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C'è un dibattito sui temi del rinnovamento universitario particolarmente agguerrito, che vede
schierate due opposte ragioni: quelle del sì ad oltranza e quelle del no radicale.
L'argomento ruota intorno all'abolizione del valore legale della laurea, auspicabile, per
chi è schierato a favore del sì, assolutamente da evitare per chi appoggia invece le ragioni del no.
Ce ne occupiamo, partendo dall'intervista che il professore Quirino Paris ci ha rilasciato
in occasione del processo romano.
Il professore Paris si è dichiarato a favore dell'abolizione (del valore legale della laurea, non della laurea,
come qualcuno erroneamente interpreta!): ci
saremmo meravigliati del contrario se un docente accademico che ha fatto del rinnovamento
dell'Università italiana una battaglia - con risvolti anche personali -
da vincere ad ogni costo, si fosse espresso a sfavore.
Paris, infatti, da quasi quarant'anni vive e lavora in quegli Stati Uniti liberali e "trasparenti" dove l'eccellenza si
conquista ed è certificata sul campo e dove in nessuno Stato federale si è mai avvertita la necessità "politica"
di un Ministero per la gestione dell'Università (e dunque della cultura).
Molti in Italia la pensano come lui, convinti che solo la competizione tra gli Atenei possa fare da
volano alla crescita e allo sviluppo reale; le ragioni del no, tuttavia, non sono meno condivisibili:
non contestano, infatti, in linea di principio la motivazione di base, quella della ricerca della qualità attraverso
lo stimolo fortemente
incentivante del confronto - che con l'abolizione del valore legale della laurea diventerebbe l'unico elemento
discriminante in grado di giocare a favore o contro una scelta universitaria piuttosto che un'altra -
ma avanzano alcune perplessità sull'applicazione,
sulla bontà dell'adattamento, cioè, dell'esperienza americana a una realtà profondamente diversa, com'è la realtà italiana,
in cui persino il concetto di meritocrazia viene ancora messo in discussione.
Chi dice sì all'abolizione (come i movimenti per la scuola libera) lascia ai corsi universitari il compito e la
responsabilità della formazione
e all'esame di Stato il compito - e la responsabilità - della certificazione, propedeutica all'ingresso
negli Albi professionali. Senza intermediazioni "politiche" e con lo sguardo costantemente rivolto al
mercato, a cui dover assicurare la massima professionalità possibile, quell'"eccellenza", cioè, di tipo americano,
che mal si adatta alla politica dell'assistenzialismo e alla mentalità clientelare purtroppo ancora diffusa in ogni settore
della vita produttiva italiana.
Chi dice no all'abolizione (l'Associazione Nazionale Docenti Universitari, per esempio, ma anche l'Associazione
Dottorandi e Dottori di Ricerca Italiani), ritiene il mantenimento del valore legale indispensabile alla
certificazione della qualità, specie in comparti particolari come quello della sanità.
Non riteniamo in questa sede di dover approfondire ulteriormente le due posizioni: preferiamo lasciare
la parola a tutti coloro che, dell'uno e dell'altro schieramento, vorranno intervenire direttamente in difesa delle
proprie ragioni.
Noi, come sempre, rispettando i nostri principi, non ci schieriamo.
Una cosa però ci sembra utile sottolineare.
Strumentalizzare le ragioni di chi è a favore facendo derivare automaticamente dall'eliminazione
del valore legale
della laurea l'abolizione degli Albi professionali (prova della reciproca indipendenza è
l'Albo dei Giornalisti, cui ancora oggi si accede non per laurea, ma per professionalità acquisita sul campo e
certificata dall'Ordine
nel caso dei pubblicisti, con esame di stato finale nel caso dei professionisti), oltre a essere un'operazione insulsa,
perché non
in linea con le argomentazioni dello schieramento - caso mai con un disegno più ampio (e forzato) che non trova uniformità
di giudizio
all'interno dello stesso schieramento - è anche una scelta opinabile che non giova certamente alla causa
della chiarezza e dell'onestà intellettuale da più parti, nonostante tutto, auspicata. |
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