diretto da Francesca Patanè

maggio 2008 numero 77

Àteiradilos

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di Francesca Patanè

La notizia ha fatto il giro dei giornali locali e nazionali: a Palermo un ordinario è stato retrocesso a ricercatore.

Una sentenza del Tar del Lazio dopo diciotto anni ha stabilito che Vincenza Capursi, titolare della cattedra di Statistica sociale al Dipartimento Metodi quantitativi per le Scienze umane dell’Ateneo, deve “restituire” quel posto di ordinario che a quanto pare non le spetta, conquistato a un concorso per quattro posti di professore di prima fascia di Statistica sociale alla Facoltà di Economia dell’Ateneo, bandito nell’ 89 dal Ministero (insieme al titolo di prof, naturalmente, essendo la Capursi solo ricercatrice).

Roba da restarci secchi, posso capire, ma – salvo ricorsi, reazioni e controreazioni – per la “docente” illegittimamente ordinario da quasi vent’anni dura lex, sed lex, come si dice.
I motivi della retrocessione ormai sono noti (per dovere di cronaca ne ho scritto anch’io, sull’articolo di apertura di questo numero).


Meno noto è invece un dettaglio, sul quale sarebbe opportuno riflettere: il rettore dell’Ateneo Giuseppe Silvestri “nel manifestare pieno rispetto nei confronti dell’operato del giudice amministrativo”, ha espresso “stima e apprezzamento nei confronti della professoressa Vincenza Capursi che, oltre ai suoi compiti istituzionali, ha svolto e svolge tuttora un ruolo importante collaborando efficacemente alle attività gestionali dell’Ateneo”.

Ritengo che la "professoressa" Capursi meriti sicuramente gli apprezzamenti del rettore, se le sono stati tributati con così tanta convinzione a mezzo stampa, seppure locale, ma, al di là degli indubbi meriti della "docente", non mi sento di condividere l’operato del magnifico che, senza entrare nel merito delle ragioni e dei torti, non ha ritenuto di confermare allo stesso modo la propria stima a un altro, seppure ex (perché in pensione), docente di Statistica del suo Ateneo - Giorgio Chinnici, criminologo, consulente della Commissione parlamentare antimafia, ex presidente del Consiglio comunale di Palermo e vincitore al Tar nel ricorso contro la "professoressa" Capursi - mostrando una faziosità che non si addice al ruolo che riveste.

A Palermo “poverino” non è chi subisce un abuso e lo denuncia, ma chi, avendo commesso un abuso, viene denunciato: è questa la filosofia della città del Gattopardo che permea di sé ogni aspetto della vita sociale e ogni categoria di individui a qualsiasi classe essi appartengano.
E che spesso si estende all’intera Isola.

Nei giorni scorsi in un paesino della costa trapanese è stato ucciso un parente (acquisito) di uno degli ultimi boss mafiosi siciliani ancora latitanti.
Il paese, compatto – sindaco in testa con fascia tricolore – alla cerimonia funebre, condita dai soliti “ottimo figlio, ottimo sposo, ottimo padre, ottimo cittadino”, ha espresso solidarietà nei confronti della vittima.

Fatta salva la sua rispettabilità e la sua probabile estraneità agli ambienti di mafia, prudenza avrebbe voluto che tale pubblico tributo si fosse rimandato alla conclusione delle indagini.

Che cosa voglio dire? Che una solidarietà troppo frettolosa rischia di non centrare il bersaglio e ottiene l’effetto contrario: un boomerang che anche un rettore uscente come il magnifico palermitano avrebbe dovuto assolutamente evitare.



 


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