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E’ passata quasi in sordina, forse
per evitare che gli arzilli vecchietti scendessero in piazza al pari dei
loro pimpanti studenti, ma all’Università di Palermo si è recentemente
siglata la chiusura dell’ospizio e professori e ricercatori dovranno andare
in pensione allo scoccare del settantesimo anno di età.
Lo ha deciso il Senato Accademico anche sull’onda dei venti di cambiamento
che spirano dalla nuova poltrona di rettore.
Il provvedimento riguarda anche il personale amministrativo, ovvero tutti
quei funzionari (e sono tanti: all’Università di Palermo, chi più chi meno,
sono tutti funzionari e dirigenti) che se non indispensabili allo
svolgimento di precise mansioni (e sono tanti: all’Università di Palermo,
chi più chi meno, sono davvero pochi gli indispensabili), che d’ora in poi
dovranno andare in pensione con quarant’anni di contribuzione.
“E’ un passaggio importante di un’Università che si interroga sul presente e
sul futuro – ha dichiarato il neorettore Roberto Lagalla – una svolta
imboccata grazie anche alla… volontà collaborativa delle Organizzazioni
sindacali”. “La decisione – ha continuato Lagalla – permetterà un ricambio
generazionale più veloce e quindi più spazio ai giovani, che sono motore
fondamentale dell’innovazione”.
Ma la mannaia del Senato Accademico non cade sulla testa di tutti i prof
ultrasettantenni: la proroga per il biennio aggiuntivo verrà ancora
concessa, ma a determinate condizioni: ovvero se è necessaria per
raggiungere i quarant’anni di contribuzione (e quindi il massimo
pensionabile); se i docenti sono gli unici professori di ruolo in uno
specifico settore disciplinare (il S.A. ignora evidentemente il significato
di trasferimento e di “rientro dei cervelli”: se non lo ignorasse potrebbe
coprire quei posti con docenti provenienti da altre Facoltà italiane, magari
di origine palermitana o siciliana, e dall’Estero); se i docenti
ultrasettantenni sono coordinatori nazionali dei Prin (Progetti di rilevante
interesse nazionale) o sono titolari di contratti europei, oppure sono
indispensabili al servizio se svolgono funzioni con carattere di
straordinarietà.
In attesa che si abbassi l’età pensionabile dei docenti a sessantacinque
anni (basta privilegi!), al momento noi siamo contenti così, anche se ci
rendiamo conto che due anni in più o in meno in fatto di Alzheimer fanno
poca differenza.
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