maggio 2007 numero 65

attualità
La “Second Life” della Tipografia universitaria catanese
Ambisce a diventare University Press. Nell’attesa avvia il progetto
di “Editoria digitale in Ateneo”: intervista al presidente
 

di  Francesca Patanè

nella foto: Una vecchia macchina a stampa Hidelberg

Ama fare quanto ama parlare: “In Ateneo – dice – qualcuno mi gambizzerebbe molto volentieri…”.

Sempre la stessa storia. In Sicilia quando fai, rompi; quando fai bene, rompi due volte.
Ma Lucio Maggio è uno tosto, uno che ha le idee chiare e che se non le realizza non ci dorme la notte. Ora ha un chiodo fisso: rilanciare la Tipografia dell’ Università di Catania. E con in tasca una delega di presidente – incarico di fiducia che gli è arrivato dritto dritto dal nuovo rettore Antonino Recca – si è rimboccato le maniche e si è messo a lavoro.

In sei mesi la Tipografia è rinata: nuovi macchinari, nuovo personale (ma anche vecchio, rifiondatosi a razzo nella struttura in vista del rilancio), e soprattutto nuova “politica”, dove il tiramo a campà non sta scritto nemmeno sulla carta (e dire che lì, di carta, ce n’è tanta).

Lui sprizza energia, idee, entusiasmo e fantasia da tutti i pori. E parla, parla, parla…

 - Presidente, le Tipografie universitarie non hanno vita facile: sono sottoutilizzate e quasi ignorate dai piani di sviluppo. Eppure potrebbero costituire un ottimo sistema per contenere le spese e un’interessante occasione di business per l’Ateneo, con guadagni che potrebbero essere reinvestiti per l’ulteriore potenziamento delle stesse strutture. Secondo lei, perché accade tutto questo?

- Per un deficit culturale. Il problema non è economico, è culturale. La presenza di una Tipografia quale Centro di servizio di un Ateneo risponde, a mio avviso, innanzi tutto a una esigenza culturale. L’Università è un’Istituzione che produce cultura: ancora oggi, nonostante i nuovi mezzi di comunicazione multimediale, pilastro fondamentale per veicolare cultura è lo stampato, in ogni sua espressione – libro, brochure – comunque una soluzione a stampa. Per un’Azienda impegnata nella produzione di “cultura”, avere al suo interno uno strumento attraverso il quale trasmettere il suo prodotto culturale è, a mio avviso, fondamentale. E’ quello il momento finale del processo produttivo, un momento importantissimo. Se si aderisce a questa visione “culturale” dell’Ateneo, allora si investe anche su una Tipografia universitaria, che quindi ha questa specificità: è lo strumento attraverso il quale un’Azienda culturale realizza il suo prodotto finito. Senza considerare poi i vantaggi economici che derivano dall’utilizzare un servizio interno.
Chi ha chiaro questo investe, chi questo non ce l’ha chiaro vuol dire che non è sufficientemente sensibile.

- Parlare di deficit culturale proprio là dove la cultura dovrebbe esistere per vocazione naturale è grave…

- Non è una novità che l’Università si sta liceizzando, che ha una crisi d’immagine e di funzioni, che non sempre risponde al suo ruolo di faro culturale. Abbandonare al loro destino le proprie Tipografie - strumenti di servizio non sganciati dalla vocazione dell’Ateneo, ma al contrario perfettamente in linea con essa - è indizio di un problema più grande.

- Ci racconti la storia della Tipografia dell’Università di Catania: anch’essa per anni è stata sottoutilizzata…

- La nostra Tipografia è una risorsa dell’Ateneo da sempre, è una delle più antiche universitarie, è un Centro di servizio e una struttura a cui l’Università tiene molto. Ha avuto una sua fase di appannamento, non solo la Tipografia però: il nostro Ateneo ha una storia recente che non corrisponde alla gloria del suo passato; siamo scesi di molto nelle Ranking, per la qualità sia della ricerca, sia della didattica. Dunque oggi il rilancio è complessivo e la Tipografia fa parte di un progetto più generale.

- Su quale budget può contare?

- Noi abbiamo un budget strettamente ancorato a quello che produciamo, non abbiamo risorse garantite: ci sosteniamo attraverso la capacità di rispondere efficacemente alle istanze di servizio che innanzi tutto ci provengono da tutte le strutture periferiche dell’Ateneo, nostra prima fonte di finanziamento. D’altra parte la nostra autonomia è assai ampia, sia quella amministrativo-contabile, sia quella regolamentare.

- Nei vostri progetti c’è anche il conto-terzi?

- Sì, e questo ci consente di attrarre finanziamenti esterni. Ma curiamo con molta attenzione la selezione della clientela non dimenticando di essere parte di una Istituzione culturale che deve garantire innanzi tutto la qualità.

- Dunque una gestione di tipo manageriale.

- E’ l’Ateneo nel suo insieme che è un’Azienda, non solo la Tipografia. La visione aziendalistica di un’Istituzione pubblica come l’Università non deve essere considerata in senso deteriore, tutt’altro.
Il nostro Ateneo è la più grande Azienda sul territorio, è dunque uno dei più importanti soggetti economici che operano nella Sicilia sud-orientale e di questo deve assumersi tutta la responsabilità. La comunità universitaria – tutti i collaboratori con il loro parentado più stretto, in media tre persone a famiglia – raccoglie non meno di 250.000 persone. A cui bisogna aggiungere tutti coloro che “vivono” di Università, dell’indotto, cioè. La nostra è un’Azienda che lascia sul territorio mille miliardi del vecchio conio – cinquecento milioni di euro circa l’anno: una piccola manovra finanziaria! L’Università di Catania è dunque un tassello importante che tiene in piedi l’economia della Sicilia sud-orientale. Perciò deve orientarsi nella direzione dell’efficienza, deve saper spendere, economizzare dove si deve, investire di più dov’è necessario per migliorare la qualità.
La Tipografia è parte di questo Ateneo: è un’Azienda nell’Azienda. Ecco perché si può parlare di managerialità.

- Un’Azienda nell’Azienda che si avvale di uno staff di tutto rispetto, tra vecchie e nuove “immissioni”.

- Sì, non a caso abbiamo fatto il primo intervento proprio sul personale, sulla quantità e soprattutto sulla qualità, non solo professionale, ma anche caratteriale. Lo scopo dell’Azienda-Tipografia è di far lavorare con soddisfazione, solo così si può ottenere il meglio: qui il nostro motto è “lavorare sorridendo”. Per dare spazio alla creatività dobbiamo essere felici dentro, dobbiamo divertirci. E poi i tempi oggi sono sempre più stretti, perciò occorre compattarli. Non possiamo più tenere separati il momento del lavoro da quello del divertimento!

- Come in una grande famiglia, insomma…

- Sì, ma non nel senso siciliano più deteriore!... Noi ci rifacciamo ai più avanzati modelli di organizzazione aziendale, dove si lavora non più a compartimenti stagni, ma in team, per la realizzazione di progetti.

- Dunque, come in ogni gestione manageriale che si rispetti, lavorate “ a progetti”…

- Sì, e in particolare per il conto-terzi stiamo avviando una campagna pubblicitaria a scopo promozionale.

- Per imporsi sul territorio occorrono offerte competitive.

- Certo, anche se comunque non è il conto-terzi la nostra fondamentale ragion d’essere, che invece è quella di assecondare al meglio le esigenze di prodotti editoriali del nostro Ateneo.

- Com’è che un professore che insegna Informatica giuridica come lei un giorno decide di occuparsi di Tipografie universitarie?

- Perché è un pazzo!
In realtà può accadere che un docente, oltre a fare didattica e ricerca, per un periodo della sua vita si occupi anche di organizzazione amministrativa. Io sono stato chiamato dal rettore e ho risposto alla chiamata, con spirito di servizio. Il presidente della Tipografia non sono io, è il rettore: io sono solo il suo delegato. Che però, prima di accettare, ha studiato e si è documentato a dovere! Ora cerco di applicare il metodo scientifico che ho appreso negli anni nel momento organizzativo.

- So che avete in cantiere un progetto di “Editoria digitale in Ateneo”. Ce ne parla?

- No, altrimenti finisce che ci chiamano visionari!

- E perché dovrebbero?

- Perché le innovazioni tecnologiche sono molto à la page, ma vengono collegate a chi ha le visioni…

- Rischi...

- Tutto l’Ateneo ormai si sta indirizzando verso quello che anche il legislatore, d’altra parte, ci indica: l’Amministrazione oggi o è un’Amministrazione digitale, oppure non lo è. La soluzione tecnologica non è uno strumento che “si appende” a un’Amministrazione organizzata tradizionalmente, ma parte integrante di quell’Amministrazione. L’emanazione del codice dell’Amministrazione digitale del 2005, aggiornato nel 2006, segna, in tal senso, un crinale decisivo. Questo, a nostro avviso, vale anche per l’editoria. Lo strumento telematico, infatti, può risultare efficace sia quando si voglia accedere all’informazione veicolata attraverso i tradizionali supporti editoriali cartacei, sia quando si voglia produrre informazione in modo tecnologicamente più avanzato, attraverso soluzioni digitali. In questo senso abbiamo sviluppato un progetto, nato da una sinergia di tre soggetti dell’Ateneo: questa Tipografia, il Centro biblioteche e documentazione e il Cea, l’ex Centro di calcolo. In particolare la nostra Tipografia partecipa di questo processo non curandosi direttamente della digitalizzazione del prodotto cartaceo, ma utilizzando la soluzione digitale per produrre informazione in alternativa al tradizionale supporto cartaceo.

- Professore Maggio, so che il vostro sogno nel cassetto, però, con obiettivo 2008, è quello di dar vita a una “Catania University Press”. Una tipografia universitaria trasformata in casa editrice: un salto di qualità che cambierebbe cosa, nel concreto?

-Significherebbe aggiungere alla competenza tipografica anche un’organizzazione di tipo editoriale. Non ci limiteremmo più a stampare per altri editori, ma diventeremmo gli stampatori per noi stessi. La Tipografia-Casa editrice costituirebbe un’ulteriore risorsa di cui l’Ateneo deciderebbe di dotarsi. Per sviluppare l’idea noi guardiamo ad alcune esperienze italiane – Firenze, Bologna – ma soprattutto alle esperienze delle grandi Università straniere.
Ci siamo chiesti: perché l’esigenza per l’Università di una Casa editrice? Per far pubblicare i docenti con più facilità? No, perché se guardiamo alla qualità dobbiamo dare per scontato che i docenti non troverebbero alcun ostacolo a pubblicare per qualsiasi Casa editrice; per poter stampare prodotti di scarsa qualità che non entrerebbero nei circuiti editoriali tradizionali? Ancora una volta no: i prodotti di scarsa qualità non si stampano, si cestinano. E allora?

- Allora?

- Allora una Tipografia-Casa editrice d’Ateneo serve a sancire la qualità, a dare un marchio, un sigillo. Serve ad acquistare un prodotto a qualità garantita.

- Il libro a denominazione di origine controllata, insomma.

- Esattamente: il libro d.o.c.


Eh, già… Se non le fanno le Università queste cose, chi dovrebbe mai farle?
                                                                         

 


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