giugno-luglio/agosto 2008 numero 78/79

attualità
Le ripercussioni del DL Tremonti sul sistema universitario
La “provocazione” in tre articoli che apportano sconquasso e non garantiscono un vero rinnovamento
 

di  Quirino Paris

nella foto: Giulio Tremonti

Dopo l’abolizione dell’Ici (Imposta comunale sugli immobili) – la più federale delle tasse – il Governo in carica ha emanato una serie di disposizioni per far fronte alle mancate entrate di circa 2 miliardi e mezzo di euro.

Tra le varie misure, il ministro Tremonti ha formulato anche il Decreto Legge del 25 giugno 2008, N. 112 con il risonante titolo “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria”.

Si tratta di 85 articoli in cui si può trovare di tutto, o quasi. In questa sede, tuttavia, interessa esaminare il suddetto DL per le inevitabili ripercussioni sul sistema universitario e per distillare l’atteggiamento di fondo di questo Governo nei confronti degli Atenei statali.

“The bottom line” – come dicono gli anglosassoni – è che il DL in parola costituisce una vera e propria provocazione nei confronti delle Università, così come le conosciamo.

Intendiamoci: da molti anni andiamo dicendo che il sistema universitario deve essere rinnovato - e dove necessario penalizzato - per quanto riguarda la mancanza di incentivi al merito, il suo irresponsabile uso della parziale autonomia, il reclutamento tribale del personale accademico e la sua autoreferenziale “governance”.

Ma il DL in parola penalizza indiscriminatamente tutti gli Atenei e tutti i docenti universitari, apportando sconquasso senza la garanzia di un rinnovamento vantaggioso del sistema.

Viene da pensare che gli 85 articoli del DL siano stati formulati in maniera farraginosa per confondere e scoraggiare il legislatore e non dargli tempo per una valutazione approfondita delle loro conseguenze istituzionali, di bilancio e amministrative. E, forse, per non dare tempo alle varie lobby di entrare in azione.

Gli articoli del DL che interessano direttamente il sistema universitario sono tre: 16, 66 e 69.

Cominciamo con l’articolo 16, intitolato “Facoltà di trasformazione in Fondazioni delle Università”: un vero fulmine a ciel sereno, non solo per l’improvvisa rivelazione che questo Governo vorrebbe privatizzare le Università statali, ma soprattutto per l’incongruenza con cui l’articolo è stato formulato.
Si legge infatti: “1. In attuazione dell'articolo 33 della Costituzione, nel rispetto delle leggi vigenti e dell’autonomia didattica, scientifica, organizzativa e finanziaria, le Università pubbliche possono deliberare la propria trasformazione in Fondazioni di diritto privato. La delibera di trasformazione è adottata dal Senato Accademico a maggioranza assoluta …”.
Ma l’articolo 33 della Costituzione dice “…Enti e privati hanno il diritto di istituire Scuole ed Istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”, mentre, al contrario, le Università trasformate in Enti di diritto privato continuerebbero a percepire dallo Stato i fondi di finanziamento ordinario (FFO).
Inoltre, il Senato Accademico è costituito dai presidi di Facoltà (poche in molte Università), con compiti essenzialmente di coordinamento didattico e reclutamento del personale accademico, mentre, per quanto riguarda la formulazione dello Statuto e dei Regolamenti di Ateneo, del bilancio e della situazione patrimoniale, la responsabilità risiede nel Consiglio di Amministrazione, organo di cui fanno parte numerose e diverse componenti sociali.

Quindi, secondo l’obiettivo dell’attuale Governo, le Università statali si trasformerebbero in Enti di diritto privato, ma - come sempre - sotto la tutela e il controllo del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e del Ministero dell’Economia e delle Finanze: la solita privatizzazione all’italiana, cioè a metà, che assomiglia molto alla tanto perniciosa e dileggiata autonomia.

Enti di diritto privato con tutto il personale inquadrato nei ruoli dello Stato? Alienazione del patrimonio demaniale (di cui fanno parte gli edifici delle Università) decisa da un gruppetto di persone (i presidi di Facoltà) che – per puro caso – si trovano a far parte del Senato Accademico?

Il concetto di Università che il ministro Tremonti sembra perseguire assomiglia vagamente al modello di Fondazione privata che sta alla base delle Università private americane, da Harvard a Princeton, Yale, Stanford e via di seguito, ma non tiene presente, tuttavia, due punti fondamentali: che negli Stati Uniti esistono molte Università pubbliche di eccellenza e che, soprattutto, non esiste un Ministero dell’Università (o dell’Economia) che controlla e fa le pulci alle Università, né a quelle pubbliche, né – tanto meno – a quelle private. Per quanto perfettibile, il sistema universitario americano si basa in modo cruciale sui due punti cardine della competizione e del merito.

Prima o poi, infatti, si dovrà pur discutere – anche a livello governativo/parlamentare - di come introdurre l’idea di competizione tra Atenei, da estendere sia all’attività di ricerca, sia all’offerta didattica.

Per quanto riguarda la ricerca, la competizione deve articolarsi nella libertà di ciascun Ateneo di reclutare i migliori ricercatori a livello mondiale ed offrire loro lo stipendio richiesto per il loro inserimento permanente nel sistema italiano.

Per quanto riguarda la competizione, nell’offerta didattica è assolutamente necessario partire dall’abolizione del valore legale della laurea (e di qualsiasi titolo accademico) che, con la sua conclamata equipollenza su tutto il mercato del lavoro, costituisce semplicemente una finzione legale e dà al Miur la sola giustificazione per interferire nell’organizazione e negli ordinamenti didattici di tutte le Università.
Competizione tra Atenei e valore legale della laurea sono concetti che si escludono a vicenda.

Ma, con l’adozione del reclutamento universitario basato sul merito e con l’abolizione del valore legale della laurea, che ci starebbe a fare il Ministero dell’Università e della Ricerca?

Esaminiamo ora l’articolo 66 del DL, che si intitola “Turn over” e si compone di 14 commi la cui lettura e comprensione è resa tecnicamente difficile dal diffuso richiamo a leggi precedenti che si estendono su un arco ventennale. Non è difficile, tuttavia, capirne l’antifona.

Per gli Atenei la mazzata capita al comma 13 dove si legge “…il fondo per il finanziamento ordinario delle Università, è ridotto di 63,5 milioni di euro per l’anno 2009, di 190 milioni di euro per l’anno 2010, di 316 milioni di euro per l’anno 2011, di 417 milioni di euro per l’anno 2012 e di 455 milioni di euro a decorrere dall’anno 2013”: una riduzione del FFO di un miliardo e quattrocento quaranta milioni di euro in cinque anni, la durata potenziale dell’attuale Governo.
Da tener conto che, attualmente, il FFO totale si aggira sui sette miliardi. Pertanto – e sperabilmente solo in teoria – in 17 anni (5 anni fino al 2013 e 12 anni a partire dal 2013) il FFO sarebbe ridotto a zero.
Questa è una interpretazione possibile di un comma scritto in maniera ambigua ed, evidentemente, affrettata. Infatti, non è specificato se le riduzioni del FFO siano fatte rispetto al livello totale del 2008 oppure rispetto al livello totale dell'anno precedente.

Dunque, privatizzazione e riduzione progressiva e permanente del FFO sono le due lame della forbice che il Governo intende usare per galvanizzare con un salasso – immediatamente - il sistema universitario italiano!
Si tratta di vero gioco d’azzardo. Quale sarà il risultato finale: collasso o araba fenice?

Non dobbiamo dimenticare che l’articolo 66 tratta di “turnover”. A proposito del quale, il comma 2 definisce per il 2009 “…le assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite di un contingente di personale complessivamente corrispondente ad una spesa pari al 10 per cento di quella relativa alle cessazioni avvenute nell’anno precedente.
In ogni caso il numero delle unità di personale da assumere non può eccedere, per ciascuna Amministrazione, il 10 per cento delle unità cessate nell’anno precedente”. Nel 2010 e 2011, il limite sarà del 20 per cento.

Incongruenza su incongruenza: da una parte - dopo due anni di serrata - si dichiarano aperti i concorsi per professori e per ricercatori (Decreto Legge 30 giugno 2008, N. 113, articoli 12 e 13), dall’altra, si pone un limite estremo a tali assunzioni.
E lo schiaffo al sistema universitario continua con il comma 14, che non applica le stesse clausole limitatrici agli Enti di ricerca, come se l’Università italiana non fosse la maggior produttrice di ricerca, sia di base, sia applicata.

E passiamo infine all’articolo 69 - “Progressione triennale” - esaminandone la versione originale proposta dal ministro Tremonti e non quella successivamente modificata durante l'iter di legge non ancora conclusosi.

Questo articolo di fatto punisce gli individui (non solo all’interno dell’Università) - senza valutarne la produttività - con la decisione che gli scatti biennali d’anzianità diverranno triennali, “… ferme restando le misure percentuali in vigore”.
È, più o meno, quello che capita nei supermercati a settembre, al ritorno dalle vacanze, quando si trova che le scatole dei cereali hanno stesse dimensioni e stesso prezzo di prima, ma il contenuto è diminuito del 33 per cento.
Questa disposizione è veramente iniqua se si pensa che gli stipendi dei ricercatori sono stipendi di fame e quelli dei primi anni di servizio dei professori associati sono veramente bassi.

Ma, soprattutto, l’articolo 69 va contro le tanto conclamate “rivalutazioni del merito” da parte del ministro del Miur Mariastella Gelmini, che evidentemente deve essersi assentata dal Consiglio dei Ministri al momento della discussione.

E, per concludere, il ministro Tremonti vuole essere assolutamente sicuro che i “risparmi” della progressione triennale non rimangano alle Università. Pertanto, il comma 2 dell’articolo 69 stabilisce che “in relazione ai risparmi relativi al sistema universitario, valutati in 40 milioni di euro per l’anno 2009, in 80 milioni di euro per l’anno 2010, in 80 milioni di euro per l’anno 2011, in 120 milioni di euro per l’anno 2012 e in 160 milioni di euro a decorrere dall’anno 2013, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, tenuto conto dell’articolazione del sistema universitario e della distribuzione del personale interessato, definisce, d’intesa con il Ministero dell’Economia e delle Finanze le modalità di versamento, da parte delle singole Università delle relative risorse con imputazione al capo X, capitolo 2368 dello stato di previsione delle entrate del Bilancio dello Stato, assicurando le necessarie attività di monitoraggio. Questi “risparmi” vanno ad aggiungersi alle riduzioni del FFO di cui al comma 13 dell’articolo 66.

Altro che Patto per l’Università! Non per nulla abbiamo un Governo nuovo che deve distinguersi da quello precedente.

C’è da stupirsi di tanto accanimento contro l’Università? Non molto, dopo tanti anni di inerzia. La cosa deprimente è che simile sconquasso venga legiferato senza un minimo di preavviso e discusso da un Parlamento forse più interessato a rispettare i tempi delle proprie vacanze, piuttosto che a rinnovare l’Università italiana.

Previsione: dopo il primo sbigottimento, le varie lobby universitarie si riavranno e neutralizzeranno le disposizioni degli articoli 16, 66 e 69.
 

 


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