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Fanno gli gnorri, i furbi, gli
scemi per non pagare il dazio, ma i professori universitari sanno bene che
cos’è una “pubblicazione” e soprattutto che cosa si intende per
“pubblicazione” ai fini della valutazione dei titoli ai concorsi
universitari.
Ora però il Tar dell’Umbria ha deciso di chiarirlo un po’ di più (e di
metterli finalmente con le spalle al muro).
E con una sentenza clamorosa dell'11 giugno 2008 (n. 00302/2008 Reg. Sen. n.
00008/2008 Reg. Ric.), che costituisce un precedente
giurisprudenziale di tutto rispetto, si è pronunciato contro l’Università di
Perugia e contro il Miur e a favore della ricorrente, Elisabetta Bertacchini,
che aveva partecipato al concorso bandito dall’Università di Perugia per la
copertura di un posto di professore di prima fascia di Diritto commerciale
alla Facoltà di Economia insieme alla controinteressata, Laura Schiuma,
vincitrice del concorso (gli altri candidati si erano ritirati o erano stati
esclusi).
Il ricorso gira intorno a una sola questione: la Commissione del concorso
aveva positivamente valutato come principale prova della maturità
scientifica della prof. Schiuma una monografia che non avrebbe dovuto essere
valutata, in quanto priva dei requisiti necessari per essere considerata
“pubblicazione” in senso proprio.
Secondo il Collegio – si legge sulla sentenza - “la contestazione è
pienamente ammissibile (e dunque il ricorso accolto, n.d.r.), in quanto non
investe il valore scientifico (intrinseco) dell’opera, bensì quelle
caratteristiche obiettive (estrinseche) che si richiedono perché uno scritto
sia qualificabile come “pubblicazione” nel senso comunemente attribuito a
questo termine ai fini di un concorso universitario”.
“Ciò che occorre al candidato per meritare la cattedra – prosegue la
sentenza del Tar - non è solo la capacità di produrre scritti di un certo
valore scientifico… ma anche l’avere ‘già dato’ un effettivo contributo al
progresso della scienza. Il conferimento della cattedra vale come
riconoscimento del contributo e l’importanza di questo contributo si desume
dalla collocazione editoriale… e dall’ampiezza della diffusione”, elementi,
questi, che incidono sull’ “impact factor”, apposito “strumento” di
misurazione della qualità, ufficialmente riconosciuto dalla comunità
scientifica, soprattutto ai fini dei concorsi universitari.
Insomma, una “pubblicazione” deve possedere requisiti intrinseci (sostanza)
e requisiti estrinseci (forma) per poter essere giudicata come tale. Quanto
in particolare ai requisiti estrinseci (quelli “formali” che caratterizzano
una “pubblicazione”), “il problema - scrive il Tar - … non è nuovo
nell’ambito del contenzioso relativo ai concorsi universitari”. E richiama
in proposito il Dpr. n. 117 del 2000 - art. 4, comma 2, lett. d) – dove si
precisa che per “pubblicazione scientifica” deve intendersi non una
qualsiasi riproduzione a stampa dei lavori del candidato per la quale siano
stati curati gli adempimenti di cui alla l. 2 febbraio 1939 n. 374 (oggi per
la procedura di adempimento si fa riferimento alla legge 15 aprile 2004 n°
106, n.d.r.), ma l’opera pubblicata da un editore, il quale,
come è noto, è l’operatore che cura non soltanto la riproduzione a stampa di
un’opera (non importa se direttamente o avvalendosi di uno stampatore), ma
la sua diffusione tra il pubblico” (e qui il Tar rimanda anche alla sentenza
del Consiglio di Stato, sez. VI, 22 aprile 2004, n. 2364). E aggiunge a
maggiore chiarimento – il Tribunale Amministrativo dell’Umbria – “…
supponendo che un candidato presenti un’opera di valore scientifico
eccezionalmente elevato, ma la presenti in manoscritto, questo titolo non è
ammissibile…”.
“Risulta pertanto superata – precisa l’inesorabile paletto del Tar - … la
giurisprudenza più risalente che, riferendosi ad altro quadro normativo,
giudicava ammissibile anche uno scritto in edizione provvisoria o in bozza
di stampa” (fine della marcia per i furbetti dei commissari accademici,
n.d.r.).
Piuttosto – continua il Tar dell’Umbria – occorrono diversi elementi per
qualificare uno scritto come “pubblicazione”, ciascuno dei quali, “…preso a
sé, è necessario ma non sufficiente”: l’adempimento degli oneri, prima di
tutto, con consegna delle copie ai destinatari di legge (tale adempimento
"rappresenta la prima manifestazione di pubblicità dello scritto... ed è un
atto di data certa, particolare non irrilevante nell’ottica
concorsuale"); l’indicazione del
codice Isbn (e qui la sentenza cita il Tar Campania Napoli, sez. II, 21
settembre 2005, n. 15342, n.d.r.); l’indicazione del prezzo di vendita e
soprattutto la presenza di un “editore”, “… per esso intendendosi – si legge
sulla sentenza - secondo il linguaggio comune colui che non si limita a
stampare o a far stampare un’opera altrui, ma che ne cura anche la
distribuzione e la divulgazione” (e qui la sentenza cita la determinazione
del Tar Puglia Bari, sez. I, 26 settembre 2005, n. 4060).
“Ed invero – continua il Tar - se tutto si riducesse alla verifica di alcuni
requisiti formali, le norme potrebbero essere facilmente aggirate. Non costa
nulla aggiungere l’indicazione del prezzo e del codice Isbn ad uno stampato
che non vedrà mai lo scaffale di una libreria. E … anche il più regolare (in
apparenza) dei contratti di edizione può dissimulare un patto aggiuntivo con
il quale l’autore si obbliga verso l’editore ad acquistare in proprio un
enorme quantitativo di copie – tante quante ne bastano per sollevare
l’editore dalla necessità di cercare altri acquirenti per conseguire il
proprio utile imprenditoriale”. “Ma anche nel caso in cui il candidato
riesca ad eludere la legge – prosegue la sentenza - prevenendo ogni
possibile contestazione sul piano formale, resta il fatto che una
commissione di cattedratici della materia ha gli strumenti di conoscenza e
di esperienza per sapere se e quanto una certa opera di dottrina sia
effettivamente conosciuta ed apprezzata dalla comunità degli studiosi di
quella materia. Pertanto, dove non arriva il sindacato sui requisiti formali
della “pubblicazione” può (deve) arrivare la conoscenza diretta dei
commissari, sia pure ai soli fini della valutazione di merito”.
E noi, sinceramente, ci saremmo fermati prima.
Il Tribunale Amministrativo dell’Umbria con queste dichiarazioni di fiducia
nei commissari d’esame dei concorsi universitari rivela a sorpresa
un’ingenuità sinceramente sconcertante se riferita agli ambienti accademici
dove spesso - appunto - è determinante “la conoscenza diretta dei
commissari” (bisogna vedere in che senso).
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