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Docenti a
contratto dai cognomi altisonanti (per una immediata verifica
leggi qui), ma anche personale non docente - dirigenti, per la precisione - con maxi stipendi e indennità di rendimento a prescindere dal rendimento.
Questo all'Alma Mater Studiorum di Bologna (a segnalarci il caso che coinvolge i dirigenti dell'Ateneo emiliano il sindacato Rdb Cub) e chissà in
quanti altri Atenei nazionali.
E' realismo, non pessimismo, alla luce di alcune considerazioni.
Contratti di diritto privato. Sono un ottimo (e legale) "giochetto" per
insegnare all'Università senza aver vinto alcun concorso pubblico (non entrando nel merito della qualità dei concorsi pubblici per docenti universitari
italiani). Unica condizione è avere gli appoggi giusti.
Ma in un Paese clientelare come l'Italia, dove lobby e corporazioni dettano legge, dove in ogni ambito
sociale e professionale (in alcuni più che in altri...) le famiglie si ramificano in rivoli e rivoletti, tra parentele dirette e acquisite, e gli
amici sono tenuti nella "più opportuna" considerazione - e ancora di più "gli amici degli amici" - in un Paese così non è difficile ottenere appoggi se
ci si chiama nel modo giusto: in certi ambienti i cognomi diventano essenziali.
Così nascono le dinastie, così gli spartiacque: quelli che
dettano legge (e che lucrano sulle pelle degli altri) da un lato, i "senza nome" dall'altro.
Non è difficile scovarli, quelli che dettano legge
nelle Università italiane: basta seguire, come Pollicino con le mollichine di pane, i vari prof Rossi, Bianchi e Gialli di ciascun Ateneo, di
ciascuna Facoltà, di ciascuna area disciplinare. Un lavoro lungo e certosino e anche insidioso, perché occorre molto intuito e una buona dose
di fortuna (chiamiamola così) per scoprire cognomi diversi, ma appaiati dagli stessi "destini familiari" (chi l'avrebbe mai detto, per esempio,
qualche tempo fa, nell'ormai noto caso di Agraria di Palermo - prima che gli intrecci parentali della Facoltà salissero agli onori delle cronache
nazionali e internazionali
"grazie" a due suoi docenti - Salvatore Tudisca e Antonino Bacarella -
nell'occhio del ciclone giudiziario
per
una storia di concorsi truccati -
che il primo dei due, Salvatore Tudisca, e Anna Maria Di Trapani, che insegna nella stessa Facoltà, sono marito e moglie? E che (per par condicio
parliamo anche del secondo dei due) il prof. Antonino Bacarella in Facoltà ha, oltre alla sorella Rosalia, bibliotecaria, e alla figlia
Simona, che indiscutibilmente di cognome fanno entrambe Bacarella, anche un nipote, tal Luca Altamore?): un lavoro, però,
che alla fine darà sicuramente i suoi frutti (marci, molto spesso, ma questo è un altro discorso).
E passiamo alla dirigenza. Ovvero
agli intoccabili del personale non docente delle Università nazionali (tranne qualche raro caso in cui il dirigente diventa scomodo e allora passa
dalle stelle dei megastudi con poltrone in pelle alle stalle del licenziamento in tronco: è già accaduto).
L'autonomia universitaria consente alle
Amministrazioni una gestione del budget secondo criteri dettati dalle Amministrazioni stesse. E fin qui nulla quaestio.
Il problema è che in molte
Università italiane è il budget che si adegua alle esigenze e non viceversa. Giusto, se le esigenze fossero strettamente
collegate alla qualità della didattica, alla ricerca, oppure, per restare nell'ambito dell'area tecnico-amministrativa, alle selezioni per assicurarsi
le migliori professionalità presenti sul mercato.
Ma non è così. Le selezioni spesso si saltano in tronco con l'escamotage delle chiamate dirette;
delle valutazioni ballerine dei titoli; delle proroghe contrattuali stiracchiate; dei lavori a progetto nei quali prima nasce il responsabile
del progetto e poi il progetto, che gli si cuce addosso su misura;
del pozzo nero delle consulenze; degli incarichi professionali extra lavorativi che in certe Università - dove gira e rigira gli incarichi vengono
affidati sempre al personale interno, e spesso, gira e rigira, sempre alle stesse
persone che, sempre gira e rigira, li eseguono durante le normali ore di servizio - sono diventati per i più "fortunati" veri e propri stipendi
aggiuntivi.
E le esigenze ci sono, certo, e vengono tenute nella giusta considerazione, ma sono quelle strettamente personali dei dirigenti, meglio, dei loro
conti in banca.
Così accade che, tornando al fatto di cronaca di cui ci stiamo occupando, i dirigenti all'Alma Mater Studiorum di Bologna vengano
assunti per chiamata diretta ("Il Bologna", 29 gennaio 2007), percepiscano stipendi da nababbi con incarichi da 100 mila euro l'anno
(con buona pace del budget) e, soprattutto, rimangano in servizio e si pappino premi di produttività anche se non hanno raggiunto gli obiettivi
che erano obbligati a raggiungere.
E già premiare l'inefficienza è indice di gestioni amministrative poco chiare; premiarla con somme a tanti zeri non solo è poco chiaro,
ma anche vergognoso.
Non stiamo straparlando e ve lo dimostriamo. Torniamo alla cronaca del "Bologna".
Se hanno lavorato meglio del previsto, i sedici dirigenti che hanno
fatto scatenare il
caso in Consiglio di Amministrazione (grazie anche alla combattiva Antonella Zago, rappresentante RdB nel C.d.A. bolognese) guadagnano 30 mila euro
in più sui 100 mila di base già detti; se hanno lavorato secondo le aspettative perdono 5 mila euro, ma si beccano comunque 25 mila euro in più
sulla paga base. E se hanno fallito gli obiettivi? Un dramma: il bonus è "solo" di 20 mila euro.
Centoventimila euro lordi complessivi che vanno nelle tasche dei dirigenti incapaci.
Il tutto taci maci, come si dice al Sud. O meglio, nell'assoluto rispetto della privacy, l'unica legge a
essere veramente applicata in Italia.
"Non ci fanno capire la metodologia del giudizio - ha dichiarato la Zago al quotidiano bolognese - né
entrare nel merito dei criteri. Non sappiamo i nomi di chi ha raggiunto o meno gli obiettivi prefissati, ma il criterio della privacy non dovrebbe
esistere all'interno del C.d.A.".
Non dovrebbe, appunto. Ma il raffinato sistema di altrettanto raffinati ambienti professionali non è quello di violare la normativa,
piuttosto di "adattarla" ai propri scopi. Perciò nessuna omertà, sui magnifici sedici, ma rispetto della loro privacy.
E non è tutto. Perché, alla
faccia dell' arcinota e strombazzata efficienza emiliana, al C.d.A. dell'Alma Mater Studiorum di Bologna se la prendono comoda, talmente comoda che i
dirigenti, non solo vengono comunque premiati, e con fior di quattrini, non solo sono coperti dal "segreto istruttorio" e a nessuno è dato sapere chi
ha percepito quanto, ma vengono valutati anche con anni di ritardo - la bagarre di cui vi stiamo dando notizia riguarda l'operato del 2005 - e va bene
che tanto non verrebbero comunque rimossi dall'incarico (il sospetto ci è consentito, speriamo), ma lasciarli per anni a lavorare tranquillamente al
loro posto, e continuare intanto a pagarli, per l'Ateneo non solo è economicamente deleterio, ma anche irrimediabilmente cretino.
Ma chi sono i
magnifici sedici di cui stiamo parlando? Li citiamo in rigoroso ordine alfabetico per non far torto a nessuno: Ersilia Barbieri, Roberto Barreri,
Laura Bertazzoni, Stefano Corazza, Alice Corradi, Marco Degli Esposti, Francesco Faina, Giovanna Flora Falsetti, Giovanna Filippini, Sanzio Gamberini,
Michele Menna, Monica Passarini, Carlo Polacchini, Bruno Quarta, Maria Cristina Raboni e Paolo Vicini. "Su di loro - leggiamo sul
"Bologna" - il direttore amministrativo Ines Fabbro ha presentato solo un giudizio generale, senza soffermarsi sul rendimento di ciascuno".
Un parere generale e generico, un giudizio di merito che non entra nel merito, una valutazione con indennità di rendimento a prescindere dal rendimento.
E pure presentato con un anno di ritardo sulla tabella di marcia, ritardo che l'ineffabile Fabbro ha motivato con "il sovraccarico di incombenze che
gravano sulla Direzione amministrativa". E la giustificazione ha rivoltato ulteriormente gli animi già agitati di Zago e di qualche altro rappresentante
in C.d.A., che si sono opposti al voto.
Un braccio di ferro che il rettore dell'Ateneo Pier Ugo Calzolari ha deciso di far cessare rinunciando a mettere
ai voti la deliberazione. Per tagliare la testa al toro, come si dice.
E la relazione del direttore amministrativo? Solo una lettura in Consiglio, come
"mera presa d'atto", scrive "Il Bologna".
Peccato che, per ammazzare il tempo, il C.d.A. non abbia scelto di leggere Dylan Dog: lui almeno i casi incomprensibili li risolve tutti.
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