diretto da Francesca Patanè

giugno 2007 numero 66

A ciascuno il suo

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di Francesca Patanè

Sull’ editoriale dello scorso numero ho scritto dei problemi della Facoltà di Lettere di Palermo, che da anni si trascina, barca alla deriva in un mare di violenza suburbana travestita da attivismo politico di sinistra.

Oggi - complice una notizia di stampa locale – scrivo di quelli della Facoltà di Scienze politiche, stesso Ateneo.
Due strutture che conosco bene, peraltro, per averci personalmente lavorato.

Gli studenti di Scienze politiche protestano, ma non, come i loro colleghi di Lettere, per motivi ideologici, quelli che – zucchero non guasta bevanda - consentono anche di saltare qualche lezione; piuttosto per voglia di lavorare, e lavorare bene. Ed è qui che sta il problema.
Alla Facoltà di Scienze politiche di Palermo - preside “pluridecorato” Carlo Argiroffi (l’ho lasciato lì anni fa e lì sta ancora) – gli studenti vorrebbero lavorare seriamente, ma non possono. O almeno, è capitato che non abbiano potuto.

Fermo restando che al resto del mondo (in questo caso Palermo e provincia, vista la diffusione dell’unico quotidiano locale) arriva solo l’1% di quanto accade all’interno delle stanze universitarie palermitane se quello che accade serve alla cronaca, ma nuoce all’ “apparenza” (analizzarne i motivi ci porterebbe lontano), guardo alla notizia, giunta alle pagine del quotidiano locale grazie a uno studente, che ha protestato su una rubrica pensata dal giornale per fare da tramite tra la gente comune e la Pubblica Amministrazione locale.
Niente quesiti statistici perciò, per scoprire magari quante volte, in un anno, qualcosa è andato storto nell’organizzazione generale di quella Facoltà, giusto per restare in tema (io qualche idea ce l’avrei, delle cose che non funzionano a Scienze politiche di Palermo, a partire dalla sua Biblioteca centrale, sempre più deputata a raccogliere solo libri di testo come un centro “doposcolastico” qualsiasi, piuttosto che a rafforzare il suo ruolo di cuore culturale pulsante della Facoltà, ma ne rimando l’elenco a una prossima volta).

La notizia, dunque: per sei mesi lo studente che ha pubblicamente protestato, insieme a molti altri colleghi (che però non hanno protestato, vittime inermi di una strana concezione di servizio pubblico per il pubblico), segue le lezioni di Istituzioni di Diritto privato del professore Francesco Rossi, secondo l’indicazione che a ottobre gli Uffici di segreteria della Facoltà gli avevano dato e che riguardavano il suo corso di laurea (le Istituzioni di Diritto privato a Scienze politiche di Palermo sono suddivise tra il già citato Rossi e il professore Gianfranco Amenta, entrambi associati).
Ma, a distanza di pochi giorni dall’appello per sostenere gli esami, la Facoltà lo informa che - lui, come tutti gli altri suoi malcapitati colleghi – dovrà sostenere l’esame con l’altro prof, Gianfranco Amenta. Altro prof e – siccome ognuno ha le sue simpatie – anche altro testo. Con tutte le conseguenze del caso, leggasi bocciatura, diciamo, al 90%, considerato che:

1) lo studente, come tutti gli altri colleghi, a quel punto non avrebbe più avuto il tempo di studiare su un altro testo, quello consigliato da Amenta

2) Amenta con ogni probabilità non avrebbe accettato la preparazione su un testo non da lui consigliato (sulle personalissime politiche di mercato che gravitano intorno al mondo accademico nazionale ci sarebbe molto da dire, ma anche queste, le rimando a una prossima volta).

Al di là delle rassicurazioni e delle promesse da parte della Facoltà, riportate sulla stampa, non sappiamo effettivamente com’è andata a finire con l’esame.
Sappiamo solo che, dopo la protesta dello studente che ha reso di pubblico dominio la vicenda, la Facoltà ha ammesso di avere sbagliato a informarlo, lo scorso ottobre, come aveva sbagliato a informare tutti gli altri studenti caduti come lui nella sua “trappola” organizzativa.
“Un difetto di comunicazione”, l’ha chiamato il responsabile della segreteria Giuseppe Vella. Sulla pelle degli studenti, però. Che, siccome non muta, purtroppo per loro, bisogna che se la tengano addosso, nello stato in cui gliela riducono, per tutta la durata dei loro corsi di studi accademici.


 


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