Sull’ editoriale dello scorso numero
ho scritto dei problemi della Facoltà di Lettere di Palermo, che da anni si
trascina, barca alla deriva in un mare di violenza suburbana travestita da
attivismo politico di sinistra.
Oggi - complice una notizia di stampa locale – scrivo di quelli della Facoltà di
Scienze politiche, stesso Ateneo.
Due strutture che conosco bene, peraltro, per averci personalmente lavorato.
Gli studenti di Scienze politiche protestano, ma non, come i loro colleghi di
Lettere, per motivi ideologici, quelli che – zucchero non guasta bevanda -
consentono anche di saltare qualche lezione; piuttosto per voglia di lavorare, e
lavorare bene. Ed è qui che sta il problema.
Alla Facoltà di Scienze politiche di Palermo - preside “pluridecorato” Carlo
Argiroffi (l’ho lasciato lì anni fa e lì sta ancora) – gli studenti vorrebbero
lavorare seriamente, ma non possono. O almeno, è capitato che non abbiano
potuto.
Fermo restando che al resto del mondo (in questo caso Palermo e provincia, vista
la diffusione dell’unico quotidiano locale) arriva solo l’1% di quanto accade
all’interno delle stanze universitarie palermitane se quello che accade serve
alla cronaca, ma nuoce all’ “apparenza” (analizzarne i motivi ci porterebbe
lontano), guardo alla notizia, giunta alle pagine del quotidiano locale grazie a
uno studente, che ha protestato su una rubrica pensata dal giornale per fare da
tramite tra la gente comune e la Pubblica Amministrazione locale.
Niente quesiti statistici perciò, per scoprire magari quante volte, in un anno,
qualcosa è andato storto nell’organizzazione generale di quella Facoltà, giusto
per restare in tema (io qualche idea ce l’avrei, delle cose che non funzionano a
Scienze politiche di Palermo, a partire dalla sua Biblioteca centrale, sempre
più deputata a raccogliere solo libri di testo come un centro “doposcolastico”
qualsiasi, piuttosto che a rafforzare il suo ruolo di cuore culturale pulsante
della Facoltà, ma ne rimando l’elenco a una prossima volta).
La notizia, dunque: per sei mesi lo studente che ha pubblicamente protestato,
insieme a molti altri colleghi (che però non hanno protestato, vittime inermi di
una strana concezione di servizio pubblico per il pubblico), segue le lezioni di
Istituzioni di Diritto privato del professore Francesco Rossi, secondo
l’indicazione che a ottobre gli Uffici di segreteria della Facoltà gli avevano
dato e che riguardavano il suo corso di laurea (le Istituzioni di Diritto
privato a Scienze politiche di Palermo sono suddivise tra il già citato Rossi e
il professore Gianfranco Amenta, entrambi associati).
Ma, a distanza di pochi giorni dall’appello per sostenere gli esami, la Facoltà
lo informa che - lui, come tutti gli altri suoi malcapitati colleghi – dovrà
sostenere l’esame con l’altro prof, Gianfranco Amenta. Altro prof e – siccome
ognuno ha le sue simpatie – anche altro testo. Con tutte le conseguenze del
caso, leggasi bocciatura, diciamo, al 90%, considerato che:
1) lo studente, come tutti gli altri colleghi, a quel punto non avrebbe più
avuto il tempo di studiare su un altro testo, quello consigliato da Amenta
2) Amenta con ogni probabilità non avrebbe accettato la preparazione su un testo
non da lui consigliato (sulle personalissime politiche di mercato che gravitano
intorno al mondo accademico nazionale ci sarebbe molto da dire, ma anche queste,
le rimando a una prossima volta).
Al di là delle rassicurazioni e delle promesse da parte della Facoltà, riportate
sulla stampa, non sappiamo effettivamente com’è andata a finire con l’esame.
Sappiamo solo che, dopo la protesta dello studente che ha reso di pubblico
dominio la vicenda, la Facoltà ha ammesso di avere sbagliato a informarlo, lo
scorso ottobre, come aveva sbagliato a informare tutti gli altri studenti caduti
come lui nella sua “trappola” organizzativa.
“Un difetto di comunicazione”, l’ha chiamato il responsabile della segreteria
Giuseppe Vella. Sulla pelle degli studenti, però. Che, siccome non muta,
purtroppo per loro, bisogna che se la tengano addosso, nello stato in cui gliela
riducono, per tutta la durata dei loro corsi di studi accademici.
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