aprile 2007 numero 64

attualità
Caso Eboli: Continua il braccio di ferro tra la ricercatrice romana e il Mur
Due nuovi ricorsi e per l’applicazione della sentenza esecutiva pure la richiesta di un commissario ad acta

di  f. p.

nella foto: Mariella Eboli

Torniamo al caso Eboli. Ricordate? La ricercatrice che lavora alla Facoltà di Economia della Sapienza di Roma?
Quella che avrebbe dovuto vincere un concorso nazionale per professore di seconda fascia nel settore scientifico disciplinare di Economia ed Estimo rurale e che invece, nonostante la marea di titoli, non viene neanche ammessa all'orale?
Quella stangata dai nove membri della Commissione giudicatrice, Cantarella, Cassano, Cupo, Ronco, Segale, Sturiale, Volpi e i supercitati (su questo giornale, ma anche nelle aule dei Tribunali) Prestamburgo e Tudisca?
Quella che dal Consiglio di Stato ha ottenuto l’annullamento del concorso di cui sopra, con una sentenza esecutiva che la Direzione Generale dell’Università dovrebbe eseguire e non esegue? Sì, proprio quella.

Il rifiuto di applicare la sentenza esecutiva – indigeribile per chiunque, specie per chi lo subisce – ha rafforzato il braccio di ferro tra lei, ricercatrice a vita e ormai alle soglie della pensione e il Mur, col suo direttore generale a vita Antonello Masia.
Da un lato c’è l’Istituzione, forte del Verbo dell’Avvocatura Generale dello Stato responsabile della decisione di Masia di riesumare la vecchia commissione, invalidata e decaduta, per fare ripetere alla ricercatrice romana, a lei e solo a lei, la prova concorsuale (fatica inutile: non si è presentata); dall’altro c’è la controparte, la pluridecennale vittima – del ’90 il concorso, del ’92 l’impugnazione al Tar del Lazio - coi suoi ricorsi vecchi e nuovi, ad allungare l’ennesima storia di malauniversità “istituzionalizzata”.
I ricorsi (i due nuovi - al Consiglio di Stato per l’ottemperanza e al Tar del Lazio - sono rispettivamente di febbraio e marzo di quest’anno) piovono sulla testa di Antonello Masia, che però - evidentemente dotato di griffata attrezzatura antipioggia - finora non ha ritenuto di dovere agire secondo il dettato – dettato, non composizione libera - di una sentenza esecutiva.

Ma che cosa denuncia sui suoi ricorsi, e cosa chiede di nuovo sulle due ultime produzioni, la dottoressa Eboli che noi, d’ora in poi, promuovendola sul campo per meriti documentati, alla faccia di chi si è opposto e si oppone, chiameremo Professoressa?
Ripercorriamo la storia leggendo le carte (tra un po’, col bavaglio che il Governo Prodi sta confezionando a chi fa il mestiere di informare, sarà più difficile: difficile, ma non impossibile).

Già il primo ricorso al Tar aveva dato ragione alla Professoressa Eboli. Niente di speciale, tutto sommato. Si trattava di un ricorso basato su un motivo formale: la presenza in commissione di un docente – tal professor Cassano - che per legge non avrebbe potuto esserci. Normale che il Tar le abbia dato ragione.
La sentenza però, nell’accogliere il ricorso, aggiunge anche un altro elemento, ed è quest’elemento che scatena, con ben tre appelli al Consiglio di Stato, i trentacinque vincitori del concorso e il Ministero: “La riscontrata incompatibilità del prof. Cassano – recita la sentenza - comporta l’annullamento del provvedimento di nomina della commissione di esame e, per invalidità derivata, di tutti gli atti da quest’ultima posti in essere, ivi compreso il giudizio formulato sui singoli candidati…”. Tutti i giudizi, dunque, non esclusivamente quello formulato sulla ricorrente.
Invece, non solo la commissione invalidata viene riesumata in ogni suo vecchio componente con la sola sostituzione di Cassano, ma la nuova prova d’esame - salvaguardando i diritti acquisiti dai vincitori, che col piffero accetteranno mai di buon grado di rimettersi in discussione - viene messa in piedi per la sola Professoressa Eboli, che, come già detto, graziosamente respinge al mittente l’invito.

Gli appelli della corazzata vincitori & C. vengono respinti dal Consiglio di Stato, che condivide in pieno l’annullamento del concorso e anzi affonda il coltello nella ferita aperta e ancora sanguinante: “… dovranno essere formulati nuovi criteri di valutazione…”.

Dunque anche il C.d.S. si schiera con la Professoressa Eboli e si allinea al Tar del Lazio e anzi si spinge oltre, sottolineando che per correttezza procedurale sarebbe stato necessario riformulare i criteri di giudizio prima di procedere alla nuova valutazione comparativa (a margine ci chiediamo, noi, poveri tapini lontani anni luce dalle circonvoluzioni mentali istituzionali: come fa un Organo di Governo, il Ministero dell’Università e della Ricerca, attraverso la sua Direzione Generale, a rinnegare nei fatti … se stesso? Anche il Consiglio di Stato è infatti Organo di Governo: ausiliare, sì, ma sempre Organo di Governo… E, visto che ci siamo, un’altra tapina osservazione: il Consiglio di Stato è anche Supremo Organo di consulenza giuridico-amministrativa dell’Esecutivo, e quindi dei ministri che di quest’Esecutivo fanno parte, ivi compreso quello dell’Università e della Ricerca con tutta la sua Direzione Generale… Mussi e Masia, evidentemente, non devono avere troppa fiducia nei loro consulenti…).

Davanti a tanto istituzionale immobilismo, all’ostinazione dura e pura della Direzione Generale, a una realtà che intanto vede i vincitori di quel concorso invalidato tranquillamente seduti sulle loro baronali poltrone (molti nel frattempo sono diventati ordinari), la Professoressa Eboli con le sue armi legali affonda ancora di più. E sui due nuovi ricorsi reitera le vecchie richieste: nomina di una nuova commissione (per intero), fissazione di nuovi elementi di giudizio con nuova valutazione comparativa di tutti i concorrenti e non solo di lei, annullamento di tutte le nomine e i giudizi di idoneità che a caduta sono derivati a seguito di quel concorso, annullamento di tutti i concorsi successivi a cui i vincitori del concorso annullato, grazie a quel titolo, hanno successivamente partecipato e - ciliegina sulla torta - il risarcimento dei danni morali e materiali.
Ma non si ferma: chiede anche la nomina di un commissario ad acta, che al posto del direttore generale Antonello Masia possa eseguire quella sentenza esecutiva che il direttore non ha eseguito e che continua a non eseguire.
E sul ricorso al Tar elenca le ipotesi di reato: “eccesso di potere per elusione del giudicato formatosi sulla sentenza del Consiglio di Stato…” ed “eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto di istruttoria e disparità di trattamento…”.
Un elenco fatto solo di due ipotesi - in pieno contrasto, secondo l’impianto accusatorio della ricorrente, anche col dettato costituzionale - che all’Estero, dove la Pubblica Amministrazione non è sommersa da denunce e ricorsi come quella italiana e che fatti del genere costituiscono l’eccezione e non la regola, peserebbero come macigni.
E che in Italia, invece, probabilmente, peseranno meno di una piuma, di quelle per fare il solletico.



 


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