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Forse qualcuno avrà notato che da qualche settimana tra i banner a rotazione presenti sull'home page di "Ateneo Palermitano"
c'è il link a un sito: www.ateneopulito.it.
Si tratta anche in questo caso di un omaggio, per meglio dire, di uno scambio.
Sul web spesso succede: uno scambio di link per aumentare - questo in genere l'obiettivo - il numero
di contatti dei due siti che stabiliscono reciprocamente l'accordo.
Ma in questo caso non è così.
Né ad "Ateneo Palermitano" né ad "Ateneopulito" interessa più di tanto incentivare i contatti,
o meglio, interessa, certo: l'ulteriore
accrescimento ci stimolerebbe a continuare con sempre rinnovato entusiasmo, anche se le oltre sessantaduemila visite per il nostro giornale e le
duemila in pochi giorni di permanenza sul web per "Ateneopulito" sono già un soddisfacente traguardo.
Ma c'è un altro
aspetto che interessa ancora di più al direttore responsabile di "Ateneo Palermitano" (un po' meno al suo editore...) e alla responsabile del sito
"Ateneopulito" Lucia Lazzerini - professore ordinario di Filologia romanza all'Università di Firenze - un aspetto che sta alla base di questo scambio,
"morale", prima ancora che materiale: la condivisione di una battaglia. Contro la malauniversità, come da tempo questo giornale ormai predica
(onda "anomala" in un mare di indifferenza?), per una Istituzione Accademica finalmente candeggiata, insomma
per un Ateneopulito, come dalle sue pagine web replica già da alcuni mesi Lucia Lazzerini (altra voce come la nostra, nel deserto dell'insipienza?).
Noi - vi ricordate? - abbiamo cominciato quasi per caso, nell'ormai lontano
mese di gennaio, quando nell'esercizio delle nostre "funzioni professionali
giornalistiche" siamo imbattuti, con la pubblicazione di un
articolo,
scomodo ai vertici accademici palermitani, negli strali di rettore, direttore amministrativo & C., leggasi i vari Bacarella, Tudisca, tutti
nomi che conoscete ormai abbondantemente, nomi che riempiono interi dossier di ancora aperti procedimenti giudiziari che noi, sempre nell'esercizio
delle nostre "funzioni professionali giornalistiche" continueremo a seguire, azzerando subdoli tentativi di censura come quello
messo in atto dall'Università di Palermo a carico dell'autrice dell'articolo e dipendente dello stesso Ateneo nello scorso mese di marzo attraverso la
comunicazione scritta di un
licenziamento arbitrario e vessatorio (salvo poi, come sapete, a ritrattarlo per codardia e pusillanimità d'animo).
Eppure non da quelle determinazioni ritorsive contro di noi è nato il nostro interesse per i temi di malauniversità: se così fosse stato quell'interesse oggi
avrebbe tutto il sapore di una vendetta e noi, sinceramente, riteniamo le vendette solo piccine soddisfazioni di gente altrettanto piccina,
alla cui schiera siamo certi di non appartenere.
Due, invece, sono stati i motivi che ci hanno spinto su questa strada: il primo è un motivo "indotto", sollecitato cioè dalle vostre pressioni.
"Ateneo Palermitano" utilizzato come una sorta di cassa di risonanza per tutti i casi di malauniversità? Come strumento di denuncia
per contribuire a rendere pubblica ogni singola voce "privata"? E perché no?, ci siamo detti, in fondo la "strumentalizzazione" che
ne sarebbe derivata avrebbe avuto a suo sostegno
una causa giusta... (Ancora più incomprensibile per noi - alla luce di questa consapevolezza - e meritevole di psicanalisi quello che è successo dopo:
la quasi totale indifferenza
nei confronti degli strumenti - i due blog - che abbiamo messo a disposizione di tutti coloro che ci avevano sollecitato a cominciare
la battaglia, e anche di tutti gli altri).
L'altro motivo è quello determinante, che non solo ci ha convinti a cominciare, ma che ci stimola a continuare, nonostante l'incomprensibile silenzio
di chi invece avrebbe tutto l'interesse di gridare. Ed è un motivo di "merito", come si dice.
Perché non è possibile restare indifferenti davanti allo sfacelo in cui un sistema malato, fatto di brogli, plagi (su cui recentemente
abbiamo puntato l'attenzione), interessi privati in fatti e atti pubblici, collusioni e comportamenti di tipo mafioso, sta facendo precipitare
l'Istituzione Universitaria Italiana, scritta con le iniziali in maiuscolo come avrebbe tutto il diritto di meritare.
La "cattiva strada" così ben cantata da De Andrè, che la cultura accademica nazionale (quella attuale, con iniziale minuscola) sta percorrendo
tutta, tra la complicità delle Istituzioni
e l'indifferenza (la soggiogazione? la sudditanza psicologica? la rassegnazione frustrante? la pigrizia colpevole?) persino delle stesse vittime,
speriamo non sia troppo lunga: il prezzo da pagare sarebbe davvero alto, in questo caso.
E tutto questo spiega perché oggi noi parliamo di malauniversità.
A questo proposito, anzi, ringraziamo (davvero, non stiamo ironizzando) tutti coloro che a gennaio ci hanno fornito l'occasione di cominciare
questa battaglia.
Perché dietro un interesse mirato tra tanti stimoli intellettuali - e spesso degni di frecciatine polemiche - che ci circondano quotidianamente
c'è sempre "un'occasione", ovvero un fatto, un particolare, o una prassi consolidata (come quella stigmatizzata da "Ateneopulito"), che cattura
più di altro la nostra attenzione e che ci fa "scegliere". Scegliere di lottare, nel nostro caso.
O di raccontare pubblicamente, come nel caso di "Ateneopulito", di cui vi spieghiamo meglio sul prossimo articolo.
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