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So di urtare qualche suscettibilità nel pubblicare su questo giornale l'intervista che Raffaele Cutolo
(il camorrista, il boss
dei boss, il Professore, "Sua Eccellenza") ha rilasciato il 24 febbraio 2006 a Paolo Berizzi, di
Repubblica.it.
Lo faccio per dimostrare anche a voi, dopo averlo scoperto io, che qualche volta la coerenza, quella che
è mancata in questi mesi nel caso che mi ha riguardata e che ciascuno si aspetterebbe di trovare in ogni rappresentante
istituzionale, si può a sorpresa incontrarla invece in chi, pur in aperto contrasto con lo Stato e con le sue Istituzioni,
ha il coraggio e la dignità di non rinnegare se stesso né le proprie azioni.
"Per me riabilitarsi significa essere coerente con me stesso, pagare gli errori con dignità. La dignità è più forte
della libertà, non si baratta con nessun privilegio".
Così dice Cutolo e questa per me, al di là della provenienza,
è una grande lezione di vita: una lezione che tanti accademici in cattedra non sapranno mai fare.
I miei lettori, parafrasando l'ultimo gioiello di Magris, dunque capiranno.
f. p.
- Cutolo, come sta?
- Come un uomo che si prepara a morire in carcere. In pratica vivo dietro le
sbarre dal 27 febbraio 1963. Nell'82 Pertini
mi spedì nel carcere dell'Asinara, dove trascorsi i giorni più duri della
mia vita. Da allora sono totalmente isolato e
segregato. Mi hanno applicato il 41 bis quattordici anni fa, appena
introdotto. Ma il carcere duro io lo facevo già da dieci
anni. Non voglio farmi compatire, né altro. Ho 64 anni. Quasi tutta la mia
vita l'ho passata in galera. Pago e continuerò
a pagare gli errori che ho fatto, il mio passato scellerato. Però senza mai
perdere la dignità. So che mi faranno morire in
carcere. E a una fine così, preferisco la pena di morte.
- Perché non si è mai pentito?
- Mi sono pentito davanti a Dio, ma non davanti agli uomini. Secondo lei è
morale fare arrestare cinquecento persone
innocenti o colpevoli per andare a letto con la moglie o l'amante, pagati e
protetti dallo Stato? Per me riabilitarsi
significa essere coerente con me stesso, pagare gli errori con dignità. La
dignità è più forte della libertà, non si
baratta con nessun privilegio. È da anni che i magistrati provano a
convincermi. Nel '94 il procuratore Francesco Greco,
per il quale ho molto rispetto, mi disse: starai in una villa con tua
moglie. Avremmo potuto avere un figlio. Rifiutai.
E sono orgoglioso di aver sempre resistito alla tentazione. Penso che la
legge sui pentiti sia un'offesa alla gente onesta
e alle famiglie delle vittime.
- Ci parli di quel figlio che tanto desidera e per il quale le è stata
concessa l'inseminazione artificiale.
- Prima di sposare mia moglie la avvertii: pensaci bene, perché con me è
come se fossi vedova a vita. Ci siamo dati un solo
bacio in 23 anni e lei è ancora lì che mi aspetta. Vive nella speranza che
un giorno, chissà quando, uscirò da qui.
Vorrei tanto regalarle un figlio. Ma purtroppo le gravidanze, fino ad ora,
non sono andate a buon fine. Ci abbiamo provato
due volte. Non ci arrendiamo.
- Come vive in carcere?
- Ogni mattina quando mi sveglio faccio il segno della croce e accompagno il
funerale del mio cadavere. Passo il tempo
pregando, leggendo, scrivendo. Soprattutto poesie, la mia passione. Ho dei
problemi agli occhi e alle mani. Il carcere
toglie la dignità e a lungo uccide anche l'intelligenza. Le misure previste
dal 41 bis prevedono ispezioni corporali per i
colloqui. Ti passa la voglia di ricevere anche tua moglie o gli avvocati".
- Lei dice di essersi pentito davanti a Dio, di aver definitivamente chiuso
con il suo passato. Il vescovo di Caserta,
Raffaele Nogaro, parla di una "chiara e profonda conversione". Che cosa
significa?
- Quando mi sono sposato l'ho giurato sull'altare di Dio: basta con la mia
vita passata. Io non rinnego niente di quello
che ho fatto. Sono coerente con me stesso. Ho fatto del male, ho seminato
odio, violenza, morte. E quindi devo sopportare
tutto. Ma da molti anni ho chiuso con la camorra. Nel mio animo non ci sono
sentimenti di vendetta e di odio. Ho perso un
figlio (Roberto, ucciso in un agguato ad Abbiate Guazzone nel 1990, ndr),
mio suocero, mio cognato, e tanta altra gente cui
volevo bene. La camorra è stata una mia scelta, un ideale di vita. Ma è un
progetto che è fallito. E per il quale sto ancora
pagando. Nonostante sia stato io a salvare la vita a un uomo dello Stato,
l'assessore regionale democristiano Ciro Cirillo
(sequestrato dalle Brigate Rosse a Torre del Greco il 27 aprile del 1981, e
poi liberato - secondo l'ordinanza dei
giudici - "alla fine di una lunga e serrata trattativa tra apparati dello
Stato e il boss Raffaele Cutolo a cui è stato
chiesto di intervenire presso le Br per ottenere la liberazione immediata di
Cirillo", ndr).
- Dunque mi vuol far credere che Cirillo ebbe salva la vita grazie al suo
intervento?
- Sì. Mentre era in corso il sequestro vennero da me, in carcere ad Ascoli
Piceno, un sacco di persone: politici, agenti
dei servizi segreti, mediatori. Un influente politico della Dc mi disse che
dovevo intervenire con ogni mezzo per salvare
la vita dell'assessore. Che in cambio avrei ottenuto il controllo di tutti
gli appalti della Campania. Cirillo fu liberato.
- Quel periodo coincide con la massima consacrazione del suo potere. Lo
Stato scese a patti con la Nuova camorra organizzata.
Dicono che lei ricevette in cambio un sacco di soldi e di favori.
- I soldi in carcere li usavo per comprare da mangiare e da vestire ai
detenuti. Anche ad Alì Agca, l'attentatore del Papa.
Ma il caso Cirillo, chissà perché segnò definitivamente il mio destino. Per
ringraziamento mi hanno mandato "in ritiro
spirituale".
- Che rapporti ha avuto coi politici? E che cosa pensa della politica?
- Ne ho conosciuti molti. Con qualcuno sono sceso a patti. I politici non
sono molto diversi dai camorristi. Pensano al
potere, al consenso, all'arricchimento. Ma dei bisogni della gente se ne
fottono.
- Ha mai votato?
- Mai. Né prima del carcere né dopo.
- La camorra oggi che cos'è?
- Non si può più chiamare camorra. Sono cani sciolti, mezze tacche. Non
hanno rispetto di niente e di nessuno. Ammazzano
anche le donne e i bambini. E così non fanno altro che il gioco del potere.
- Su di lei è stato fatto un film ("Il camorrista" di Giuseppe Tornatore) e
sono stati scritti libri (uno su tutti: "Un'altra
vita" di Francesco De Rosa). Per molti guappi della camorra lei è ancora un
modello, un'icona. Certi ragazzini a Napoli
scaricano sul cellulare le suonerie del film che ha per protagonista
Raffaele Cutolo. A questi giovani vuole dire qualcosa?
- Studiate, lavorate. Dimostrate che siete capaci di diventare ottimi
manager. Credetemi, il crimine non paga.
- Cutolo, deve chiedere perdono a qualcuno?
- Il perdono si chiede espiando la pena, e basta. |
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