marzo-aprile 2009 numero 86/87

attualità
Non buttiamo il bambino insieme all’acqua sporca…
Evitiamo gli errori di valutazione dello Iulm di Milano
 

di  Federico de Linares

nella foto: Lo Iulm di Milano

Finalmente qualcuno ha capito che certi corsi di laurea non solo non s’avevano da fare, ma non s’avevano neppure da pensare. Vuoi per contenuti, vuoi per numero di studenti iscritti. E, considerata la necessità di stringere la cinghia, si sono cominciati a vedere i primi risultati che, appunto, si tradurranno in altrettante economie che forse permetteranno a qualche Ateneo di recuperare “virtù” perdute lungo il cammino …
Tuttavia, anche se la strada intrapresa è quella giusta, permettetemi di fare qualche distinguo.

Non fraintendetemi e non ditemi bastian contrario, ma la soppressione dei corsi deve pure essere fatta nel pieno rispetto delle regole e degli impegni presi.
Infatti, se è corretto “chiudere” certi corsi poco frequentati, occorre anche che venga garantito, a chi senza colpa aveva iniziato un certo percorso formativo, di terminare i suoi studi per come gli era stato permesso di programmarli ab origine.
Certe decisioni – ancorché motivate e formalmente ineccepibili – dovrebbero essere rispettose delle lecite aspettative generate al momento in cui è stato delineato il percorso formativo e dovrebbero considerare i progetti di chi, pur trovandosi ancora nel triennio di base, ha programmato il suo corso di studi con la frequenza al biennio specialistico.

Per fare un esempio concreto e per restare nell’ambito dei temi che sono più congeniali a questa testata, non vorremmo che accadesse ciò che è già accaduto circa tre anni fa allo Iulm di Milano, dove, all’epoca del Governo Prodi e dunque in ben altra congiuntura economica e senza alcuna pressione “gelminiana” di “tremontesca” origine, dopo avere promosso un corso di laurea triennale in Scienze e Tecnologie della Comunicazione con relativo biennio di specializzazione, si decise di sopprimere tale biennio, salvaguardando i diritti degli iscritti a quel corso con un processo “ad esaurimento”, ma non quelli di chi, pur non avendo ancora iniziato il biennio e trovandosi iscritto al primo, secondo o terzo anno del corso triennale, aveva comunque programmato di poter concludere il proprio percorso formativo così come gli si era stato fatto intendere al momento dell’iscrizione.

Qualcuno potrebbe obiettare che lo Iulm è un’Università privata. E’ vero, ma vorrei capire che cosa c’entri il fatto di essere “privati” (fondi pubblici, comunque, finiscono sempre per affluire anche nelle casse di queste Istituzioni) dal dovere di rispettare gli impegni presi con chi – iscrivendosi – non solo paga una serie di servizi e prestazioni (sotto questo profilo corpo docente e personale tecnico-amministrativo di queste Università sono da considerarsi “salariati” se non dagli studenti, dalle loro famiglie), ma “finanzia” le attività educative e di ricerca di quegli Atenei.

Una decisione, quindi, quella presa allora dal rettore dello Iulm e dal Consiglio dei docenti di quell’Università, legittima e inattaccabile sotto il profilo tecnico e normativo, ma molto meno sotto il profilo morale e assolutamente in contrasto con il “contratto” (essendo lo Iulm – come detto – una Università privata, il termine calza a pennello) stipulato con i suoi studenti al momento della loro iscrizione al triennio di base; decisione, peraltro, neppure lontanamente giustificata da un basso numero di iscritti.

Chi mi legge avrà capito a questo punto i motivi della mia preoccupazione: non vorrei che sull’onda emozionale dei tagli ministeriali paventati, qualche Ateneo italiano si lasciasse prendere la mano buttando il bambino insieme all’acqua sporca. Alle volte – per troppo zelo (o per paura) – può accadere anche questo.

 


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