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Da più parti mi sono pervenute richieste di informazioni sulla vicenda che mio malgrado mi ha coinvolta alcuni mesi
fa e per la quale - nonostante l'assoluta e documentata testimonianza di innocenza - ho subìto da parte dell'Università di Palermo la condanna a
due giorni di sospensione dal servizio e dallo stipendio.
Ritengo assolutamente superfluo anche solo riassumere brevemente il fatto, visto che ampiamente
è stato affrontato e dibattuto, e non soltanto su questo giornale.
Considero legittimo, invece, l'interesse mostrato da chi, psicologicamente coinvolto in questo clamoroso caso
di malauniversità palermitana e solidale nei miei confronti, a distanza di sette
mesi da quando ha avuto inizio, ritiene interessante conoscere il prosieguo della storia.
Perciò, un doveroso aggiornamento.
Premesso che la condanna apparentemente lieve, sicuramente molto più del licenziamento programmato e mai effettuato
dall'Ateneo, in realtà ha già portato con sé quelle conseguenze immaginabili in materia di procedure selettive per la progressione
economica da cui naturalmente
sono rimasta fuori, "essendo incorsa nell’ultimo biennio - così recita la clausola di esclusione da questo tipo di riconoscimenti -
in sanzioni disciplinari più gravi del rimprovero scritto", come ricorderete, l'ultima mossa era stata la mia, con
il rituale (perché passaggio obbligato imposto dalla legge), del tutto inutile e decisamente
antieconomico "tentativo di conciliazione" presso l'Ufficio del Lavoro di Palermo.
L'Amministrazione non ha inteso rispondere, lasciando scadere i termini, e questo comportamento se in certi casi - non in quelli di
questo tipo, però - potrebbe dare la stura al "silenzio-assenso", in questo, a mio avviso -
non volendo entrare nel merito del tipo di comportamento dei singoli preposti al servizio (che probabilmente qualcuno
- non io - ritiene possa differire a seconda che si tratti di comportamento pubblico o privato) - è solo indice di
una davvero dubbia qualità di gestione dell'ufficio.
Ma mettiamo da parte per una volta la polemica (che certe teste di rapa però strappano... di penna) e torniamo alla cronaca.
La mancata risposta, in questo caso, significa che l'Ateneo non intende conciliare (condivido e ringrazio).
E poiché, appunto, sono scaduti i termini del volemose bene e chi s'è visto s'è visto, il mio avvocato ha proceduto al passo
successivo: il ricorso alla Sezione Lavoro del Tribunale Civile di Palermo.
Perciò vi lascio alla lettura
dell'ultima produzione
dell'avvocato Francesco Tinaglia - che approfitto di
questa occasione per ringraziare pubblicamente - e vi rimando alla prossima puntata...
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