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Caro Professore Bacarella,
ci siamo conosciuti al volo, in un'aula di Tribunale - nulla tra Lei e me, lo spieghi Lei ai lettori - ed
è stato un piacere, almeno per me.
Come ha visto, non mordo. Scrivo, questo sì, ma ognuno ha le disgrazie che ha, a me è capitata questa.
Certo mi ha delusa un po' quando anche Lei, dopo il Professore Prestamburgo, ha rifiutato di farsi intervistare,
quel giorno a Roma,
al processo a Quirino Paris, il docente italo-americano che Lei, insieme ad altri Esimi, ha accusato di diffamazione.
(Italo-americano: si dice così di un italiano che è dovuto scappare in America per, diciamo così,
incompatibilità ambientale col Suo mondo accademico?... no, non anche mio, per carità, io so stare al mio posto, quello di T.A., personale universitario di seconda scelta - come il vitellone in macelleria - che col Suo Mondo Accademico,
quello d.o.c. della docenza, poco ha a
che fare).
Che scena, quel giorno. Lei che cercava di sottrarsi all'insidia del mio registratore, io che le correvo dietro, ma solo
letteralmente, lungo il corridoio. Fortuna che non c'era la televisione (e si capisce, quelli per ora hanno i loro
santini a cui pensare).
"Nessuna dichiarazione, per favore, non ho niente da dire, se proprio
vuol parlare, parli col mio avvocato"... In che senso, Professore? devo fare a lui le domande che ho preparato per lei?
Ok , ci provo. "Avvocato Lanzarone, perché ha denunciato il professore Paris?" Ma no, Professore, vede che così sbaglierei?
("Dottoressa, sa, il mio cliente... al momento...cerchi di capire... per non appesantire il clima...").
Insomma, niente intervista. Quasi un viaggio a vuoto, per me, che a un rendez-vous con Lei ci tenevo così tanto.
Però questo glielo voglio dire. Non per
recriminare né per rinfacciare, per carità, ognuno ha le paturnie che ha (come le disgrazie): Lei ha quella
di non amare la stampa, che ci posso fare?, ma è giusto che lo sappia:
mica è facile per me spostarmi da un punto all'altro dell'Italia con gli stipendi
di fame che a noi, poveri non docenti, ci passa lo Stato! Questo se lo ricordi, la prossima volta.
"Nessuna dichiarazione, per favore, non ho niente da dire,
se proprio vuol parlare, parli col mio avvocato"... non me lo dica ancora, Professore, perché io
quel giorno ci sono rimasta come una sposa sola ai piedi dell'altare.
No, da Lei proprio non me l'aspettavo, magari dagli altri, ma da Lei no.
Lei è palermitano, Professore, Profondo Sud, Sicilia, Africa del nord. Quasi come me, che sono catanese
(va bene, con rispetto parlando, ma quando la finirete con 'ste manie di superiorità? qui oramai siamo tutti
extra. Comunitari); Lei un piccolo vantaggino me l'avrebbe dovuto concedere. Che so, una segnalazioncina estemporanea
in terra romana,
che c'è di male? giusto per sentirci un poco come a casa. Avrebbe potuto dire, per esempio, al Collega Prestamburgo
(Suo, non mio, ci mancherebbe altro),
di non chiudersi a riccio in quel no comment che mi ha disturbato la digestione per tutto la giornata.
No, non via cellulare,
per carità, quelli in certi casi è meglio tenerli spenti, e nemmeno coi santini, ché gli americani coi santini ci
marciano manco fosse lo sbarco in Normandia.
A voce, sì, magari con un fischio. Ehi, la vogliamo accontentare questa
povera derelitta
che ha fatto tanta strada per parlarci?
Già, Professore, era questo che mi sarei aspettato da Lei: non dico
riconoscenza, non mi permetterei, ma un piccolo segnale di amicizia, perché no? In fondo io sono quella che l'ha lanciata
nel gossip internazionale che se ci chiamano al Grande Fratello, magari quello americano, sarebbe da andarci di gran corsa,
Lei che ne dice? allora sì che cavalcheremmo l'onda della celebrità, altro che sudare su libri e pubblicazioni come fa Lei
o spremersi le meningi per scrivere un giornalucolo di periferia come faccio io!
Che vuole farci, Professore! Questi sono tempi duri, mica quelli a cui siamo stati abituati noi.
Qui oramai si va avanti a colpi di
scandali, veri, falsi, risciacquati, candeggiati, che importanza ha? L'importante che siano scandali, gossip,
pettegulez, come dicono alla televisione. E' così che si diventa famosi.
Qui oramai il metro di
giudizio non è il voto di laurea - figurarsi, quello ormai lo vogliono abolire - ma una domanda a
bruciapelo: ce l'abbiamo o no
il telefono intercettato? E se rispondiamo di no è finita.
Chi ci considera, a noi, poveri tapinelli di periferia,
se non abbiamo nemmeno un misero cellulare sotto controllo?
Be', io veramente, glielo confesso... lo sa come sono io, glielo avranno detto all'Università... la mia richiesta
scritta di intercettamento telefonico l'ho già bell'e avanzata, alla telecòm, ma loro mi hanno risposto che ci vuole un giudice,
per questo, e non c'è niente da fare.
Lei che dice, Professore, deve essere un giudice di pace? Io penso di
sì, tanto ormai in Italia sono loro che fanno sempre tutto.
Chissà se lo otterrò alla fine, il mio bel cellularino intercettato.
Nell'attesa dovrei procurarmi qualche argomento di
conversazione degno di intercettamento però; Lei che dice? Una bella lite con la mia vicina, potrebbe andare bene?
C'ha il brutto vizio di allagarmi il balcone, quando innaffia, quella lì! Appena il giudice deciderà
di intercettarmi gliela farò pagare, eccome se gliela farò pagare! E che mi frega se se la lega al dito e
nell'ascensore poi non mi saluta più? Benì diceva... sa Benì, l'amico di quel tizio coi baffetti,
ma no, non il ministro Mussi, quello che gli assomiglia... Ecco, appunto,
Benì diceva sempre: tanti nemici, tanto onore.
Be', se è così, non so Lei, ma io sono a cavallo. Con tutti i nemici che mi ritrovo dalle parti nostre -
piazza Marina-viale delle Scienze, tanto per intenderci - io la celebrità ce l'ho assicurata. E anche l'onore.
E a quel punto, ne sono certa, Lei non si rifiuterà per la seconda volta di parlarmi, in fondo l'intervista
a fine processo me l'ha promessa, no?
Perciò, a presto, Professore, e non disperi: vedrò se un santino alla telecòm posso mandarglielo io, per
il suo cell.
Con simpatia, amicizia e stima (almeno da parte mia)
Francesca Patanè |
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