febbraio 2004 numero 26

speciale
Riforma? No, grazie
Le novità che i docenti non digeriscono
di f. p.
nella foto: Il ministro Letizia Moratti

La medicina, ahiloro, è veramente amara. E siccome non siamo nel mondo delle favole e non ci sono fate turchine disposte a convincerli che anche se è amara fa bene (la Moratti proprio una fata turchina non è, anzi, coi suoi modi da generale di corpo d'armata, hanno voglia di aspettarsi buffetti accomodanti sulle guance), a loro, i professori delle Università italiane, non resta che mandarla giù. Senza neanche lo zucchero di Mary Poppins.

Ma quali sono i punti più controversi del disegno di legge delega firmato Moratti che i nostri docenti accademici non riescono a digerire? Essenzialmente tre.
Il primo: il reclutamento dei professori. Ordinari e associati, verranno selezionati con concorsi nazionali, a cadenza annuale. Il numero dei posti disponibili per settore scientifico-disciplinare sarà pari al fabbisogno indicato da ciascun Ateneo (e dunque la copertura finanziaria dovrebbe essere garantita), incrementato di una quota non superiore al 20% per permettere un margine di flessibilità tra un concorso e l'altro.
La selezione, su base nazionale, da un lato garantirà una maggiore trasparenza nelle procedure e nelle scelte che verranno operate, dall'altro metterà su più difficili banchi di prova professionalità che non competeranno più nel ristretto e "amichevole" ambito locale.

Il secondo: il reclutamento dei ricercatori. Spinosa questione. La riforma dice basta ai concorsi per ricercatori, fatti salvi i diritti già acquisiti di quelli attualmente esistenti e ad esaurimento. Per la didattica integrativa si faranno contratti co.co.co. e a tempo determinato.
Una specie di procedura per obiettivi. Raggiunto l'obiettivo, alla scadenza del contratto, o un'unica possibilità di riconferma, oppure arrivederci e grazie.
Il sistema favorisce il precariato, anche decennale? Secondo i ricercatori sì, ma una riflessione è d'obbligo: serve di più a un'Amministrazione avere sul groppone ricercatori a vita, magari demotivati e stanchi, che come unico tema di ricerca si sono imposti il raggiungimento del posto fisso, oppure poter utilizzare, seppure per tempi limitati, specialisti che danno l'anima per raggiungere l'obiettivo mirato per cui sono stati assunti? E' più efficiente un sistema garantista di pseudodiritti rivendicati e non rivendicabili, oppure un sistema che, se non funzioni come devi, ti mette alla porta?

Il terzo: attività didattica e stipendi. La riforma Moratti impone ai docenti un'attività scientifica per 350 ore l'anno, 120 delle quali da dedicare alla didattica frontale. Un puntello che segna confini precisi e finalizzati ad assicurare non gli interessi di parte, ma la qualità della prestazione.
In campo retributivo lo stipendio del docente sara’ costituito da una parte fissa ed una variabile. Questa seconda parte rapportata all’impegno del docente.
Mala tempora currunt per quei "baroni" che amano delegare per le "banali" attività del quotidiano gli associati e spesso anche i ricercatori.

Il quarto: tempo pieno e tempo definito. Oggi, scegliendo il tempo definito, un docente può esercitare senza problemi la libera professione. Con la riforma, che abolisce la distinzione, i docenti avranno sì facoltà di svolgere attività professionale esterna, ma dopo averne informato la propria Università e solo se tale attività non sia in concorrenza e non rechi danno all'Ateneo.
Sarà opportuno che quei docenti con attività professionale esterna di un certo impegno (anche in termini di ore) - i tanti avvocati, architetti, ingegneri - ridisegnino la propria vita lavorativa al più presto. E tralascino il rovescio della medaglia. In fondo sarebbe anche potuta finire peggio, per esempio con l'ipotesi di una figura di docente a rapporto esclusivo con l'Università, ventilata al tempo del ministro Zecchino.

Insomma, docenti in fibrillazione nei settanta Atenei del Paese, e il ministro Moratti, dall'altro lato, che assicura sul fatto che il testo della sua riforma ricalca le esperienze degli altri Paesi europei e ad essi ci allinea.
Ma è sicuro, il nostro ministro di ferro, che i cari, vecchi professori accademici nazionali abbiano tutta questa voglia di allinearsi? Non è l'Italia il Paese del tiramo a campà?

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Docenti: punto e a capo
 Docenti? Razza in estinzione. Secondo loro



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