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Ama fare quanto ama parlare: “In
Ateneo – dice – qualcuno mi gambizzerebbe molto volentieri…”.
Sempre la stessa storia. In Sicilia quando fai, rompi; quando fai bene,
rompi due volte.
Ma Lucio Maggio è uno tosto, uno che ha le idee chiare e che se non le
realizza non ci dorme la notte. Ora ha un chiodo fisso: rilanciare la
Tipografia dell’ Università di Catania. E con in tasca una delega di
presidente – incarico di fiducia che gli è arrivato dritto dritto dal nuovo
rettore Antonino Recca – si è rimboccato le maniche e si è messo a lavoro.
In sei mesi la Tipografia è rinata: nuovi macchinari, nuovo personale (ma
anche vecchio, rifiondatosi a razzo nella struttura in vista del rilancio),
e soprattutto nuova “politica”, dove il tiramo a campà non sta scritto
nemmeno sulla carta (e dire che lì, di carta, ce n’è tanta).
Lui sprizza energia, idee, entusiasmo e fantasia da tutti i pori. E parla,
parla, parla…
- Presidente, le Tipografie
universitarie non hanno vita facile: sono sottoutilizzate e quasi ignorate
dai piani di sviluppo. Eppure potrebbero costituire un ottimo sistema per
contenere le spese e un’interessante occasione di business per l’Ateneo, con
guadagni che potrebbero essere reinvestiti per l’ulteriore potenziamento
delle stesse strutture. Secondo lei, perché accade tutto questo?
- Per un deficit culturale. Il problema non è economico, è culturale. La
presenza di una Tipografia quale Centro di servizio di un Ateneo risponde, a
mio avviso, innanzi tutto a una esigenza culturale. L’Università è
un’Istituzione che produce cultura: ancora oggi, nonostante i nuovi mezzi di
comunicazione multimediale, pilastro fondamentale per veicolare cultura è lo
stampato, in ogni sua espressione – libro, brochure – comunque una soluzione
a stampa. Per un’Azienda impegnata nella produzione di “cultura”, avere al
suo interno uno strumento attraverso il quale trasmettere il suo prodotto
culturale è, a mio avviso, fondamentale. E’ quello il momento finale del
processo produttivo, un momento importantissimo. Se si aderisce a questa
visione “culturale” dell’Ateneo, allora si investe anche su una Tipografia
universitaria, che quindi ha questa specificità: è lo strumento attraverso
il quale un’Azienda culturale realizza il suo prodotto finito. Senza
considerare poi i vantaggi economici che derivano dall’utilizzare un
servizio interno.
Chi ha chiaro questo investe, chi questo non ce l’ha chiaro vuol dire che
non è sufficientemente sensibile.
- Parlare di deficit culturale proprio là dove la cultura dovrebbe
esistere per vocazione naturale è grave…
- Non è una novità che l’Università si sta liceizzando, che ha una
crisi d’immagine e di funzioni, che non sempre risponde al suo ruolo di faro
culturale. Abbandonare al loro destino le proprie Tipografie - strumenti di
servizio non sganciati dalla vocazione dell’Ateneo, ma al contrario
perfettamente in linea con essa - è indizio di un problema più grande.
- Ci racconti la storia della Tipografia dell’Università di Catania:
anch’essa per anni è stata sottoutilizzata…
- La nostra Tipografia è una risorsa dell’Ateneo da sempre, è una delle più
antiche universitarie, è un Centro di servizio e una struttura a cui
l’Università tiene molto. Ha avuto una sua fase di appannamento, non
solo la Tipografia però: il nostro Ateneo ha una storia recente che non
corrisponde alla gloria del suo passato; siamo scesi di molto nelle Ranking,
per la qualità sia della ricerca, sia della didattica. Dunque oggi il
rilancio è complessivo e la Tipografia fa parte di un progetto più generale.
- Su quale budget può contare?
- Noi abbiamo un budget strettamente ancorato a quello che produciamo,
non abbiamo risorse garantite: ci sosteniamo attraverso la capacità di
rispondere efficacemente alle istanze di servizio che innanzi tutto ci
provengono da tutte le strutture periferiche dell’Ateneo, nostra prima fonte
di finanziamento. D’altra parte la nostra autonomia è assai ampia, sia
quella amministrativo-contabile, sia quella regolamentare.
- Nei vostri progetti c’è anche il conto-terzi?
- Sì, e questo ci consente di attrarre finanziamenti esterni. Ma curiamo con
molta attenzione la selezione della clientela non dimenticando di essere
parte di una Istituzione culturale che deve garantire innanzi tutto la
qualità.
- Dunque una gestione di tipo manageriale.
- E’ l’Ateneo nel suo insieme che è un’Azienda, non solo la Tipografia. La
visione aziendalistica di un’Istituzione pubblica come l’Università non deve
essere considerata in senso deteriore, tutt’altro.
Il nostro Ateneo è la più grande Azienda sul territorio, è dunque uno dei
più importanti soggetti economici che operano nella Sicilia sud-orientale e
di questo deve assumersi tutta la responsabilità. La comunità universitaria
– tutti i collaboratori con il loro parentado più stretto, in media tre
persone a famiglia – raccoglie non meno di 250.000 persone. A cui bisogna
aggiungere tutti coloro che “vivono” di Università, dell’indotto, cioè. La
nostra è un’Azienda che lascia sul territorio mille miliardi del vecchio
conio – cinquecento milioni di euro circa l’anno: una piccola manovra
finanziaria! L’Università di Catania è dunque un tassello importante che
tiene in piedi l’economia della Sicilia sud-orientale. Perciò deve
orientarsi nella direzione dell’efficienza, deve saper spendere,
economizzare dove si deve, investire di più dov’è necessario per migliorare
la qualità.
La Tipografia è parte di questo Ateneo: è un’Azienda nell’Azienda. Ecco
perché si può parlare di managerialità.
- Un’Azienda nell’Azienda che si avvale di uno staff di tutto
rispetto, tra vecchie e nuove “immissioni”.
- Sì, non a caso abbiamo fatto il primo intervento proprio sul personale,
sulla quantità e soprattutto sulla qualità, non solo professionale, ma anche
caratteriale. Lo scopo dell’Azienda-Tipografia è di far lavorare con
soddisfazione, solo così si può ottenere il meglio: qui il nostro motto è
“lavorare sorridendo”. Per dare spazio alla creatività dobbiamo essere
felici dentro, dobbiamo divertirci. E poi i tempi oggi sono sempre più
stretti, perciò occorre compattarli. Non possiamo più tenere separati il
momento del lavoro da quello del divertimento!
- Come in una grande famiglia, insomma…
- Sì, ma non nel senso siciliano più deteriore!... Noi ci rifacciamo ai più
avanzati modelli di organizzazione aziendale, dove si lavora non più a
compartimenti stagni, ma in team, per la realizzazione di progetti.
- Dunque, come in ogni gestione manageriale che si rispetti, lavorate “ a
progetti”…
- Sì, e in particolare per il conto-terzi stiamo avviando una campagna
pubblicitaria a scopo promozionale.
- Per imporsi sul territorio occorrono offerte competitive.
- Certo, anche se comunque non è il conto-terzi la nostra fondamentale
ragion d’essere, che invece è quella di assecondare al meglio le esigenze di
prodotti editoriali del nostro Ateneo.
- Com’è che un professore che insegna Informatica giuridica come lei un
giorno decide di occuparsi di Tipografie universitarie?
- Perché è un pazzo!
In realtà può accadere che un docente, oltre a fare didattica e ricerca, per
un periodo della sua vita si occupi anche di organizzazione amministrativa.
Io sono stato chiamato dal rettore e ho risposto alla chiamata, con spirito
di servizio. Il presidente della Tipografia non sono io, è il rettore: io
sono solo il suo delegato. Che però, prima di accettare, ha studiato e si è
documentato a dovere! Ora cerco di applicare il metodo scientifico che ho
appreso negli anni nel momento organizzativo.
- So che avete in cantiere un progetto di “Editoria digitale in Ateneo”.
Ce ne parla?
- No, altrimenti finisce che ci chiamano visionari!
- E perché dovrebbero?
- Perché le innovazioni tecnologiche sono molto à la page, ma vengono
collegate a chi ha le visioni…
- Rischi...
- Tutto l’Ateneo ormai si sta indirizzando verso quello che anche il
legislatore, d’altra parte, ci indica: l’Amministrazione oggi o è
un’Amministrazione digitale, oppure non lo è. La soluzione tecnologica non è
uno strumento che “si appende” a un’Amministrazione organizzata
tradizionalmente, ma parte integrante di quell’Amministrazione. L’emanazione
del codice dell’Amministrazione digitale del 2005, aggiornato nel 2006,
segna, in tal senso, un crinale decisivo. Questo, a nostro avviso, vale
anche per l’editoria. Lo strumento telematico, infatti, può risultare
efficace sia quando si voglia accedere all’informazione veicolata attraverso
i tradizionali supporti editoriali cartacei, sia quando si voglia produrre
informazione in modo tecnologicamente più avanzato, attraverso soluzioni
digitali. In questo senso abbiamo sviluppato un progetto, nato da una
sinergia di tre soggetti dell’Ateneo: questa Tipografia, il Centro
biblioteche e documentazione e il Cea, l’ex Centro di calcolo. In
particolare la nostra Tipografia partecipa di questo processo non curandosi
direttamente della digitalizzazione del prodotto cartaceo, ma utilizzando la
soluzione digitale per produrre informazione in alternativa al tradizionale
supporto cartaceo.
- Professore Maggio, so che il vostro sogno nel cassetto, però, con
obiettivo 2008, è quello di dar vita a una “Catania University Press”. Una
tipografia universitaria trasformata in casa editrice: un salto di qualità
che cambierebbe cosa, nel concreto?
-Significherebbe aggiungere alla competenza tipografica anche
un’organizzazione di tipo editoriale. Non ci limiteremmo più a stampare per
altri editori, ma diventeremmo gli stampatori per noi stessi. La
Tipografia-Casa editrice costituirebbe un’ulteriore risorsa di cui l’Ateneo
deciderebbe di dotarsi. Per sviluppare l’idea noi guardiamo ad alcune
esperienze italiane – Firenze, Bologna – ma soprattutto alle esperienze
delle grandi Università straniere. Ci siamo chiesti: perché l’esigenza per
l’Università di una Casa editrice? Per far pubblicare i docenti con più
facilità? No, perché se guardiamo alla qualità dobbiamo dare per scontato
che i docenti non troverebbero alcun ostacolo a pubblicare per qualsiasi
Casa editrice; per poter stampare prodotti di scarsa qualità che non
entrerebbero nei circuiti editoriali tradizionali? Ancora una volta no: i
prodotti di scarsa qualità non si stampano, si cestinano. E allora?
- Allora?
- Allora una Tipografia-Casa editrice d’Ateneo serve a sancire la
qualità, a dare un marchio, un sigillo. Serve ad acquistare un prodotto a
qualità garantita.
- Il libro a denominazione di origine controllata, insomma.
- Esattamente: il libro d.o.c.
Eh, già… Se non le fanno le Università queste cose, chi dovrebbe mai
farle?
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