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A 34 anni, Mariastella Gelmini è,
probabilmente, il più giovane ministro dell’Istruzione, dell’Università e
della Ricerca. Complimenti.
Ma… chi gliel’ha fatto fare? Non era forse meglio, per lei, rimanere sui
banchi della Camera e sfornare proposte di legge da citare nel suo
curriculum vitae? Perché – ben sanno gli ultimi due - per fare il ministro
del Miur ci vuole più coraggio che competenza. In fondo i problemi della
scuola, dell’università e della ricerca sono stati per molti anni sollevati
e discussi quasi quotidianamente dalla stampa e, pertanto, qualsiasi
cittadino che abbia seguito da vicino l’ininterrotto dibattito sulle
iniziative da prendere può ritenersi competente.
Il coraggio di affrontare simultaneamente le direzioni generali del Miur, la
casta dei professori universitari e i sindacati degli insegnanti, invece,
non è di tutti. E come hanno dovuto constatare i colleghi che l’hanno
preceduta, queste tre corporazioni rappresentano gli ostacoli fondamentali
al rinnovamento del sistema scolastico e universitario italiano.
In termini di coraggio, Mariastella Gelmini può vantare un insolito
biglietto da visita. Nel febbraio scorso, a legislatura ormai disciolta,
formulò una proposta di legge sul merito, esclusivamente a nome suo, che
sorprende sia per i tempi di presentazione, sia per la struttura. Sulla base
di questo documento c’è da pensare che il nuovo ministro cercherà di rendere
esecutive le indicazioni contenute nel suo progetto di legge, che vale la
pena di esaminare da vicino. Si tratterà di una vera scommessa.
A dire il vero, più che di disegno di legge, il documento in parola consiste
nella enunciazione di “princìpi e criteri direttivi” a cui dovrebbero
ispirarsi le iniziative di un governo delegato ad adottare decreti
legislativi – come dice il titolo - “per la promozione e l’attuazione del
merito nella società, nell’economia e nella pubblica amministrazione e
istituzione della Direzione di valutazione e monitoraggio del merito presso
l’Autorità garante della concorrenza e del mercato”.
È una proposta ambiziosa e addirittura rivoluzionaria perché fatta nella
mancanza quasi totale di una cultura del merito nel sistema scolastico,
universitario e nella pubblica amministrazione. Il disegno di legge consiste
in una lista di princìpi e criteri che tendono alla liberalizzazione e
privatizzazione nei tre settori. Ma la proposta di Gelmini non fa alcuna
menzione dell’Anvur (l’Agenzia nazionale per la valutazione dell’università
e della ricerca) che – dopo un iter convoluto durato due anni – è stata di
recente approvata anche dalla Corte dei Conti. Conferisce, invece, la delega
della valutazione e del monitoraggio del merito all’Autorità garante della
concorrenza e del mercato che – istituzionalmente - non ha nulla a che fare
con la pubblica amministrazione. Quindi… tutto da rifare?
La proposta di legge si compone di pochi articoli: definizione del merito e
sua valorizzazione nel sistema scolastico e universitario, nella pubblica
amministrazione, e nel mercato del lavoro.
Definizione del merito (articolo 1): Ai fini della presente legge, si
intende per merito il conseguimento di risultati individuali o collettivi
superiori a quelli mediamente conseguiti nei rispettivi ambiti di attività,
tenuto conto dei compiti assegnati e delle capacità possedute. Una
definizione statistica che si presta ad interpretazioni di tipo buonista
incentrate su cosa si intenda per “tenuto conto dei compiti assegnati e
delle capacità possedute”.
L’articolo 2 tratta del sistema scolastico e di quello universitario. Per
ciascun sistema, la valorizzazione del merito riguarda gli studenti, i
docenti e le istituzioni. Le “bombe” sono parecchie. Per il sistema
scolastico, le più dirompenti riguardano l’abolizione degli avanzamenti di
carriera sulla base dell’anzianità di servizio e la progressiva
liberalizzazione della professione fino a permettere, per i docenti,
contratti integrativi di tipo privatistico.
Per il sistema universitario le indicazioni sono altrettanto provocatorie.
Si propone l’abolizione del ruolo dei professori, la chiamata dei docenti da
parte delle facoltà universitarie con contratti di tipo privatistico e
l’introduzione di verifiche triennali dei risultati di ricerca come base
della progressione di carriera. A livello delle istituzioni universitarie,
si considera la privatizzazione di tutti gli istituti pubblici di ricerca e
la ripartizione dei fondi pubblici alle università sulla base della
valutazione certificata da organismi terzi.
L’articolo 3 riguarda la pubblica amministrazione. Anche in questo settore,
troviamo l’abolizione di tutti gli automatismi nelle progressioni di
carriera, l’introduzione di sistemi di valutazione dei risultati e, per i
dirigenti, la chiamata nominale con contratti di tipo privatistico.
Sembra di stare su un altro pianeta.
È opportuno privatizzare scuola e università nei termini delineati dalla
proposta di legge di Mariastella Gelmini? E soprattutto, è necessaria la
privatizzazione per raggiungere i vantaggi di un sistema meritocratico?
Forse sì, ma quando si mette troppa carne al fuoco c’è il pericolo di
spegnere la brace. Ad esempio, l’abolizione del ruolo dei professori
universitari non è stata attuata in nessuna nazione del mondo. Se, quindi,
si prende l’orizzonte internazionale come ambito di confronto per la
produttività e l’efficienza del sistema universitario, appare opportuno
concentrare gli sforzi sullo sganciamento delle progressioni di carriera
dall’anzianità di servizio e sulla valutazione delle istituzioni alle quali
sia data piena autonomia e piena responsabilità, inclusa la responsibilità
di dichiarare bancarotta.
Occorre ricordare che la valutazione del merito individuale è un’attività
difficile, spesso realizzata con valutazioni soggettive anche nei sistemi
universitari europei e d’oltre Atlantico. C’è da pensare, dunque, che i vari
Tar verranno subissati di ricorsi, con il risultato di rallentare se non
addirittura bloccare qualsiasi tentativo di promuovere ed attuare una
cultura del merito nella scuola, nell’università e nella pubblica
amministrazione. Ma val la pena tentare.
Raramente una proposta di legge di fine legislatura ha avuto una discussione
mediatica così diffusa e sostanzialmente positiva. Il nuovo Ministro
dell’Istruzione, Università e Ricerca, che l’ha firmata, dovrà scegliere con
coraggio le iniziative da realizzare. Con i migliori auguri a lei e al
sistema universitario.
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