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Il caso in questi ultimi mesi (ma non solo quello...) ha fatto sì che "Ateneo Palermitano" involontariamente
subisse una sorta di mutazione: da giornale esclusivamente di
informazione universitaria
e di cronaca specialistica, a giornale anche di denuncia: brogli, connivenze, concorsi truccati,
commissioni addomesticate, atteggiamenti mafiosi, cupole accademiche, ritorsioni, cabine di regia, vendette
personali e pubbliche punizioni, in una parola malauniversità.
Tutto è cominciato da un banale (ma dirompente)
articolo di cronaca su un'indagine aperta nei confronti
di due docenti dell'Università di Palermo, pubblicato a gennaio di quest'anno,
che ha sconvolto gli animi dei protagonisti, prima di tutto (da chi è partito l'input a punire la giornalista e
dipendente dell'Ateneo, colpevole di aver tirato fuori l'argomento su un giornale che per giunta si chiama
"Ateneo Palermitano"? Non lo sappiamo e dunque non lo scriviamo, ma il dubbio è legittimo e da più parti
manifestato).
Poi è accaduto tutto quello che già sapete: il processo sommario alla responsabile di quell'articolo
messo in piedi illegittimamente e abusivamente dai vertici amministrativi dell'Ateneo; la punizione massima - il
licenziamento - non effettivamente concretizzatasi per codardia da parte del Tribunale inquisitorio, non certo per
ravvedimento, e dunque moralmente comunque inflitta; e poi - quasi come un prosieguo naturale della storia -
l'allargamento dell'interesse del giornale al caso Paris, il professore che dalla California ha fatto
partire la denuncia al mondo dell'economia agraria accademica italiana e che a sua volta ha dovuto affrontare, e sta ancora
affrontando, la catena di Sant'Antonio delle denunce e delle querele per quello che ha "osato" fare; e ancora, l'ingresso
nelle nostre pagine, fortemente voluto e accuratamente programmato,
anche di altri fatti, altre storie
private - il caso Anania, il caso Eboli, lo stesso caso Oddo - che però di privato hanno solo il punto di partenza,
perché in realtà
costituiscono esempi esemplari (scusate il bisticcio) di ciò che qualche volta (troppo spesso) è l'Università
pubblica in Italia o di ciò che ancora è purtroppo molto lontana dall'essere, a seconda del punto di vista in cui
(dualisticamente!) guardate il problema.
Siamo molto contenti di come stanno andando le cose: per il giornale è
un'attestazione di qualità (mettiamo da parte le modestie idiote: abbiamo
dovuto sgobbare sei anni per convincervi della nostra professionalità,
lasciate adesso che ce lo godiamo tutto, questo successo!), e anche una
conferma che il messaggio che abbiamo lanciato col
primo editoriale del 2001
- la nostra "mission", come si dice - è stato perfettamente
recepito.
Avevamo scritto, in quell'occasione, che avremmo fatto informazione, ma soprattutto controinformazione:
"perché la verità è sempre una. E non ha colori politici, né simpatie sindacali, né inciuci lobbistici".
L'avevamo scritto allora e lo confermiamo a maggior ragione adesso che questo giornale è diventato
- non per nostra scelta, ma per volontà dei lettori e di tutti quelli che ci hanno scritto e ci scrivono - un punto di
riferimento concreto, una voce "pubblica per il pubblico", una cassa di risonanza per i temi di malauniversità.
E come punto di riferimento, infatti, è stato inteso da David Aliaga, che sul
numero scorso ci ha scritto una
nota di solidarietà
in riferimento al caso-Patanè, ma nello stesso tempo ha sentito l'esigenza di raccontarci la
sua storia, privata sì, ma riconducibile a un sistema universitario italiano sempre più criticato e criticabile.
Non siamo entrati nel merito del caso-Aliaga, ma abbiamo raccolto quella voce di denuncia scegliendo di pubblicare la
lettera aperta inviata al rettore dell'Università della Calabria e che Aliaga ha ritenuto opportuno
farci pervenire.
Nessuna controrisposta, che noi saremmo stati ben felici di pubblicare, abbiamo ricevuto dalla Calabria.
Su questo numero, allo stesso modo e con le stesse finalità, stiamo dando
voce a Maurizio Oddo (del suo caso abbiamo fatto
cenno lo scorso maggio),: che sulla lettera di ringraziamento che ci ha inviato per esserci occupati di lui,
ha ritenuto opportuno raccontarci altri particolari e aggiornarci sul prosieguo della sua "avventura"
all'Università di Palermo.
Altri ci hanno scritto (persino di ambiti che con l'Università non c'entrano niente, ma che con
essa condividono gli stessi limiti e le stesse opacità di comportamento)
narrandoci le loro storie o semplicemente manifestandoci, anche solo attraverso un messaggio
sui nostri forum, le loro frustrazioni. Firmando gli interventi, sempre; ma chiedendoci molto spesso
di garantire loro l'anonimato. (Significativa, questa continua necessità di anonimato, segno inconfutabile dell'aria
intimidatoria - e persecutoria - che si respira negli ambienti accademici italiani).
Tante le lettere che abbiamo ricevuto da convincerci che le storie di
malauniversità in Italia sono come le ciliege: una tira l'altra e non ci si ferma più.
Il temporale di marzo (quello che all'improvviso ha coinvolto il direttore di questo giornale) è
diventato un uragano di storie, una tempesta di rabbia per troppo tempo repressa, un oceano di delusioni
sempre più livide, un ciclone di astio e risentimento, legittimi entrambi - questi ultimi - non discutiamo,
"umani" e impossibili da arginare, almeno nella propria sfera privata.
Non però in quella pubblica.
"Ateneo Palermitano" - l'abbiamo detto e ribadito - è un giornale libero, cioè un giornale
che non si lascia condizionare, né da una parte né dall'altra; un giornale aperto a chi ha qualcosa da dire utile
alla collettività, o su cui rispondere e controbattere. Nel nome di quella trasparenza intellettuale sulla quale tanto
spesso ritorniamo e che fa la differenza tra un giornale di gossip (senza nulla togliere a un giornale che fa gossip) e un
giornale fondato prima di tutto sulla credibilità e sulla serietà d'intenti.
Per questo motivo una cosa vogliamo sia chiara.
Continueremo sulla strada intrapresa,
se questo può essere un buon contributo alla "causa", il rinnovamento dell'Università
italiana: una causa ambiziosa per la quale anche noi, in prima persona e in prima linea, abbiamo scelto di combattere;
continueremo ad ospitare la voce delle "parti" e ad auspicare di poter fare la stessa cosa con quella delle "controparti";
continueremo a pubblicare storie e istanze private, ma di interesse pubblico e continueremo a "provarle",
documenti alla mano, com'è giusto che sia quando si fa cronaca seria e non gridata:
perché è nostro
primo dovere informare e perché vogliamo contribuire, ripetiamo, alla soluzione di problemi che sono di tutti, in quanto
manifestazioni del disagio di un'intera categoria, di un' Istituzione.
Perciò ci batteremo ancora per una "giustizia giusta", ma
non ci lasceremo strumentalizzare dalle piccole vendette private, dalle
rivalse personali che non hanno altro scopo se non quello di fare, in un certo senso,
"appattare" le carte: i "regolamenti di conti" riguardano gestioni e ambiti estranei a questo giornale.
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