|
|
La relatività della scienza e l’immutabilità del
“sapere ufficiale”
E’ noto che i re di Spagna, prima di accedere alla richiesta di Colombo,
consultarono i rappresentanti del “sapere ufficiale” impersonato dai Dottori
dell’Università di Salamanca, la più importante del loro regno.
I Dotti discussero insieme per molto tempo, in privato e pubblicamente, le
idee di Colombo ed emisero abbastanza concordemente la loro stroncatura:
l’impresa di Colombo non aveva basi scientifiche e quindi sarebbe
ingloriosamente e rovinosamente fallita.
Su questo parere così autorevole i re di Spagna negarono qualsiasi aiuto a
Colombo e se la vicenda si fosse chiusa - com’era estremamente probabile
-seguendo il loro illuminato parere l’America non sarebbe stata scoperta,
quando invece lo fu, e la storia dell’umanità ne sarebbe stata influenzata
in modo importante. Avevano avuto dunque torto i Dotti? Certo che no: la
Cina non era dove Colombo era andato a cercarla.
Ma la ragione non era neanche dalla parte del sapere ufficiale: uno degli
argomenti “scientifici” più accreditati (come la maggior parte degli altri,
quasi tutti tratti dall’interpretazione delle Sacre Scritture) – quello,
cioè, che il naufragio si sarebbe immancabilmente verificato sulle scogliere
che circondavano la montagna del Purgatorio - nessuno degli scienziati di
oggi si sentirebbe di sottoscriverlo.
Certo, la scienza di allora non è la scienza di oggi. Ma il punto sta
proprio qui. La scienza di ieri non è quella di oggi, proprio come la
scienza di oggi non sarà quella di domani.
Basta vedere dalla mela di Newton com’è cambiata la Fisica, per esempio.
Di certo c’è soltanto che se, a torto o a ragione, il parere dei saggi
avesse prevalso, l’America avrebbe forse aspettato a lungo prima di essere
scoperta (e saccheggiata!).
Ciò posto, la domanda è: dato che il parere del sapere ufficiale è comunque
molto importante e deve essere senza dubbio raccolto, è giusto che esso sia
il solo a dover decidere dell’opportunità o meno di effettuare nuove
ricerche orientate anche in direzione diverse da quelle da esso riconosciute
come valide? Certo che no.
Intanto l’odierna versione dei “Dotti di Salamanca” - i nostri docenti
universitari - non sono soltanto uomini di scienza, ma anche uomini soggetti
alla passione di altri tipi di considerazioni. Spesso rappresentano
interessi di casta (le “baronie”…), o interessi industriali di parte, oppure
sono influenzati da considerazioni di scuola o di carriera. E considerano
sempre il loro personale parere l’ultimo e il definitivo.
Eravamo al principio degli anni Cinquanta quando chi scrive, discutendo con
un amico, professore di Astronomia, della possibilità che offrivano i razzi
a riguardo delle esplorazioni dello spazio si sentì rispondere con un
accento che non ammetteva repliche: “Questi sono sogni! Mai, dico mai,
l’uomo riuscirà a lasciare la Terra!”.
Quel professore era un vero scienziato, in buona fede, e stimato
nell’ambiente accademico e anche fuori: un’Autorità nel suo settore.
D’altra parte, solo sessant’anni fa il 99% dei suoi colleghi la pensava come
lui, e sappiamo oggi quale peso avrebbe dovuto essere dato alle sue
affermazioni così categoriche.
Abbiano sotto gli occhi, del resto, la quasi contemporanea storia dei
“ragazzi di via Panisperna” guidati da Fermi. Se quel gruppo (che tuttavia
pesava all’interno dell’Università di Roma) non avesse trovato un “mentore”
del calibro del fisico e ministro dell’Economia Orso Maria Corbino -
sensibile alle esigenze dell'industria, specie del settore elettrico, e
consapevole dell'importanza delle applicazioni della scienza - a garantirgli
i fondi necessari alla ricerca sull’atomo e sulla sua struttura, la fissione
avrebbe forse avuto altro padre e il genio dei componenti di quel famoso
gruppo sarebbe andato perduto. Non solo. Se il professor Corbino non fosse
morto in un momento così intempestivo, è molto probabile che Fermi non
avrebbe accettato di abbandonare l’Italia dopo avere ricevuto il Premio
Nobel per le sue ricerche, in quanto il vero motivo del suo espatrio, assai
più che la discendenza da famiglia ebraica della moglie, fu il venir meno
dei fondi in coincidenza con la scomparsa del professore Corbino.
Ancora una volta gelosie, concorrenza ed interessi di carriera contro il
merito e il sapere di chi è capace di vedere più avanti degli altri.
Nell’Italia rinascimentale – in particolare in quella piccola parte del
Paese in cui essi videro la luce – ci fu una fioritura di geni unica nella
storia del mondo. Pittori, scultori, architetti, scienziati, da Leonardo a
Michelangelo, da Brunelleschi a Cellini, sembrano essersi riuniti nel tempo
e nello spazio, in una meravigliosa fioritura di scienza, bellezza e
abilità.
Forse questa straordinaria concentrazione non è frutto del caso, piuttosto
la conseguenza dell’esistenza di un ambiente umano che possedeva tutte le
condizioni adatte a favorire lo sviluppo delle eccezionali qualità di alcune
creature prodigiosamente dotate.
Se è così – ed è davvero scoraggiante pensarlo - a quanti potenziali geni ha
dovuto rinunciare l’umanità per la sua insipienza e per la sua incapacità ad
organizzarsi!
Avrebbe potuto, per esempio, Leonardo, nella nostra società, realizzare
quello che realizzò nella sua?
Chi mai gli avrebbe dato la possibilità di riflettere sulla natura, che egli
invece poté contemplare a suo agio; chi gli stimoli che trovò nella bottega
del Vasari; chi il denaro per disegnare e costruire le sue meravigliose
macchine; chi il denaro per sperimentare nuovi metodi pittorici e
realizzarli, talvolta con risultati deludenti, ma sempre con genialità di
concezione ed impareggiabile abilità di esecuzione?
Insomma, chi gli avrebbe concesso di inseguire i suoi sogni? E chi, alla
fine della sua lunga e difficile vita, vedrebbe oggi uno dei più potenti re
della terra chinarsi sul suo corpo morente sussurrandogli parole di
ammirazione e di conforto in un castello concessogli con magnificenza e
rispetto?
Niente di tutto questo sarebbe riservato ad un Leonardo edizione ventunesimo
secolo.
Tutt’al più, ammesso che riesca a seguire le sue naturali tendenze, lo
troveremmo con un dottorato di ricerca e uno stipendio (precario) di meno di
mille euro al mese impiegato in qualche ricerca farmaceutica, oppure sulle
monofibre tanto di moda. Beninteso, se tutto gli andasse bene.
Quanti potenziali Leonardo saranno andati perduti nei secoli?
Diceva Machiavelli che per fare il principe occorrono due cose: l’uomo e
l’occasione, perché senza l’occasione l’uomo resta nell’ombra e senza l’uomo
l’occasione andrebbe perduta. Del resto, qualunque agricoltore sa che il
seme, anche di specie pregiata, se cade sulla pietra difficilmente riesce a
germogliare.
E’ triste concludere che l’organizzazione della nostra società non è delle
migliori per mettere il genio nelle condizioni di poter dare all’umanità
intera il meglio di sé.
Giusto affidare alle Università il ruolo-guida della
ricerca?
Traversiamo un momento storico nel quale la civiltà deve fare appello a
tutte le sue risorse di innovazione e di iniziativa per difendere le
posizioni di benessere e sicurezza raggiunte nel suo plurisecolare sviluppo.
Molti sono i cambiamenti che è necessario fronteggiare, ma la chiave
principale del mutamento consiste nel fatto che si avvia a conclusione l’era
dell’energia a basso prezzo ricavata mediante la combustione degli
idrocarburi.
Per attuare le trasformazioni che si renderanno via via necessarie nei
processi di produzione finora seguiti si sta tentando di mobilitare le
Università, affidando ad esse i fondi necessari per selezionare e appoggiare
tutte le idee che riterranno valide e suscettibili di sviluppo industriale.
Ancora una volta si pone quindi il problema di stabilire se sia opportuno
affidare alle Università un incontrastato ed esclusivo ruolo-guida
nell’innovazione scientifica, e soprattutto tecnica, del futuro.
Tutto quello che si è già detto per il passato sembrerebbe indicare in
questa scelta un imperdonabile errore, ma è utile, prima di trarre
conclusioni, esaminare bene la situazione attuale.
Stabilito che il parere della “scienza ufficiale” è
opportuno, anzi, necessario, occorre vedere dunque se conviene che esso
possa essere il solo a decidere su una materia così delicata e gravida di
conseguenze per tutta la società.
Ci sono già a prima vista ragioni per le quali affidare alle Università
questo ruolo guida non sembra opportuno.
La prima è che nel corso del tempo i rapporti fra Università ed industrie di
produzione sono notevolmente mutati.
Nel recente passato, infatti, in Italia esisteva una grande industria che
era perfettamente in grado di sviluppare autonomamente prototipi di nuove
macchine, dalla loro ideazione fino alla fase industriale della produzione
di serie, nei casi più impegnativi mediante l’integrazione di contributi
economici a carico dello Stato, concessi dai Ministeri competenti. Oggi
questa possibilità è molto più limitata, anche perché le grandi realtà
industriali si sono ridotte di numero e di capacità, essendo il meccanismo
italiano della produzione costituito oggi in grandissima prevalenza da
industrie di piccola e piccolissima entità per numero di lavoratori e per
consistenza di capitali e di capacità di progettazione autonoma.
Ne deriva, come prima conseguenza, che un finanziamento affidato alle
Università sarebbe immediatamente impiegato in iniziative di ricerca
proposte dalle Università stesse, e verrebbero accantonate tutte quelle
proposte dalle industrie, che hanno ormai, per le ragioni citate, uno
scarsissimo potere contrattuale. Ciò priverebbe le industrie dei mezzi
necessari per passare dall’idea alla sperimentazione, necessaria per
arrivare alla produzione di serie.
Una seconda ragione è costituita dal fatto che le Università sono per natura
più portate a favorire ricerche di carattere teorico, piuttosto che ricerche
di tipo applicativo.
Già per queste due ragioni, quindi, il concentrare nelle Università il
potere di scelta circa il soggetto della ricerca si risolve in un errore di
fondo, in quanto ne soffrirebbe la ricerca applicata che, come meglio diremo
in seguito, è l’unica che può fornire elementi a sostegno della produzione
di beni tecnici di largo consumo.
Esiste poi sempre il rischio che i fondi destinati alla ricerca ed affidati
alle Università finiscano impiegati per scopi che con la ricerca non hanno
nulla a che vedere.
Ma c’è un’altra ragione molto più sottile per sconsigliare la delega alle
Università dell’esclusivo potere di indirizzo della ricerca scientifica e
soprattutto tecnica.
Un docente della Sorbona disse un giorno a chi scrive che le Università sono
Organismi inadatti ad una vera ricerca innovativa perché i docenti sono
costituzionalmente degli accaniti conservatori. E in realtà essi si
considerano in possesso della verità e sono, di conseguenza, restii ad
abbandonare il certo in loro possesso per l’incerto da investigare.
Per questo, quando vanno avanti, lo fanno a piccoli passi, preoccupati di
non mettere a rischio il proprio prestigio e la propria credibilità, specie
nel campo della ricerca tecnologica che impone la prova del nove della
riuscita.
C’è un’ultima considerazione da fare.
Ben difficilmente l’obiettivo di una ricerca può essere definito, e quindi
finanziato, in maniera precisa prima che la ricerca stessa abbia inizio, e
anche durante possono sorgere circostanze tali da indirizzare diversamente
gli studi che si stanno compiendo. E’ quindi concettualmente difficile
inserire queste mutevoli esigenze nello schema di un Organismo rigido qual è
l’Università.
In realtà la ricerca è affidata soprattutto alla fantasia e alla necessità,
all’occorrenza, di poter derogare dal programma prestabilito.
Per questo motivo un Centro di ricerca organizzato in maniera autonoma ed
elastica potrà meglio soddisfare le esigenze delle nuove cognizioni da
acquisire.
Meglio sarebbe, quindi, che le Università si assumessero esclusivamente
l’onere della formazione e lasciassero quello della ricerca ad Organismi più
flessibili. D’altra parte, tutte le ricerche fondamentali oggetto delle
attuali innovazioni sono nate al di fuori delle Università, in Centri
specializzati o grazie a ricercatori indipendenti, operanti al di fuori
delle strutture ufficiali.
C’è ricerca e ricerca
Se esaminiamo a grandi linee il quadro della destinazione dei fondi
assegnati alla ricerca è facile constatare quanto segue:
1) sono abbastanza coperti i settori riguardanti la ricerca fondamentale
(struttura della materia, astronomia, spazio e quanto direttamente o
indirettamente riconducibile a questi settori)
2) sono parzialmente coperti i settori delle cosiddette energie alternative,
che tuttavia, malgrado gli sforzi, stentano a decollare
3) sono largamente coperti i settori della ricerca farmaceutica e sanitaria
4) sono drammaticamente scoperti, invece, i settori della ricerca
tecnologica e la relativa sperimentazione, senza la quale è impossibile la
ricerca di nuove soluzioni a problemi tecnologici da tempo risolti, in modo
però oggi giudicato insoddisfacente. In tale settore ci si trova anzi a
dovere combattere spesso contro le aziende produttrici dei mezzi attualmente
in uso, che vedono nell’innovazione un’aggressione ulteriore alle posizioni
che tengono spesso a fatica e che sono minacciate anche da una concorrenza
via via più agguerrita.
E’ necessario un breve commento su quanto detto in sintesi precedentemente.
Tutti i settori della ricerca sono importanti, tuttavia vi sono delle
priorità.
I settori di cui al punto 1), ai fini delle situazioni delle quali stiamo
parlando, non possono dirsi certo prioritarie e mobilitano impegni economici
molto rilevanti.
Quanto al punto 2), occorrerebbe fare una selezione fra le opzioni
attualmente seguite ed attivare una differente distribuzione delle cifre
destinate a questo tipo di ricerca.
Per ciò che riguarda il punto 3), le spese relative al settore sanitario
sono indiscutibilmente importanti e sono comunque appoggiate ad industrie di
produzione in grado di sostenere bene, con i ricavi, le ricerche più
importanti. Sono inoltre ben organizzate le Università che con i loro
laboratori e gli specialisti che vi lavorano, a spese delle Stato, possono
integrare e sostenere lo sforzo fatto dalle relative industrie di
produzione.
Quanto alla ricerca tecnologica invece, come abbiamo già detto, da essa
dipende in larga misura la produzione industriale di macchine di larghissimo
consumo (auto, industria del freddo, trasporti, comunicazioni, ecc.), che
costituiscono larga parte dei posti di lavoro di tanta parte della società.
Se non si riuscirà rapidamente a rivitalizzare quest’àmbito delle attività
produttive deriveranno danni assai rilevanti alla società civile e
all’equilibrio interno, nonché allo sviluppo del nostro Paese.
Dall’energia alla meccanica, all’impiantistica, ai mezzi di trasporto sulla
terra, sul mare e nell’aria, tutto dipende da quanto si riuscirà ad innovare
in questo settore. Come già detto, occorre selezionare, specie in questo
campo, tutte le idee nuove, sia utilizzando gli Enti di cui disponiamo
potenziandoli, sia creando Organismi nuovi per coprire i settori scoperti.
La prima cosa è far conoscere al più gran numero di persone possibile quello
che si è brevettato o si sta portando avanti previo esame preventivo da
parte di un Organismo tecnico - da costituire presso l’Ufficio dei Brevetti
italiano - che potrebbe passare le informazioni da lui stesso elaborate alle
Camere di Commercio, che potrebbero a loro volta informare le industrie
eventualmente interessate.
La seconda è di rendere possibile mediante una procedura amministrativa
semplice ed efficiente congrui aiuti a coloro i quali (Enti o singoli
individui) manifestassero interesse alla realizzazione delle macchine o dei
procedimenti attuativi.
Altro settore nel quale occorrerebbe intervenire è l’assistenza legale alla
protezione dei brevetti di interesse nazionale nei confronti dell’illecita
concorrenza: non sempre le aziende produttrici, infatti, sono in grado in
grado di assicurare una efficace protezione di quanto hanno realizzato.
Queste le grandi linee di azione che si dovrebbero seguire. Se l’avvenire
della nostra industria dipende dall’innovazione occorre fare ogni sforzo per
proteggerne lo sviluppo.
|
|
argomenti correlati:
Torna al sommario..........
Hai un argomento da proporre? Entra nel forum di Ateneo palermitano e avvia il
dibattito con gli altri navigatori
.............................. entra
Oppure scrivi una e-mail
al Direttore
............................. scrivi
|