La Facoltà di Lettere dell’Università di Palermo in questi giorni è stata teatro
di episodi di violenza e intolleranza politica che mal si attagliano a una
struttura accademica, espressione, in quanto tale, almeno sulla carta, della
didattica e della ricerca nazionale.
Per la verità sono decenni che la Facoltà si dibatte tra lezioni e occupazioni,
proteste provenienti da destra e da sinistra, determinazioni istituzionali a
garanzia della mission accademica (sempre di meno) ed estremismi studenteschi
(sempre di più), bracci di ferro tra docenti e discenti politicizzati, scontri
tra studenti e forze dell’ordine.
Un declino lento e inesorabile, un baratro in cui la Facoltà negli anni è
precipitata senza alcuna possibilità di riscatto.
Un tempo non era così.
Negli anni delle illuminate presidenze del grecista Bruno Lavagnini prima e del
latinista Giusto Monaco dopo, la Facoltà è un coacervo di fermenti culturali, di
intelligenze fervide che trovano nella loro sede istituzionale l’habitat ideale
per crescere ed alimentarsi.
Seguono gli anni segnati dalla lunga presidenza dell’antropologo Antonino
Buttitta, anni difficili, di contestazioni, di rivoluzioni studentesche di
ritorno, di murales alle pareti della Facoltà, anni che però Buttitta riesce a
gestire con grande capacità di mediazione e intuito non comune, almeno fino a
quando non si lascia distrarre dalle sirene della politica locale.
Durante la presidenza del grecista Salvatore Nicosia – figura insigne sul piano
scientifico e inattaccabile su quello personale, ma forse un po’ troppo
politicizzata – i problemi della Facoltà di Lettere dell’Università di Palermo
si aggravano.
Ma è con la presidenza di un ex tecnico amministrativo poi diventato docente, il
bibliotecario Giovanni Ruffino, preside attuale riconfermato e professore di
Linguistica italiana, che la situazione sfugge decisamente di mano.
Fino ai recenti scontri per una lezione accademica dell’ex estremista rosso
Oreste Scalzone,
contestatissima dall’opposto schieramento politico: un’inutile provocazione che
il buon senso dei vertici accademici per motivi di sicurezza avrebbe dovuto con
spirito più decisionistico impedire all’interno della Facoltà, e che invece con
atteggiamento inutilmente accomodante vieta alle sole aule e non anche agli
spazi comuni.
Fino ai recentissimi bracci di ferro – rigidi dalla parte degli studenti
attivisti, solo abbozzati da quella istituzionale - per la sgombero degli spazi
autogestiti allo scopo di fare posto alle regolari lezioni accademiche.
Fatti, questi, che pur provocando gli ennesimi episodi di violenza, hanno
indotto il preside Ruffino a dichiarare che avrebbe fatto ricorso “ad altro” e
non già alle forze dell’ordine per ripristinare la legalità nella struttura di
cui è responsabile. “Altro” inteso, almeno a giudicare dal modo in cui si sono
poi evolute le cose, come l’ennesimo e molle compromesso alla ricerca di una
tranquillità ahimé ormai definitivamente perduta.
Non entro nel merito politico e di partito: i colori non mi interessano né mi
condizionano, qualsiasi gradazione essi abbiano. Ciò significa – lo preciso a
scanso di equivoci - che farei identiche osservazioni se i protagonisti fossero
stati espressione di area politica opposta.
Entro invece nel merito della gestione del problema da parte della Facoltà nel
frangente degli episodi narrati.
Se un preside alza bandiera bianca nel modo in cui alla Facoltà di Lettere di
Palermo il preside Ruffino l’ha alzata, se così clamorosamente sceglie la strada
dell’accomodamento invece di decidere per soluzioni coraggiose a salvaguardia
degli scopi istituzionali che egli stesso rappresenta e della sicurezza di tutto
il resto della collettività studentesca politicamente schierata e non, vuol dire
che l’Università italiana è davvero arrivata al capolinea.
Non bisogna fare di tutta l’erba un fascio, me ne rendo conto: non in tutte le
Facoltà di tutti gli Atenei italiani, fortunatamente, si è persa autorevolezza.
Non lo contesto e anzi mi auguro che l’esempio di Lettere di Palermo, come
quello di Lettere di Firenze - il cui degrado, accennato anche in passato
sulle
pagine di questo giornale, ha raggiunto livelli veramente inaccettabili – siano
da considerare tutto sommato eccezioni.
Se è davvero così, converrà al più presto che negli ambiti locali chi non riesce
a tenere le fila in nome dei diritti della collettività (nel caso specifico il
diritto di studio di tutti gli studenti iscritti) venga al più presto messo - lui
e la sua mancanza di decisionismo, lui e la sua ricerca spasmodica di difficili
e nei fatti pericolose mediazioni - nell’impossibilità di peggiorare
ulteriormente situazioni già pesantemente compromesse.
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