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Il presidente del Consiglio Silvio
Berlusconi non è di quelli che le manda a dire. A volte sbaglia, a volte no.
Stavolta no. Dire infatti, come ha fatto lui, che l’Università italiana “è
un covo di intrighi nepotisti” non è una fantasia perversa e “gravemente
ingiuriosa” contro l’Università italiana – come i docenti sostengono
sull’appello scritto per chiedere formalmente e pubblicamente le sue scuse –
ma la semplice constatazione di una realtà che a molti è scomoda, ma non per
questo meno reale.
“Il mondo accademico italiano – aveva detto Berlusconi il 15 marzo scorso –
è diventato un sistema di ammortizzatori sociali, in cui ogni professore ha
il figlio, il cugino, l’amico del figlio, il cognato che ha la cattedra con
l’invenzione di un corso di laurea”.
“Espressioni siffatte – scrivono piccati gli Esimi Prof – non sono nuove, e
da molti mesi le abbiamo sentite ripetere con arroganza, nel quadro di una
squallida campagna denigratoria condotta dall’attuale Esecutivo contro il
sistema scolastico e universitario, con l’ausilio di media compiacenti”. E
te pareva che non mettessero di mezzo i media, come se la colpa di tutto
fosse dei giornali che scrivono (e che svergognano) e non dei baroni che
inquinano il buon nome dell’Accademia italiana.
Ma come si fa a considerare “arrogante” – per giunta “nell’ambito di una
campagna denigratoria” – chi denuncia o tenta di distruggere il sistema
della malauniversità? E’ proprio vero che la miglior difesa è l’attacco
(specie quando non si hanno argomenti validi)!
Il massimo dell’assurdo lo raggiungono però subito dopo: “Tale campagna
offende la verità dei fatti”! Ma di quale verità parlano? Quella di comodo,
oppure quella… vera?
E più in là: “Respingiamo… con fermezza una campagna di calunnie volgare e
di totale infondatezza”. Totale infondatezza? Ma in che mondo vivono i
firmatari di quest’appello? Possibile che non abbiano mai sentito parlare di
baronato e nepotismi vari, che non si siano mai imbattuti in storie di
concorsopoli, che proprio loro – su tutti – siano “nudi e puri”? E chi sono,
poi, questi docenti che – per la serie chi è senza peccato scagli la prima
pietra – di fatto stanno prendendo le distanze da tutto il resto del mondo
accademico nazionale? Sicuro che, scavando scavando, non si incontrino tra
quei nomi i soliti intrecci a cui i baroni ci hanno ormai abituati? Certo,
sarebbe una bella responsabilità, se si avessero scheletri nell’armadio,
dichiarare con un’iniziativa del genere, in quanto docenti di Atenei
nazionali, la propria estraneità ad abitudini ormai consolidate, oltre che
documentate… Specie se si ha anche il coraggio di sostenere, con un affondo
velenoso e vendicativo (stavolta per la serie chi la fa l’aspetti), che “…
la reputazione internazionale degli studiosi e delle strutture di ricerca
italiane, specie quelle pubbliche – sul piano della qualità scientifica e su
quello della moralità – è alquanto più elevata di quella di cui godono il
sistema politico e il sistema imprenditoriale”. A noi in realtà questo non
risulta, nonostante la politica e l’imprenditoria e, perché no?, anche la
magistratura non siano indenni, come le cronache ci hanno insegnato, da
queste accuse.
Ma sulla produzione scientifica negli Atenei le macchie di leopardo sono
evidenti, con zone in cui si fa ricerca e i laboratori non languono e zone
in cui, almeno a giudicare dai titoli ufficiali che risultano nei vari
Cataloghi d’Ateneo (quelli non secretati…), la produzione scientifica è
ferma, ma soprattutto molto lacunosa, sia di nomi, sia di titoli a quei nomi
abbinati.
Quanto alla qualità scientifica, non possiamo essere noi a giudicare, e ci
affidiamo al livello di impact factor (l’IF è oggi il metodo più in uso per
quantificare il livello della produzione scientifica) che ciascuna
pubblicazione è riuscita a raggiungere (sarebbe interessante avviare una
ricerca per ogni prof di ogni Ateneo nazionale…).
Per ciò che riguarda la “reputazione internazionale degli studiosi”, non
discutiamo sulla fama meritatissima di alcuni, caso mai sulla mediocrità di
tutti gli altri, soprattutto di quelli che, sentendosi già “arrivati” (vedi
alla voce baroni), non hanno più prodotto neppure
una-paginetta-dattiloscritta-una per alimentare la loro “dote” e innalzare
la loro offerta di cultura specialistica e che – altro che reputazione
internazionale! – sono noti al massimo ai loro studenti (quelli che ancora
li seguono), oltre che ai bidelli che ripuliscono al mattino le lavagne
dalle loro dimostrazioni scientifiche (a proposito rientra ancora, questo
compito, tra le competenze dei bidelli, oppure i sindacati si sono già
battuti per fare avere loro una cattedra?).
Quanto “al piano della moralità” della classe docente accademica nazionale,
non c’è altro da aggiungere, visto che ormai tutti sanno di che pasta è
fatta la maggior parte dei prof italiani.
Sono tanti i firmatari dell’appello e non vale la pena riportarli tutti: ci
sono nomi dell’Università di Torino, Milano, Roma, Firenze, Ferrara e
persino Palermo (i docenti di Palermo non ce ne vogliano per l’uso del
“persino”). Insomma, i “buoni” e i “cattivi”, come sulle più classiche
lavagne delle scuole elementari di qualche tempo fa: i “buoni” sono loro
che, sdegnati, chiedono pubbliche (e infondate) scuse al presidente
Berlusconi, colpevole di aver detto la verità, i “cattivi” dovrebbero essere
tutti gli altri che non si sono sdegnati e non hanno chiesto le scuse, se i
ragionamenti di tipo deduttivo contano ancora qualcosa.
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