La notizia ha fatto il giro dei giornali locali e nazionali: a Palermo un
ordinario è stato retrocesso a ricercatore.
Una sentenza del Tar del Lazio dopo diciotto anni ha stabilito che Vincenza
Capursi, titolare della cattedra di Statistica sociale al Dipartimento Metodi
quantitativi per le Scienze umane dell’Ateneo, deve “restituire” quel posto di
ordinario che a quanto pare non le spetta, conquistato a un concorso per quattro
posti di professore di prima fascia di Statistica sociale alla Facoltà di
Economia dell’Ateneo, bandito nell’ 89 dal Ministero (insieme al titolo di prof,
naturalmente, essendo la Capursi solo ricercatrice).
Roba da restarci secchi, posso capire, ma – salvo ricorsi, reazioni e
controreazioni – per la “docente” illegittimamente ordinario da quasi vent’anni
dura lex, sed lex, come si dice.
I motivi della retrocessione ormai sono noti (per dovere di cronaca ne ho
scritto anch’io, sull’articolo di apertura di questo numero).
Meno noto è invece un dettaglio, sul quale sarebbe opportuno riflettere: il
rettore dell’Ateneo Giuseppe Silvestri “nel manifestare pieno rispetto nei
confronti dell’operato del giudice amministrativo”, ha espresso “stima e
apprezzamento nei confronti della professoressa Vincenza Capursi che, oltre ai
suoi compiti istituzionali, ha svolto e svolge tuttora un ruolo importante
collaborando efficacemente alle attività gestionali dell’Ateneo”.
Ritengo che la "professoressa" Capursi meriti sicuramente gli apprezzamenti del
rettore, se le sono stati tributati con così tanta convinzione a mezzo stampa,
seppure locale, ma, al di là degli indubbi meriti della "docente", non mi sento di
condividere l’operato del magnifico che, senza entrare nel merito delle ragioni
e dei torti, non ha ritenuto di confermare allo stesso modo la propria stima a
un altro, seppure ex (perché in pensione), docente di Statistica del suo Ateneo
- Giorgio Chinnici, criminologo, consulente della Commissione parlamentare
antimafia, ex presidente del Consiglio comunale di Palermo e vincitore al Tar
nel ricorso contro la "professoressa" Capursi - mostrando una faziosità che non si
addice al ruolo che riveste.
A Palermo “poverino” non è chi subisce un abuso e lo denuncia, ma chi, avendo
commesso un abuso, viene denunciato: è questa la filosofia della città del
Gattopardo che permea di sé ogni aspetto della vita sociale e ogni categoria di
individui a qualsiasi classe essi appartengano.
E che spesso si estende all’intera Isola.
Nei giorni scorsi in un paesino della costa trapanese è stato ucciso un parente
(acquisito) di uno degli ultimi boss mafiosi siciliani ancora latitanti. Il paese,
compatto – sindaco in testa con fascia tricolore – alla cerimonia funebre,
condita dai soliti “ottimo figlio, ottimo sposo, ottimo padre, ottimo
cittadino”, ha espresso solidarietà nei confronti della vittima.
Fatta salva la
sua rispettabilità e la sua probabile estraneità agli ambienti di mafia,
prudenza avrebbe voluto che tale pubblico tributo si fosse rimandato alla
conclusione delle indagini.
Che cosa voglio dire? Che una solidarietà troppo frettolosa rischia di non
centrare il bersaglio e ottiene l’effetto contrario: un boomerang che anche un
rettore uscente come il magnifico palermitano avrebbe dovuto assolutamente
evitare.
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