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Che ne direste di togliere 100
milioni di euro all’Università di Roma “La Sapienza”? E 65 milioni
all’Università di Messina? E 35 milioni all’Università di Palermo? E 12
milioni all’Università di Catania?
Ma non è finita. Perché non togliere 38 milioni di euro all’Università di
Napoli “Federico II”? E 24 milioni all’Università di Genova? 20 a quella di
Trieste, 19 a Sassari, 18 a Cagliari e 17 milioni alla Seconda Università di
Napoli?
Non è uno scherzo, queste cifre sono state calcolate otto mesi fa dalla
Commissione Tecnica per la Finanza Pubblica istituita dal Ministero
dell’Economia e delle Finanze (Mef) con lo scopo di raccomandare una
strategia per risanare la spesa pubblica, inclusa quella per l’Università.
Per la verità, la Commissione non ha fatto altro che applicare i criteri di
qualità per la distribuzione del Fondo di Finanziamento Ordinario (Ffo)
predisposti nel 2004 dal Cnvsu (Comitato Nazionale per la Valutazione del
Sistema Universitario) e “ampiamente condivisi dagli attori coinvolti (Mur e
Crui)”. Tali criteri si riassumono nel seguente schema che distribuirebbe i
fondi con il seguente metro:
• 30% - domanda da soddisfare (numero di iscritti)
• 30% - risultati di processi formativi (crediti formativi acquisiti dagli
studenti)
• 30% - risultati della ricerca scientifica
• 10% - incentivi speciali.
I criteri del Cnvsu – ancora piuttosto ermetici nella loro enunciazione -
hanno dato origine a quello che la Commissione ha chiamato “modello
teorico”. Ne è nata una tabella di percentuali negative e positive (Tabella
4, colonna 4, pagina 22) che prevede la riduzione del Fondo di Finanziamento
Ordinario per molte Università meridionali e delle isole a vantaggio di
molte Università del centro-nord. La lista completa dei trasferimenti (in
migliaia di euro e per l’anno 2006) è riportata nella
figura 1. In sostanza,
il “modello teorico” della Commissione prevede il trasferimento di circa 400
milioni di euro prevalentemente da Università del centro-sud e delle isole
ad Università del centro-nord.
Alcuni dettagli per l’applicazione del modello teorico del Cnvsu da parte
della Commissione Tecnica sono riportati a pagina 9 dove si legge che – in
mancanza di dati precisi e attuali - la Commissione stessa ha dovuto fare
delle ipotesi forti riguardo al “fattore qualità didattica” e al “potenziale
di ricerca”.
Il lavoro della Commissione è stato ampiamente elogiato dai ministri del Mef
del Mur - che hanno accettato il rapporto - e dalla stampa nazionale che ne
ha riportato le conclusioni, ma solo parzialmente, limitandosi a fare la
lista degli Atenei che dovrebbero ricevere maggiori finanziamenti, sempre
secondo il “modello teorico”. Gli Atenei sarebbero (consultare ancora la
figura 1): Torino con 39,88 milioni di euro, Politecnico di Milano con
36,55, Roma “Tor Vergata” con 32,76, Padova con 28,43, Bologna con 26,08,
Milano con 24,43, Trento con 22,98, Politecnico di Torino con 19,79, Siena
con 18,19 milioni, Udine con 15, 47 e (saltandone alcuni) Firenze (il
chiaccheratissimo Ateneo toscano) con 11,85 milioni di euro. Gli Atenei di
questa lista sono stati qualificati come “virtuosi”, una qualifica da
prendere con le pinze, come dimostreremo più oltre.
Tra le testate cartacee che hanno contribuito all’aureola di questi Atenei
troviamo Il Sole 24 Ore del 24 dicembre 2007, che cita Alessandro Finazzi
Agrò, rettore dell’Università di Roma “Tor Vergata”: “… la distribuzione
premiale resta nel cassetto e se si lavora bene o male non fa differenza” .
Ad accompagnare queste lamentele, il rettore dell’Università di Torino, Ezio
Pellizzetti, sentenziò: “Ci spettavano circa 46 milioni di euro, invece
anche questa volta è tutto rimandato”. E Giulio Ballio, rettore del
Politecnico di Milano e – teoricamente – “creditore” di 40 milioni di euro,
aggiunse: “Continuando così si rischia di far affondare le Università, anche
le più valide”. Il Messaggero di Roma del 21 febbraio 2008 ripete quasi
letteralmente i pronunciamenti di Alessandro Finazzi Argò, Ezio Pellizzetti
e Giulio Ballio.
In tal modo, i rettori delle Università del centro-nord, vedendosi piovere
addosso tanta manna dal cielo, si sono rivolti alla stampa per far la voce
grossa e per reclamare quello che, secondo loro, sarebbe un diritto
acquisito, sebbene – ad esaminare la faccenda in modo compiuto - sia solo il
risultato di un mero esercizio “teorico” della Commissione Tecnica, da
migliorare – come dice il rapporto - negli anni futuri dalla “costituenda
Agenzia di valutazione del sistema universitario e della ricerca (Anvur),
che si troverà dunque a gestire un’eredità impegnativa (pagina 9)”. Ma la
stampa nazionale – ignorando completamente le intenzioni e le indicazioni
della Commissione Tecnica - ha fatto un’eco sempre più battente alla
richiesta dei rettori del nord.
Ultimo, in ordine cronologico, il rettore dell’Università di Padova,
Vincenzo Milanesi, che – secondo
il Gazzettino del 4 marzo 2008 – ha
sentenziato: “Siamo un’Università eccellente, ma ci tolgono i fondi”. E ha
continuato: “Padova è sottofinanziata per 28 milioni di euro in meno
all’anno. Non si può andare avanti così. Non è possibile che ci siano e
continuino ad esserci così smaccatamente ‘figli e figliastri’ nella
distribuzione delle risorse pubbliche tra Università. Altrimenti ci si trova
a giocare una partita truccata”. Parole grosse di un rettore “virtuoso”.
Con un’analisi differente da quella del modello teorico, la Commissione
Tecnica ha preparato anche la Tabella 3 (a pagina 21) che riporta la
percentuale del Fondo di Finanziamento Ordinario impegnata per spese fisse
di personale di ruolo. La legge 449/97, pubblicata nel 1998, ha vietato le
assunzioni di personale a tempo indeterminato, sia docente, sia non docente,
per le Università in cui la spesa per assegni fissi al personale di ruolo
risultasse superiore al 90% del Fondo di Finanziamento Ordinario. Una
ventina di Università ha sforato questo limite (figura 2), prime tra tutte
Siena e Firenze – ma anche L’Aquila, Udine, “Ca’ Foscari” di Venezia e
Ferrara – che si trovano sulla lista delle Università che dovrebbero
ricevere un Fondo di Finanziamento Ordinario aggiuntivo, come documentato
nella figura 1. Queste stesse Università – paradosso all’italiana - si
troverebbero, dunque, sia sulla lista degli Atenei “virtuosi”, sia su quella
degli Atenei “non-virtuosi”.
Sembrerebbe facile concludere che se Siena e Firenze (e le altre Università)
avessero ricevuto il Fondo di Finanziamento Ordinario aggiuntivo calcolato
dalla Commissione Tecnica, probabilmente non avrebbero superato il limite
del 90% dovuto a spese fisse del personale di ruolo. Possiamo, dunque, dire
che i dati usati dalla Commissione Tecnica sono da considerarsi come
indicativi di una tendenza amministrativa e finanziaria delle Università
italiane, ma non devono essere considerati di validità e precisione
assoluta? C’è da pensare che se tutte le Università avessero saputo in
anticipo il regime finanziario di qualità a cui sarebbero state sottoposte,
esse sarebbero state molto più caute nella loro amministrazione e avrebbero
consegnato dei dati più veritieri e attendibili. Dato che, per molti anni,
la raccolta dei dati statistici non è servita pressoché a nulla di
interessante, i calcoli fatti – una tantum – dalla Commissione Tecnica
devono essere considerati con grande cautela e, semmai, come la prima
bordata di avviso che – d’ora in poi – le cose cambieranno.
Ed è proprio sulla base delle informazioni fornite dalle figure 1 e 2 che,
verso la metà di marzo, nasce Aquis (Associazione per la Qualità delle
Università Italiane Statali), promossa da un gruppo di 12 Università del
centro-nord (ad eccezione dell’Università della Calabria) che si
autodefiniscono “di eccellenza” per non aver sforato il tetto del 90% di
Fondo di Finanziamento Ordinario per spese di personale di ruolo: un
parametro di “virtuosità” poco credibile. Com’era da aspettarsi, la nascita
di Aquis ha fatto scalpore, specialmente tra le Università escluse dal “club
dei virtuosi” che non accettano la “privatizzazione” delle misure di
produttivittà ed efficienza poste in essere dalla Commissione Tecnica. La
risposta di Aquis si concentra sulla necessità di una nuova politica di
finanziamento delle Università come segnale che le faccende universitarie
devono cambiare.
Ma, francamente, come possono cambiare? Dove trovare la volontà e la forza
politica per distribuire il Fondo di Finanziamento Ordinario alle Università
secondo il modello teorico della Commissione Tecnica? La risposta è
semplice: non esistono all’orizzonte parlamenti e governi, di nessun colore
politico, che abbiano il coraggio e la capacità di mettere in pratica le
indicazioni del Cnvsu e della Commissione Tecnica.
La quale Commissione ha omesso l’analisi delle spese per personale a
contratto. Ma è noto che molte Università hanno fatto e fanno un uso allegro
e irresponsabile delle chiamate senza concorso. Col tempo, molte di queste
chiamate si sono trasformate in precariato al quale si è rimediato con un
provvedimento “ope legis” senza il rispetto dell’eccellenza, della
trasparenza e dell’imparzialità che l’articolo 97 della Costituzione
richiede per i pubblici uffici: un ciclo ben noto a coloro che si creano una
base di potere attraverso assunzioni a “tempo determinato” – un eufemismo -
e ai sindacati.
Circa metà delle Università italiane hanno una percentuale di spese fisse
per personale di ruolo che si aggira attorno o supera il 90% del Fondo di
Finanziamento Ordinario. E, allora, dove hanno trovato i fondi per pagare
l’esercito di personale a contratto, sia docente che tecnico-ammistrativo?
La
figura 3 presenta la situazione al 2006. Le Università sono state
ordinate secondo il rapporto crescente tra personale di ruolo e personale a
contratto. Più della metà mostra un rapporto inferiore o di poco superiore
all’unità. Il che significa affidare importanti attività didattiche e
funzioni tecnico-amministrative a gente che non è passata per un serio
vaglio delle sue qualifiche.
L’esercizio teorico della Commissione Tecnica ha messo in luce – ma solo
luce riflessa - un aspetto fondamentale della programmazione della spesa
pubblica per l’Università: il fatto, cioè, che tutti i bilanci di tutte le
Università sono interdipendenti. Se quello che guadagna un’Università deve
essere tolto all’altra, siamo in presenza di un “gioco” (secondo la teoria
dei giochi) a somma zero. Il che comporta l’interesse di ciascuna Università
a verificare che bilanci e dati statistici di tutte le altre Università
siano veritieri e affidabili.
E qui si apre lo scandaloso capitolo della mancanza di pubblicità dei
bilanci universitari. Nonostante gli Atenei siano enti pubblici, pare che
per loro non valga la legge sulla pubblicità e tempestività dei loro
bilanci. O, probabilmente, nessuno si cura che la legge venga applicata. Le
Università che espongono i loro bilanci in rete si contano sulle dita di una
mano e, molto spesso, i dati finanziari non sono presentati in tempo reale.
Quelli raccolti dal Cnvsu
sono esposti in maniera incompleta e praticamente inutilizzabile . Ad
esempio, i dati finanziari del 2005 sono presentati nel 2007. In più, si
parla di “competenze”, mai di dati di bilancio consuntivo.
C’è da chiedersi con che banca dati il Mur partecipi alla formazione della
Finanziaria annuale senza disporre di bilanci consuntivi seri e affidabili
per l’anno precedente e di previsione per l’anno in corso. Questa
constatazione spiega il perché l’assegnazione del Fondo di Finanziamento
Ordinario alle Università sia fatto e si farà sempre sulla base delle quote
storiche, con buona pace dei rettori del centro-nord.
Perché la programmazione è una cosa seria. E senza la partecipazione leale
di tutti i giocatori, il “gioco” diventerebbe una rissa che è meglio evitare
ricorrendo allo “statu quo”.
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