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Torniamo al
caso Eboli. Ricordate? La ricercatrice che lavora alla Facoltà di
Economia della Sapienza di Roma?
Quella che avrebbe dovuto vincere un concorso nazionale per professore di
seconda fascia nel settore scientifico disciplinare di Economia ed Estimo
rurale e che invece, nonostante la marea di titoli, non viene neanche
ammessa all'orale?
Quella stangata dai nove membri della Commissione giudicatrice, Cantarella,
Cassano, Cupo, Ronco, Segale, Sturiale, Volpi e i supercitati (su questo
giornale, ma anche nelle aule dei Tribunali) Prestamburgo e Tudisca?
Quella che dal Consiglio di Stato ha ottenuto l’annullamento del concorso di
cui sopra, con una sentenza esecutiva che la Direzione Generale
dell’Università
dovrebbe eseguire e non esegue? Sì, proprio quella.
Il rifiuto di applicare la sentenza esecutiva – indigeribile per chiunque,
specie per chi lo subisce – ha rafforzato il braccio di ferro tra lei,
ricercatrice a vita e ormai alle soglie della pensione e il Mur, col suo
direttore generale a vita Antonello Masia.
Da un lato c’è l’Istituzione, forte del Verbo dell’Avvocatura Generale dello
Stato responsabile della decisione di Masia di riesumare la vecchia
commissione, invalidata e decaduta, per fare ripetere alla ricercatrice
romana, a lei e solo a lei, la prova concorsuale (fatica inutile: non si è
presentata); dall’altro c’è la controparte, la pluridecennale vittima – del
’90 il concorso, del ’92 l’impugnazione al Tar del Lazio - coi suoi ricorsi
vecchi e nuovi, ad allungare l’ennesima storia di malauniversità
“istituzionalizzata”.
I ricorsi (i due nuovi - al Consiglio di Stato per l’ottemperanza e al Tar
del Lazio - sono rispettivamente di febbraio e marzo di quest’anno) piovono
sulla testa di Antonello Masia, che però - evidentemente dotato di griffata
attrezzatura antipioggia - finora non ha ritenuto di dovere agire secondo il
dettato – dettato, non composizione libera - di una sentenza esecutiva.
Ma che cosa denuncia sui suoi ricorsi, e cosa chiede di nuovo sulle due
ultime produzioni, la dottoressa Eboli che noi, d’ora in poi, promuovendola
sul campo per meriti documentati, alla faccia di chi si è opposto e si
oppone, chiameremo Professoressa?
Ripercorriamo la storia leggendo le carte (tra un po’, col bavaglio che il
Governo Prodi sta confezionando a chi fa il mestiere di informare, sarà più
difficile: difficile, ma non impossibile).
Già il primo ricorso al Tar aveva dato ragione alla Professoressa Eboli.
Niente di speciale, tutto sommato. Si trattava di un ricorso basato su un
motivo formale: la presenza in commissione di un docente – tal professor
Cassano - che per legge non avrebbe potuto esserci. Normale che il Tar le
abbia dato ragione.
La sentenza però, nell’accogliere il ricorso, aggiunge anche un altro
elemento, ed è quest’elemento che scatena, con ben tre appelli al Consiglio
di Stato, i trentacinque vincitori del concorso e il Ministero: “La
riscontrata incompatibilità del prof. Cassano – recita la sentenza -
comporta l’annullamento del provvedimento di nomina della commissione di
esame e, per invalidità derivata, di tutti gli atti da quest’ultima posti in
essere, ivi compreso il giudizio formulato sui singoli candidati…”. Tutti i
giudizi, dunque, non esclusivamente quello formulato sulla ricorrente.
Invece, non solo la commissione invalidata viene riesumata in ogni suo
vecchio componente con la sola sostituzione di Cassano, ma la nuova prova
d’esame - salvaguardando i diritti acquisiti dai vincitori, che col piffero
accetteranno mai di buon grado di rimettersi in discussione - viene messa in
piedi per la sola Professoressa Eboli, che, come già detto, graziosamente
respinge al mittente l’invito.
Gli appelli della corazzata vincitori & C. vengono respinti dal Consiglio di
Stato, che condivide in pieno l’annullamento del concorso e anzi affonda il
coltello nella ferita aperta e ancora sanguinante: “… dovranno essere
formulati nuovi criteri di valutazione…”.
Dunque anche il C.d.S. si schiera con la Professoressa Eboli e si allinea al
Tar del Lazio e anzi si spinge oltre, sottolineando che per correttezza
procedurale sarebbe stato necessario riformulare i criteri di giudizio prima
di procedere alla nuova valutazione comparativa (a margine ci chiediamo,
noi, poveri tapini lontani anni luce dalle circonvoluzioni mentali
istituzionali: come fa un Organo di Governo, il Ministero dell’Università e
della Ricerca, attraverso la sua Direzione Generale, a rinnegare nei fatti …
se stesso? Anche il Consiglio di Stato è infatti Organo di Governo:
ausiliare, sì, ma sempre Organo di Governo… E, visto che ci siamo, un’altra
tapina osservazione: il Consiglio di Stato è anche Supremo Organo di
consulenza giuridico-amministrativa dell’Esecutivo, e quindi dei ministri
che di quest’Esecutivo fanno parte, ivi compreso quello dell’Università e
della Ricerca con tutta la sua Direzione Generale… Mussi e Masia,
evidentemente, non devono avere troppa fiducia nei loro consulenti…).
Davanti a tanto istituzionale immobilismo, all’ostinazione dura e pura della
Direzione Generale, a una realtà che intanto vede i vincitori di quel
concorso invalidato tranquillamente seduti sulle loro baronali poltrone
(molti nel frattempo sono diventati ordinari), la Professoressa Eboli con le
sue armi legali affonda ancora di più. E sui due nuovi ricorsi reitera le
vecchie richieste: nomina di una nuova commissione (per intero), fissazione
di nuovi elementi di giudizio con nuova valutazione comparativa di tutti i
concorrenti e non solo di lei, annullamento di tutte le nomine e i giudizi
di idoneità che a caduta sono derivati a seguito di quel concorso,
annullamento di tutti i concorsi successivi a cui i vincitori del concorso
annullato, grazie a quel titolo, hanno successivamente partecipato e -
ciliegina sulla torta - il risarcimento dei danni morali e materiali.
Ma non si ferma: chiede anche la nomina di un commissario ad acta, che al
posto del direttore generale Antonello Masia possa eseguire quella sentenza
esecutiva che il direttore non ha eseguito e che continua a non eseguire.
E sul ricorso al Tar elenca le ipotesi di reato: “eccesso di potere per
elusione del giudicato formatosi sulla sentenza del Consiglio di Stato…” ed
“eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto di istruttoria e
disparità di trattamento…”.
Un elenco fatto solo di due ipotesi - in pieno contrasto, secondo l’impianto
accusatorio della ricorrente, anche col dettato costituzionale - che
all’Estero, dove la Pubblica Amministrazione non è sommersa da denunce e
ricorsi come quella italiana e che fatti del genere costituiscono
l’eccezione e non la regola, peserebbero come macigni.
E che in Italia, invece, probabilmente, peseranno meno di una piuma, di
quelle per fare il solletico.
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