diretto da Francesca Patanè

maggio 2007 numero 65

Braghe calate, disfatte assicurate

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di Francesca Patanè

La Facoltà di Lettere dell’Università di Palermo in questi giorni è stata teatro di episodi di violenza e intolleranza politica che mal si attagliano a una struttura accademica, espressione, in quanto tale, almeno sulla carta, della didattica e della ricerca nazionale.
Per la verità sono decenni che la Facoltà si dibatte tra lezioni e occupazioni, proteste provenienti da destra e da sinistra, determinazioni istituzionali a garanzia della mission accademica (sempre di meno) ed estremismi studenteschi (sempre di più), bracci di ferro tra docenti e discenti politicizzati, scontri tra studenti e forze dell’ordine.
Un declino lento e inesorabile, un baratro in cui la Facoltà negli anni è precipitata senza alcuna possibilità di riscatto.

Un tempo non era così.
Negli anni delle illuminate presidenze del grecista Bruno Lavagnini prima e del latinista Giusto Monaco dopo, la Facoltà è un coacervo di fermenti culturali, di intelligenze fervide che trovano nella loro sede istituzionale l’habitat ideale per crescere ed alimentarsi.
Seguono gli anni segnati dalla lunga presidenza dell’antropologo Antonino Buttitta, anni difficili, di contestazioni, di rivoluzioni studentesche di ritorno, di murales alle pareti della Facoltà, anni che però Buttitta riesce a gestire con grande capacità di mediazione e intuito non comune, almeno fino a quando non si lascia distrarre dalle sirene della politica locale.
Durante la presidenza del grecista Salvatore Nicosia – figura insigne sul piano scientifico e inattaccabile su quello personale, ma forse un po’ troppo politicizzata – i problemi della Facoltà di Lettere dell’Università di Palermo si aggravano.
Ma è con la presidenza di un ex tecnico amministrativo poi diventato docente, il bibliotecario Giovanni Ruffino, preside attuale riconfermato e professore di Linguistica italiana, che la situazione sfugge decisamente di mano.
Fino ai recenti scontri per una lezione accademica dell’ex estremista rosso Oreste Scalzone, contestatissima dall’opposto schieramento politico: un’inutile provocazione che il buon senso dei vertici accademici per motivi di sicurezza avrebbe dovuto con spirito più decisionistico impedire all’interno della Facoltà, e che invece con atteggiamento inutilmente accomodante vieta alle sole aule e non anche agli spazi comuni.
Fino ai recentissimi bracci di ferro – rigidi dalla parte degli studenti attivisti, solo abbozzati da quella istituzionale - per la sgombero degli spazi autogestiti allo scopo di fare posto alle regolari lezioni accademiche.
Fatti, questi, che pur provocando gli ennesimi episodi di violenza, hanno indotto il preside Ruffino a dichiarare che avrebbe fatto ricorso “ad altro” e non già alle forze dell’ordine per ripristinare la legalità nella struttura di cui è responsabile. “Altro” inteso, almeno a giudicare dal modo in cui si sono poi evolute le cose, come l’ennesimo e molle compromesso alla ricerca di una tranquillità ahimé ormai definitivamente perduta.

Non entro nel merito politico e di partito: i colori non mi interessano né mi condizionano, qualsiasi gradazione essi abbiano. Ciò significa – lo preciso a scanso di equivoci - che farei identiche osservazioni se i protagonisti fossero stati espressione di area politica opposta.
Entro invece nel merito della gestione del problema da parte della Facoltà nel frangente degli episodi narrati.
Se un preside alza bandiera bianca nel modo in cui alla Facoltà di Lettere di Palermo il preside Ruffino l’ha alzata, se così clamorosamente sceglie la strada dell’accomodamento invece di decidere per soluzioni coraggiose a salvaguardia degli scopi istituzionali che egli stesso rappresenta e della sicurezza di tutto il resto della collettività studentesca politicamente schierata e non, vuol dire che l’Università italiana è davvero arrivata al capolinea.

Non bisogna fare di tutta l’erba un fascio, me ne rendo conto: non in tutte le Facoltà di tutti gli Atenei italiani, fortunatamente, si è persa autorevolezza.
Non lo contesto e anzi mi auguro che l’esempio di Lettere di Palermo, come quello di Lettere di Firenze - il cui degrado, accennato anche in passato sulle pagine di questo giornale, ha raggiunto livelli veramente inaccettabili – siano da considerare tutto sommato eccezioni.

Se è davvero così, converrà al più presto che negli ambiti locali chi non riesce a tenere le fila in nome dei diritti della collettività (nel caso specifico il diritto di studio di tutti gli studenti iscritti) venga al più presto messo - lui e la sua mancanza di decisionismo, lui e la sua ricerca spasmodica di difficili e nei fatti pericolose mediazioni - nell’impossibilità di peggiorare ulteriormente situazioni già pesantemente compromesse.


 


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