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Riproponiamo, autorizzati dall’Autore, l’articolo che Giacinto della
Cananea, professore ordinario di Diritto amministrativo alla Facoltà di
Scienze politiche dell’Università di Napoli “Federico II”, ha pubblicato lo
scorso novembre su “LaVoce”.
Il testo offre dei co.co.co. (rapporti di lavoro in forma di collaborazione
coordinata e continuativa) una chiave di lettura fuori dal coro che proprio
per questo abbiamo deciso di riproporre: una “sfida” intellettuale
all’omologazione ad ogni costo.
“Ateneo Palermitano” ringrazia della disponibilità l’Autore e “LaVoce”.
(f. p.)
Tutti i rischi della
stabilizzazione
Già la Finanziaria per il 2007 comportava una sanatoria per i precari delle
pubbliche amministrazioni. Ora quella per il 2008 amplia i termini per le
procedure e include i collaboratori coordinati e continuativi. Evidenti le
conseguenze negative, non solo per il bilancio dello Stato. Se si vuole
davvero migliorare il rendimento delle istituzioni, non basta modificare il
sistema elettorale o la Costituzione. E' indispensabile garantire che gli
addetti ai pubblici uffici siano scelti in base al merito e alle esigenze
delle amministrazioni.
I rapporti di lavoro con le pubbliche amministrazioni prevedono consistenti
garanzie a favore dei dipendenti. Danno luogo a retribuzioni il cui
incremento sopravanza sovente l’incremento delle retribuzioni disponibili
nel settore privato. Non sorprende, quindi, che siano in molti ad aspirare a
diventare dipendenti pubblici.
Il circolo vizioso delle sanatorie
Per riuscirvi, però, secondo la Costituzione, occorre superare un concorso,
il quale di rado è bandito con regolarità ed è espletato tempestivamente.
Di qui lo sviluppo dei rapporti di lavoro a termine. Essi hanno un
andamento ciclico, ben noto agli studiosi delle pubbliche amministrazioni,
per cui la regola del concorso è aggirata dall’instaurazione di rapporti,
seguita presto o tardi da una legge di sanatoria. Questa dispone l’avvio
delle procedure di stabilizzazione e l’immissione in ruolo, senza concorso o
con concorsi riservati. (1)
Altrettanto noti sono gli inconvenienti che ne
derivano: la violazione del principio di eguaglianza; l’immissione di
personale non selezionato; l’incremento delle spese al di fuori d’una logica
di programmazione. Per questi motivi, lasciavano ben sperare gli impegni
assunti dal governo nel Documento di programmazione economica e finanziaria.
Ma quegli impegni non hanno avuto conferma nel disegno di Legge finanziaria
presentato al Senato, nonostante le parole con le quali il ministro
dell’Economia e delle finanze ha presentato la manovra di bilancio per il
2007-2010: “si contrastano la proliferazione del precariato e le richieste
di successiva stabilizzazione”. (2) La Legge finanziaria prevede, infatti,
una nuova sanatoria, per la quale il governo è stato criticato da più parti.
(3)
La “stabilizzazione” nel testo approvato dal Senato
Né quelle critiche né i buoni propositi manifestati da alcuni senatori hanno
peraltro ottenuto i risultati attesi. Al contrario, il testo approvato dal
Senato comporta ulteriori peggioramenti. In primo luogo, mentre il testo
iniziale si limitava a disporre la stabilizzazione del personale in servizio
a tempo determinato, per il quale almeno in alcuni casi sono state svolte
procedure selettive, il nuovo testo la estende al personale “già utilizzato
con contratti di collaborazione coordinata e continuativa (…) presso la
stessa amministrazione” (articolo 93, comma 7). Ne sono esclusi soltanto
quanti lavorino negli uffici di diretta collaborazione con gli organi
politici: ben poco, rispetto alle centinaia di migliaia di precari
interessati dalla nuova sanatoria.
Per quanto concerne il personale
utilizzato con collaborazioni coordinate e continuative, la stabilizzazione
non ha neppure il limite temporale previsto inizialmente. È sufficiente aver
espletato attività lavorativa per tre anni, anche non continuativi, nel
quinquennio precedente. Inoltre, è attribuita al governo la facoltà di
equiparare a queste categorie altre “tipologie di lavoro flessibile” ed è
demandato a un successivo decreto del presidente del Consiglio dei ministri
il compito di stabilire “modalità di valutazione da applicare in sede di
procedure selettive”, comunque riservate (articolo 93, comma 8). La
disposizione è redatta in termini così vaghi da far sorgere il dubbio se sia
rispettato l’articolo 97 della Costituzione, il quale esige che sia la legge
a stabilire le eccezioni alla regola generale del concorso.
Il richiamo alla
regola effettuato dalla disposizione (al comma 5) non è perciò altro che il
formale omaggio che il vizio tributa alla virtù. E se il disegno di Legge
finanziaria predisposto dal governo disponeva, dietro la parvenza d’una
semplice facoltà, una riserva del 20 per cento dei posti nei bandi di
concorso per le pubbliche amministrazioni a favore dei cosiddetti precari,
il Senato vi ha aggiunto del suo. Ha stabilito, sempre a vantaggio del
personale utilizzato con collaborazioni coordinate e continuative, che i
bandi possano attribuire un “riconoscimento, in termini di punteggio, del
servizio prestato” presso le pubbliche amministrazioni (articolo 93, comma
18). Poiché le amministrazioni avrebbero potuto riconoscere l’attività
svolta in sede di valutazione dei titoli, nell’esercizio della propria
autonomia, l’intento della norma è chiaro: attribuire una priorità.
Insomma,
se la Legge finanziaria per il 2007 comportava una nuova sanatoria, quella
per il 2008 si spinge ben oltre: ampliando i termini per le procedure di
stabilizzazione, ovviamente da svolgersi “sentite le organizzazioni
sindacali”, e includendovi il personale utilizzato con collaborazioni
coordinate e continuative. Sono evidenti le conseguenze negative per il
sistema del merito, indispensabile per garantire l’eguaglianza, oltre che
per i conti pubblici. Sono stati infatti stanziati 20 milioni di euro, in
aggiunta ai 5 della Legge finanziaria per il 2007.
I rischi per le riforme
Vi è un ulteriore, duplice, rischio che la Legge finanziaria – se approvata
nel testo attuale – comporta. Riguarda le politiche di riforma già avviate e
quelle da avviare. Da un lato, la riforma del pubblico impiego intrapresa
nel 1993 con i governi Amato e Ciampi consente alle pubbliche
amministrazioni di avvalersi delle forme contrattuali flessibili di
assunzione e di impiego previste dalle norme che disciplinano le imprese.
Dunque, le sanatorie costituiscono altrettante deviazioni rispetto a quel
modello. Dall’altro lato, le analisi comparate dei costi e dei rendimenti
delle istituzioni pubbliche all’interno dell’Ocse dimostrano che in Italia,
sebbene molto si sia fatto con le riforme amministrative effettuate
nell’ultimo decennio del XX secolo, molto resta ancora da fare. Per quanti
sforzi si possano fare per migliorare le regole vigenti, una massiccia
immissione in ruolo di dipendenti non selezionati rischia di frustrarne gli
esiti. Non a caso, la Legge finanziaria per il 1994, che perseguiva un
ambizioso disegno di riforma, vietava l’assunzione dei dipendenti precari.
Se, quindi, si vuole davvero migliorare il rendimento delle istituzioni
pubbliche, non basta modificare il sistema elettorale o la Costituzione. È
indispensabile garantire che gli addetti ai pubblici uffici siano scelti in
base al merito e in funzione delle esigenze delle amministrazioni.
Giacinto della Cananea
(tratto dal sito www.lavoce.info)
(1) S. Cassese, Le basi del diritto amministrativo, Milano, Garzanti, 2000,
6° ed., p. 270
(2) Senato della Repubblica, Intervento del ministro dell’Economia e delle
finanze Tommaso Padoa-Schioppa, Roma, 3 ottobre 2007, p. 10
(3) N. Rossi, “Il governo assume i precari e licenzia lo Stato di diritto”,
Il Corriere della sera, 5 novembre 2007; G. della Cananea, “Una scelta
nemica del merito e dei conti”, Il Sole-24 Ore, 11 novembre 2007.
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