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Repetita in questo caso non iuvant. Cioè, non dovrebbe. Anzi, se fossimo in un Paese serio stroncherebbe centinaia
di carriere accademiche.
Invece le favorisce. Anzi le determina. Perché - si è capito che sto parlando di plagi? - l'operazione di
scopiazzatura, peraltro spesso maldestra nella sua sfacciataggine, serve in Italia per costruire pubblicazioni ad hoc, leggasi titoli altrimenti inesistenti
per vincite di concorsi accademici altrimenti inesorabilmente "bucati".
Questi, signore e signori, sono molto spesso i nostri docenti universitari italiani.
Un momento, prima di crocifiggermi. Mica lo dico io.
Lo dicono le carte, ciclate e riciclate.
E l'hanno denunciato tantissimi giornali prima di questo.
Dunque, cari docenti accademici italiani, non agitatevi: sto solo scoprendo l'acqua calda.
Ma che ci volete fare. Io alle lettere anonime ci credo quando sono accompagnate da tanto di documentazione inconfutabile come quella
che ho messo a disposizione per tutti i lettori sul
precedente numero di "Ateneo Palermitano".
Due articoli, pubblicati in occasioni e anni differenti, con lo stesso contenuto (a parte qualche esemplificazione e un
leggero riadattamento nella versione scopiazzata), con due diversi titoli (ma il lavoro di
verifica delle Commissioni in sede di concorso si ferma solo alla lettura dei titoli?), e - udite, udite! - anche diversi autori: Roberto Pini,
Michele Raffaelli, Alessandro Barbini e Andrea Peruzzi
nella versione originale del 1999 (quella che è stata plagiata); Gristina L., Ferrotti F., Poma I., Sarno M. nella
versione scopiazzata del
2001.
A guardare la versione due, per prima cosa io penso ai nomi di battesimo: li devo immaginare.
L sta per Lucio o per Landolfo?
Ed F? Filippo, Fabio o Ferdinando? I potrebbe essere Isidoro, è il primo nome che mi viene in mente. Ed M? M come Marco?
Come Michele?
Come Marcello? Come Maurizio? (Domanda: i responsabili di plagio sono meno responsabili se si nascondono dietro un'iniziale?).
In fatto di plagi la storia dei nomi puntati può tornare utile, in certi casi: facilita il gioco
delle tre carte nei casi di parziale omonimia.
Non sono chiara? Allora provo a spiegarmi meglio.
Se io per esempio mi chiamo Mario Rossi
(bersaglio costante di esempi casuali) e - vuoi per fortuna, vuoi per parentele - ho l'occasione
di riciclare, per il mio bel plagetto da presentare a un
concorso per docente accademico, una pubblicazione il cui autore ha lo stesso mio cognome, ma nome e identità diversi, che faccio?
Il gioco delle
tre carte, appunto.
Abracadabra e per esempio quel Rossi E., che, mettiamo, sta per Ermenegildo (mio padre, nonno, fratello o cugino di primo, secondo o terzo grado, oppure
semplicemente un mio
fortuito omonimo) si trasforma come per incanto in Rossi M.: io, appunto.
Ed ecco pronta la mia bella pubblicazione fresca di rinnovata stampa.
E la Commissione di concorso a cui presento quel lavoro come titolo per documentare la mia efficiente
professionalità?
Come le tre scimmiette: non vede, non sente, non parla.
E poi non sottilizzate, diamine! Rossi è Rossi, c'è
qualche dubbio? E una lettera puntata, in fondo, è solo una lettera dell'alfabeto, un refuso tipografico, magari, chissà. Anzi, chi sa sa, e chi non sa
è meglio che continui a non sapere.
Questi, signore e signori, sono molto spesso i nostri docenti universitari italiani.
Qualche esempio? Vi accontento subito (ma anche voi potrete trovare ampia documentazione sull'argomento).
Il senatore di Alleanza Nazionale Giuseppe Consolo.
Nel 2000 partecipa a un concorso per professore ordinario all’Università di Cagliari
e presenta, come pubblicazioni proprie, testi giuridici altrui. L'attenzione del giudice Roja si concentra in particolare su un testo del 1999,
dal titolo "La sfiducia a un singolo Ministro nel quadro dei poteri di indirizzo e controllo del Parlamento", "costituito - come si legge
sul capo di imputazione - dalla pedissequa riproduzione e dalla trascrizione di interi brani delle opere di Sicardi, Olivetti, Chiola, e Cicconetti".
Consolo viene condannato a sei mesi di reclusione e a mille euro di multa. (La notizia è tratta da "La Nuova Sardegna", 14 gennaio 2005).
Un altro esempio? Quello eclatante che fece (inutile) "storia".
Cognome: Zamagni, nome: Stefano, professione: docente universitario ed economista di fama
internazionale, referenza
numero uno: consigliere del Vaticano per i temi di economia e giustizia sociale, referenza numero due: amico di un altro docente universitario, Romano Prodi,
economista di fame nazionale (avete letto bene... con tutte le tasse che ci ha appioppato...).
Nell''82 Zamagni pubblica un articolo - “Methodological Fundamentals of the Austrian School”: ventinove pagine di cui sette interamente
tradotte da “On Austrian Methodology”, pubblicato nel 1977 dal filosofo americano Robert Nozick. Senza virgolette né corsivi.
Giustificazione di Zamagni:
"Nel lavoro scientifico c’è sempre un elemento di lavoro congiunto. C’è il momento di trasmissione della conoscenza, un momento in cui né è possibile né è
rilevante stabilire chi abbia pensato cosa per primo".
Che in altre parole significa: chi me lo fa fare di pensare, se qualcun
altro l'ha fatto prima di me? "Condividiamo" e non se ne parla più
(irrilevante che a saperlo, della "condivisione", sia soltanto il plagiante
e non anche il plagiato...), mischiamo le carte e chi s'è visto s'è visto,
alla faccia delll'onestà intellettuale.
Libri come al fast food, precotti e preconfezionati. Un'abitudine tutta italiana. Una tradizione pluridecennale di scopiazzature
di pubblicazioni nazionali e soprattutto straniere (ma nel caso di Zamagni anche di interi pezzi di articoli del "Sole 24 ore"), una prassi radicata
che trova la sua forza nell'uniformità di comportamento, complice e colpevole, solidale e strisciante nel rispetto della "legge": quella del silenzio.
E così l'uno copre l'altro perché oggi è toccato a te, domani toccherà a me...
Omertà accademica, "mafitudine" istituzionalizzata, malauniversità
(tanto per tornare al nostro leit motiv).
Insomma, mal comune mezzo gaudio. Tanto gaudio che neanche chi dovrebbe condannare condanna.
Torniamo a Zamagni. Sedici eminenti economisti italiani
scrivono alla Società Italiana degli Economisti chiedendo un’indagine sulle accuse e l’insediamento di una Commissione per stabilire la verità.
Il Consiglio di Presidenza risponde picche. E le richieste ufficiali cedono il passo alle lettere anonime. Fino alla significativa
presa di posizione ufficiale della Società, che - per bocca di Pietro Alessandrini, membro del Consiglio di Presidenza - "ritiene che non ci
sia bisogno di un pronunciamento”.
I professori universitari che copiano sono talmente tanti in Italia che raramente vengono puniti dalle Autorità accademiche
o stigmatizzati dalle Istituzioni di settore.
“L’Italia è completamente fuori controllo - ha dichiarato il rappresentante di una casa editrice inglese di stanza a Milano a THES (The Times
Higher Education Supplement) - ci sono esempi di intere sezioni di libri prese, tradotte e usate come materiale originale".
Questi, signore e signori, sono molto spesso i nostri docenti universitari italiani.
A cui i più moderni software antiplagio, per la verità, potrebbero rendere la vita
un po' più difficile, ma che volete, siamo in Italia: qui
una cosa è la possibilità, un'altra l'opportunità.
Io non posso (non voglio) credere che dietro tutto questo così radicato
malcostume da parte dei Signori della Scopiazzatura ci sia incompetenza (anche se imbattere in docenti ignoranti - e
presuntuosi e arroganti - accade purtroppo sempre più spesso): preferisco
pensare a pigrizia mentale generalizzata, a coma accademico indotto da
insufficiente ossigenazione cerebro-intellettuale causa pluridecennale
mancato aggiornamento. Dunque la domanda a questo punto è diretta (cioè rivolta direttamente a loro):
cari docenti universitari italiani, non vi vergognate?
Davanti a questo andazzo, se tutti i prof "puliti" (e ce ne sono, credetemi) andassero
in giro con un cartello al collo - Plagio? No grazie, Mafia accademica? No,
grazie - io non ci troverei niente di strano.
Insomma, qualcuno faccia qualcosa: siamo la vergogna internazionale.
Una vergogna che può chiamarsi anche truffa, quando quelle finte personali
pubblicazioni diventano titoli personali in finti concorsi...
Signori Giudici, Magistrati, Piemme, Avvocati, Pretori, Procuratori,
Gip, Gup e chi più ne ha più ne metta, se ci siete, battete un colpo... Possibilmente sulla testa loro.
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