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Di Rita Clementi, la ricercatrice
di Pavia “fuggita” dall’Italia per motivi di malauniversità, hanno parlato
diversi giornali in questi ultimi mesi: la sua scelta di accusare
pubblicamente l’Università italiana e di lasciare l’Italia e trasferirsi a
Boston ha fatto molto scalpore. Forse perché pochi alle parole fanno seguire
i fatti.
Di andare via dal sistema universitario nazionale Rita l’aveva deciso da
tempo.
Noi di “Ateneo Palermitano” l’abbiamo conosciuta nel 2006 a Roma, luogo
deciso per incontrarsi con tranquillità per le rivelazioni che ci aveva
anticipato telefonicamente. Credevamo fosse lo sfogo generico dell’ennesima
ricercatrice senza padrino e invece Rita ci racconta una storia di
concorsopoli estremamente dettagliata con tanto di nomi e cognomi. E
soprattutto ci fornisce la registrazione di una conversazione nella quale il
barone di turno le dice che sarebbe stato inutile partecipare al concorso al
quale aveva presentato domanda perché “tanto qui non verrà a lavorare mai”.
Ma facciamo un passo indietro per spiegare chi è Rita Clementi, una laurea
in medicina e due specializzazioni, una in Pediatria e l’altra in Genetica
medica. Fa ricerca di base nel campo della biologia molecolare applicata
alla medicina e concentra i suoi sforzi nello studio del ruolo di una
particolare proteina (la perforina) nell'insorgenza di alcune malattie tra
cui i linfomi. I risultati, in termini scientifici, non tardano ad arrivare,
testimoni le diverse pubblicazioni apparse sulle più importanti riviste
mondiali. Ma “non sono i risultati e i riconoscimenti ufficiali – dice alla
Clementi chi esercita il potere nella sua Facoltà – a contare per garantire
a un ricercatore una sistemazione e la possibilità di continuare la sua
ricerca”.
Lei non si scoraggia, sostiene le spese della ricerca, lavora giorno e
notte. E scopre la correlazione tra mutazione nel gene della perforina e
l’insorgenza di linfomi. E’ a questo punto che Rita comincia a doversi
difendere dalla "cannibilizzazione" della sua scoperta, come lei l’ha
chiamata. Cannibilizzazione che puntualmente c’è stata – lei aveva
raccontato l’intuizione a persona del settore – e la scoperta viene fatta sì
oggetto di brevetto internazionale, ma con un altro inventore. Clementi
accetta il ricatto pur di far andare avanti il brevetto, ma ciò le provoca
una grave crisi che la porta a presentare lettera di dimissioni senza
motivazioni ufficiali. Prima di mollare però inoltra domanda di concorso per
ricercatore. Presenta le sue scoperte, ma “qualcuno” le dice che “tanto non
avrebbe vinto”. Partecipa lo stesso al concorso (“Ha avuto il coraggio di
venire?”) e con la mente a un’altra frase – “Tanto qui non verrà a lavorare
mai” – decide di alzarsi e andare via. La frattura è insanabile. Il giorno
prima dell’esame è il giorno della spedizione a se stessa del nome della
futura vincitrice. E della registrazione della conversazione suddetta per
costruirsi la prova in caso di denuncia.
Eravamo pronti noi di “Ateneo Palermitano” ad agire e tirare fuori la
registrazione custodita nei nostri archivi a denuncia inoltrata, ma… Rita
Clementi alle parole non ha potuto far seguire i fatti – quella denuncia
sarebbe stata per noi il punto di forza certo e documentabile per dire la
verità senza mettere a rischio il nostro giornale – e dopo qualche anno ha
preferito o dovuto abbandonare il campo. Una scelta legittima, per carità,
una scelta che però ci ha legato le mani. Tutto passato, comunque. Ora lei
dal primo luglio è in quel di Boston: un altro cervello in fuga di quest’Italietta
che non sa tenersi stretta le proprie menti più eccelse.
Buona fortuna e buon lavoro, Rita!
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