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Dopo l’abolizione dell’Ici (Imposta comunale sugli immobili) – la più
federale delle tasse – il
Governo in carica ha emanato una serie di disposizioni per far fronte alle
mancate entrate di circa 2 miliardi e mezzo di euro.
Tra le varie misure, il ministro Tremonti ha formulato anche il Decreto
Legge del 25 giugno 2008, N. 112 con il risonante titolo “Disposizioni urgenti per lo sviluppo
economico, la semplificazione, la competitività, la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria”.
Si tratta di 85 articoli in cui si può trovare di tutto, o quasi. In questa
sede, tuttavia, interessa esaminare il suddetto DL per
le inevitabili ripercussioni sul sistema universitario e per distillare
l’atteggiamento di fondo di questo Governo nei confronti
degli Atenei statali.
“The bottom line” – come dicono gli anglosassoni – è che il DL in parola
costituisce una vera e propria provocazione nei
confronti delle Università, così come le conosciamo.
Intendiamoci: da molti anni andiamo dicendo che il sistema universitario
deve essere rinnovato - e dove necessario
penalizzato - per quanto riguarda la mancanza di incentivi al merito, il suo
irresponsabile uso della parziale autonomia,
il reclutamento tribale del personale accademico e la sua autoreferenziale “governance”.
Ma il DL in parola penalizza indiscriminatamente tutti gli Atenei e tutti i
docenti universitari, apportando sconquasso senza
la garanzia di un rinnovamento vantaggioso del sistema.
Viene da pensare che gli 85 articoli del DL siano stati formulati in maniera
farraginosa per confondere e scoraggiare il
legislatore e non dargli tempo per una valutazione approfondita delle loro
conseguenze istituzionali, di bilancio e amministrative. E, forse, per non
dare tempo alle varie lobby di entrare in azione.
Gli articoli del DL che interessano direttamente il sistema universitario
sono tre: 16, 66 e 69.
Cominciamo con l’articolo 16, intitolato “Facoltà di trasformazione in
Fondazioni delle Università”: un vero fulmine a ciel sereno, non solo per
l’improvvisa rivelazione che
questo Governo vorrebbe privatizzare le Università statali, ma soprattutto
per l’incongruenza con cui l’articolo è stato formulato.
Si legge infatti: “1. In attuazione dell'articolo 33 della Costituzione, nel
rispetto delle leggi vigenti e dell’autonomia
didattica, scientifica, organizzativa e finanziaria, le Università pubbliche
possono deliberare la propria trasformazione
in Fondazioni di diritto privato. La delibera di trasformazione è adottata
dal Senato Accademico a maggioranza assoluta …”.
Ma l’articolo 33 della Costituzione dice “…Enti e privati hanno il diritto
di istituire Scuole ed Istituti di educazione, senza
oneri per lo Stato”, mentre, al contrario, le Università trasformate in Enti
di diritto privato continuerebbero a percepire dallo
Stato i fondi di finanziamento ordinario (FFO).
Inoltre, il Senato Accademico è costituito dai presidi di Facoltà (poche in
molte Università), con compiti essenzialmente di
coordinamento didattico e reclutamento del personale accademico, mentre, per
quanto riguarda la formulazione dello Statuto e dei
Regolamenti di Ateneo, del bilancio e della situazione patrimoniale, la
responsabilità risiede nel Consiglio di Amministrazione,
organo di cui fanno parte numerose e diverse componenti sociali.
Quindi, secondo l’obiettivo dell’attuale Governo, le Università statali si
trasformerebbero in Enti di diritto privato, ma - come
sempre - sotto la tutela e il controllo del Ministero dell’Istruzione,
dell’Università e della Ricerca e del Ministero
dell’Economia e delle Finanze: la solita privatizzazione all’italiana, cioè
a metà, che assomiglia molto alla tanto perniciosa
e dileggiata autonomia.
Enti di diritto privato con tutto il personale inquadrato nei ruoli dello
Stato? Alienazione del patrimonio
demaniale (di cui fanno parte gli edifici delle Università) decisa da un
gruppetto di persone (i presidi di Facoltà) che – per
puro caso – si trovano a far parte del Senato Accademico?
Il concetto di Università che il ministro Tremonti sembra perseguire
assomiglia vagamente al modello di Fondazione privata
che sta alla base delle Università private americane, da Harvard a
Princeton, Yale, Stanford e via di seguito, ma non tiene
presente, tuttavia, due punti fondamentali: che negli Stati Uniti esistono
molte Università pubbliche di eccellenza e
che, soprattutto, non esiste un Ministero dell’Università (o dell’Economia)
che controlla e fa le pulci alle Università, né a
quelle pubbliche, né – tanto meno – a quelle private. Per quanto
perfettibile, il sistema universitario americano si basa in modo
cruciale sui due punti cardine della competizione e del merito.
Prima o poi, infatti, si dovrà pur discutere – anche a livello
governativo/parlamentare - di come introdurre l’idea di
competizione tra Atenei, da estendere sia all’attività di ricerca, sia
all’offerta didattica.
Per quanto riguarda la ricerca, la competizione deve articolarsi nella
libertà di ciascun Ateneo di reclutare i migliori
ricercatori a livello mondiale ed offrire loro lo stipendio richiesto per il
loro inserimento permanente nel sistema italiano.
Per quanto riguarda la competizione, nell’offerta didattica è assolutamente
necessario partire dall’abolizione del valore legale
della laurea (e di qualsiasi titolo accademico) che, con la sua conclamata
equipollenza su tutto il mercato del lavoro,
costituisce semplicemente una finzione legale e dà al Miur la sola
giustificazione per interferire nell’organizazione e negli
ordinamenti didattici di tutte le Università.
Competizione tra Atenei e valore legale della laurea sono concetti che si
escludono a vicenda.
Ma, con l’adozione del reclutamento universitario basato sul merito e con
l’abolizione del valore legale della laurea, che ci
starebbe a fare il Ministero dell’Università e della Ricerca?
Esaminiamo ora l’articolo 66 del DL, che si intitola “Turn over” e si
compone di 14 commi la cui lettura e comprensione è resa
tecnicamente difficile dal diffuso richiamo a leggi precedenti che si
estendono su un arco ventennale. Non è difficile, tuttavia,
capirne l’antifona.
Per gli Atenei la mazzata capita al comma 13 dove si legge “…il fondo per il
finanziamento ordinario delle Università, è ridotto
di 63,5 milioni di euro per l’anno 2009, di 190 milioni di euro per l’anno
2010, di 316 milioni di euro per l’anno 2011,
di 417 milioni di euro per l’anno 2012 e di 455 milioni di euro a decorrere
dall’anno 2013”: una riduzione del FFO di un miliardo
e quattrocento quaranta milioni di euro in cinque anni, la durata potenziale
dell’attuale Governo.
Da tener conto che, attualmente, il FFO totale si aggira sui sette miliardi.
Pertanto – e sperabilmente solo in teoria – in 17 anni
(5 anni fino al 2013 e 12 anni a partire dal 2013) il FFO sarebbe ridotto a
zero.
Questa è una interpretazione possibile di un comma scritto in maniera
ambigua ed, evidentemente, affrettata. Infatti, non è
specificato se le riduzioni del FFO siano fatte rispetto al livello totale
del 2008 oppure rispetto al livello totale dell'anno
precedente.
Dunque, privatizzazione e riduzione progressiva e permanente del FFO sono le
due lame della forbice che il Governo intende
usare per galvanizzare con un salasso – immediatamente - il sistema
universitario italiano!
Si tratta di vero gioco d’azzardo. Quale sarà il risultato finale: collasso
o araba fenice?
Non dobbiamo dimenticare che l’articolo 66 tratta di “turnover”. A proposito
del quale, il comma 2 definisce per
il 2009 “…le assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite di un
contingente di personale complessivamente
corrispondente ad una spesa pari al 10 per cento di quella relativa alle
cessazioni avvenute nell’anno precedente.
In ogni caso il numero delle unità di personale da assumere non può
eccedere, per ciascuna Amministrazione, il 10 per cento
delle unità cessate nell’anno precedente”. Nel 2010 e 2011, il limite sarà
del 20 per cento.
Incongruenza su incongruenza: da una parte - dopo due anni di serrata - si
dichiarano aperti i concorsi per professori e per
ricercatori (Decreto Legge 30 giugno 2008, N. 113, articoli 12 e 13),
dall’altra, si pone un limite estremo a tali assunzioni.
E lo schiaffo al sistema universitario continua con il comma 14, che non
applica le stesse clausole limitatrici agli
Enti di ricerca, come se l’Università italiana non fosse la maggior
produttrice di ricerca, sia di base, sia applicata.
E passiamo infine all’articolo 69 - “Progressione triennale” -
esaminandone la versione originale proposta dal ministro Tremonti e non quella
successivamente modificata durante l'iter di legge non ancora
conclusosi.
Questo
articolo di fatto punisce gli individui (non solo all’interno
dell’Università) - senza valutarne la produttività - con la
decisione che gli scatti biennali d’anzianità diverranno triennali, “… ferme
restando le misure percentuali in vigore”.
È, più o meno, quello che capita nei supermercati a settembre, al ritorno
dalle vacanze, quando si trova che le scatole dei
cereali hanno stesse dimensioni e stesso prezzo di prima, ma il contenuto è
diminuito del 33 per cento.
Questa disposizione è veramente iniqua se si pensa che gli stipendi dei
ricercatori sono stipendi di fame e quelli dei primi anni
di servizio dei professori associati sono veramente bassi.
Ma, soprattutto, l’articolo 69 va contro le tanto conclamate “rivalutazioni
del merito” da parte del ministro del Miur
Mariastella Gelmini, che evidentemente deve essersi assentata dal Consiglio
dei Ministri al momento della discussione.
E, per concludere, il ministro Tremonti vuole essere assolutamente sicuro
che i “risparmi” della progressione triennale non
rimangano alle Università. Pertanto, il comma 2 dell’articolo 69 stabilisce
che “in relazione ai risparmi relativi al sistema
universitario, valutati in 40 milioni di euro per l’anno 2009, in 80 milioni
di euro per l’anno 2010, in 80 milioni di euro per
l’anno 2011, in 120 milioni di euro per l’anno 2012 e in 160 milioni di euro
a decorrere dall’anno 2013, il Ministero
dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, tenuto conto
dell’articolazione del sistema universitario e della distribuzione
del personale interessato, definisce, d’intesa con il Ministero
dell’Economia e delle Finanze le modalità di versamento, da parte
delle singole Università delle relative risorse con imputazione al capo X,
capitolo 2368 dello stato di previsione delle
entrate del Bilancio dello Stato, assicurando le necessarie attività di
monitoraggio. Questi “risparmi” vanno ad aggiungersi
alle riduzioni del FFO di cui al comma 13 dell’articolo 66.
Altro che Patto per l’Università! Non per nulla abbiamo un Governo nuovo che
deve distinguersi da quello precedente.
C’è da stupirsi di tanto accanimento contro l’Università? Non molto, dopo
tanti anni di inerzia. La cosa deprimente è che
simile sconquasso venga legiferato senza un minimo di preavviso e discusso
da un Parlamento forse più interessato a rispettare
i tempi delle proprie vacanze, piuttosto che a rinnovare l’Università
italiana.
Previsione: dopo il primo sbigottimento, le varie lobby universitarie si
riavranno e neutralizzeranno le disposizioni degli
articoli 16, 66 e 69.
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