Aliaga decide, per disintossicarsi da quel clima avverso (e anche per sopraggiunte difficoltà economiche), di lasciare l'Italia per un po', rimandando ad altra data l'esame finale del suo dottorato e informando tempestivamente della decisione il Ministero, all'epoca ancora Murst.

Il Ministero non risponde e nel maggio del '90 informa Aliaga della composizione della Commissione giudicatrice. Aliaga - che intanto si trova in Cile grazie appunto allo Iom - reitera la richiesta di proroga, ma per tutta risposta riceve la comunicazione della data d'esame: 13 novembre 1990. Aliaga insiste e ottiene la proroga.

La prova finale è fissata per il 25 luglio del '91, ma con una nuova Commissione giudicatrice, nominata appena venti giorni prima. Il giorno dell'esame il dottorando cileno - tornato dal Canada proprio per quella prova - si presenta, ma la Commissione non c'è.

L'esame conclusivo di dottorato è rimandato al 7 agosto del '91. In Commissione due componenti non hanno neanche letto la tesi, non essendo riusciti a riceverla in tempo, e tutti i membri sconoscono la relazione finale del collegio dei docenti che avevano seguito i tre anni di lavoro di ricerca di Aliaga in Calabria (evidentemente rimasta, come probabilmente anche il resto della documentazione, agli atti della Commissione originaria del '90).

Così il candidato è costretto a consegnare al presidente della Commissione esaminatrice Amalia Signorelli la sua copia personale di quella relazione al momento dell'esame. Che passa agli Annali dell' Università di Arcavacata di Rende in quattro e quattr'otto con una bocciatura.

Aliaga non ci sta e contrattacca: troppo approssimativo il lavoro della Commissione esaminatrice perché il suo giudizio risulti credibile.

Ma grida a vuoto - il sistema universitario italiano non prevede per gli studenti appelli in difesa delle proprie posizioni - grida per anni, per affermare le sue ragioni. Che nel '99 approdano al tavolo del Cun, il Consiglio universitario nazionale, dove nella sessione del 5 e 6 maggio, "al fine di respingere accuse di inefficienza o illegittimità", si discute del caso Aliaga, ma senza avvertire la necessità di sentire il diretto interessato.

La Commissione, costituita ad hoc sul caso, presenta in Consiglio un documento. Che giudica "molto strano l'episodio della convocazione in data 25 luglio 1991".

Dunque Aliaga - e con lui altri candidati convocati per quello stesso giorno come lui - avrebbe preso lucciole per lanterne? Avrebbe affrontato
un viaggio - soldi e fatica - dal Canada a Roma, sede del concorso, per una convocazione mai avvenuta?
Così potrebbe sembrare, secondo quel sibillino passaggio nel documento della Commissione ad hoc sul tavolo del Cun. Che subito dopo, a scanso di equivoci (e di ulteriori approfondimenti) aggiunge: "Va sottolineato in proposito che la documentazione relativa non è più reperibile in quanto, per prassi, questo tipo di documentazione viene mantenuta in archivio solo per un numero limitato di anni".
Quanti non si sa. Quello che si sa - e che si legge poco dopo sul documento - è che "la Commissione ad hoc ha preso visione del telegramma di convocazione dei Commissari per il 7 agosto 1991, conservato dalla Presidente della Commissione, prof. Amalia Signorelli, interpellata in proposito".

Che si sia trattato di un altro tipo di convocazione? Di quelli che non rientrano nella prassi poco prima richiamata dal documento, che prevede la conservazione "solo per un numero limitato di anni"?
Perché se così non fosse, se il documento di convocazione del 7 agosto del '91, cioè, fosse dello stesso tipo di tutti gli altri - compreso quello del 25 luglio del ‘91, prodotto dunque appena tredici giorni prima di quello di agosto - i membri della Commissione ad hoc del Cun dovrebbero spiegare allora al cileno Aliaga e a tutti gli italiani come mai, invece, il telegramma di convocazione del 7 agosto 1991 sia stato ancora disponibile alla loro visione ben otto anni dopo la sua produzione: nel '99, cioè, quando il caso - discusso nella sessione del 5-6 maggio di quell’anno - è approdato appunto al Cun.

Ma "molto strano" per il Consiglio Universitario Nazionale potrebbe non essere, invece, l'episodio della convocazione che dunque non verrebbe messa in discussione, quanto piuttosto il fatto che il giorno fissato per un esame - come per Aliaga la prova di dottorato - i candidati puntualmente si presentino e l'intera Commissione invece no.
Con tutto il rispetto, se così fosse, liquidare con un "molto strano" un fatto tanto grave, così come restare immobili piuttosto che attivarsi per assicurare alla legge i responsabili, significherebbe possedere tutti i requisiti per le dimissioni in blocco, immediate e definitive.

Cun a parte, il caso Aliaga è ora oggetto di una petizione, destinatari il presidente della Repubblica, il presidente del Consiglio e il ministro dell'Università e della Ricerca.
Lo scopo? Sollecitare l'istituzione di una Commissione d'inchiesta che preveda anche, a garanzia di imparzialità, la presenza di una componente internazionale: una Commissione con pieni poteri che si faccia carico di revisionare radicalmente il caso.
Un estremo tentativo, per David Aliaga, di ottenere finalmente quella giustizia che cerca e chiede inutilmente da anni.


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