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Dovrei aprire con la battuta della montagna e del topolino, ma ve la risparmio: è troppo banale.
Con lettera del 10 maggio 2006 (per la cronaca, il giorno successivo
alla messa in linea del numero di aprile di "Ateneo Palermitano", quello "interlocutorio" dell'intervallo con le pecorelle),
l'Università di Palermo ha deciso.
Non più licenziamento in tronco, come aveva anticipato sulla lettera di contestazione addebiti dell'8 marzo,
ma, bum bum bum, due giorni di sospensione dal servizio e dallo stipendio.
Ringrazio e ossequio.
A chi volesse approfondire, lo chef consiglia il menu del giorno by Ateneo:
piatto forte
il verbale (file zip peso 1,4 Mb) redatto, me contumace,
all'audizione del 19 aprile, preceduto da un antipastino niente male, l'inutile
(e obbligatorio per legge) tentativo di conciliazione
fresco di
giornata, produzione (quasi) della casa, preludio al dolce: l'atto di impugnazione,
che vi servirò, al momento giusto, accompagnato, considerate le mie origini,
da un buon amaro dell'Etna (per qualcuno, molto amaro...).
Qui è il caso di fare le ennesime osservazioni, protagonista questo verbale, naturalmente, apoteosi dell'assurdità,
ultima spiaggia
del burocratese più sciatto vestito con l'abito buono, quello della festa.
L'abito c'è, infatti: un arcobaleno, ma
in bianco e nero, di paroloni difficili (che si siano trangugiati - mi spiace, ma se è una
sfida la vinco io - il Devoto-Oli a memoria?) e di espressioni d'epoca
come "chiara contezza", "invero", "nel senso sopra esplicitato",
"ciò posto", "nocumento", "con la pubblicazione dell'articolo di che trattasi",
"ravvedimento operoso" (come la formichina), "mera verifica", "mero chiarimento", "mera esternazione"
(mero deve essere l'aggettivo che apre tutte le porte), "non era stato percepito pienamente" (ahi, ahi, qua
ci sarebbe stato meglio "recepito").
Alla faccia dell'eleganza, smettiamola di fare le pulci: l'abito c'è, eccome se c'è.
Però è mancata la festa. Quella che volevano farmi e che "lo stupore per la vasta eco che la vicenda in
questione ha assunto presso gli organi di informazione" (sic) gli ha impedito, trasformando in smorfie di
dolore quei sorrisetti canzonatori appena abbozzati del giorno della prima audizione.
Capita, quando si fanno i conti senza l'oste. E l'oste, Signori della Corte, statene certi, accorre quando quattro
avventori in preda all'euforia provano a scardinare il suo locale. Basta un fischio del più misero rompibal di periferia e accorre.
Perché quella piccola italica osteria sarà un po'
sgangherata, magari, ma è stata messa su a colpi di libertà, democrazia e principi costituzionali e guai a toccarla,
non so se mi spiego.
Premesso ciò, se devo essere sincera, di spremermi le meningi per ripulire gli specchi dalle impronte lasciate da chi ha inutilmente tentato di arrampicarvici sopra proprio non mi va.
Sarò spompata, chissà: dopo tre mesi di stress da paranoia indotta
ne avrei pure sacrosanto diritto.
D'altra parte, credetemi, mi sento persino ridicola a controbattere affermazioni come quelle che ho letto
(e che vi ho messo a disposizione perché ne ho facoltà, come si dice in gergo politico-istituzionale),
che scaricano per
esempio sugli organi di stampa improvvisamente rincretiniti
la responsabilità di una cattiva informazione perché non hanno capito un fico secco dell'accademico-pensiero
manifestato sulla lettera di contestazione addebiti ("... senza chiara contezza dell'esatto oggetto del presente
procedimento e, peraltro, fornendo addirittura delle anticipazioni circa l'esito del medesimo, del tutto
destituite di fondamento").
Chi glielo dice, a Caporale, che tutto quello che ha
scritto su Repubblica.it erano solo "mere" c...?
Chi lo dice, a voi che state leggendo, che siete tutti deficienti,
come la sottoscritta, naturalmente, la più deficiente di tutti, che invero non ha ben percepito il nocumento e senza
chiara contezza della realtà né ravvedimento operoso ha messo in giro tutte quelle esternazioni nel senso
sopra esplicitato?
Ma già, che deficiente (appunto!): voi non avete bisogno che qualcuno ve lo dica, lo state già leggendo.
E' inutile, non funziono più.
Il mio cervello ha cominciato a fumare all'inizio della pagina due.
Ho letto e riletto. E mi dicevo: ma se "l'immutabilità
della contestazione preclude al datore di lavoro di far valere a sostegno delle sue determinazioni disciplinari
circostanze nuove rispetto a quelle contestate ecc. ecc." e cioè
in parole povere, gli vieta (io ho ingoiato il più plebeo Melzi, ma lo so che significa "precludere") di cambiare
in corsa i capi d'imputazione, come mai l'Ateneo cita una sentenza con la quale si dà la zappa sui piedi?
Al terzo tentativo (ve lo dicevo che sono stressata) ho finalmente capito. Perché il trucco c'è, anche se
non immediatamente visibile, che trucco sarebbe, altrimenti? E sta tutto in quelle due paroline,
buttate lì quasi per caso: circostanze nuove. "Nessuna circostanza nuova... è stata da ultimo contestata", dice infatti
più in là il paraverbalenoico.
Ora, siccome io mi sono stufata di dire ancora una volta che non è così
(basta dare un'occhiata ai documenti, d'altra parte, è tutto in linea),
voglio per un momento e per assurdo ipotizzare che la contestazione sin
dall’inizio fosse stata veramente riferita a eventuali concorsi pilotati nel
settore tecnico amministrativo. (Ma perché, piuttosto che riconvocarmi, il
chiarimento non mi è stato dato in sede di prima audizione, quando invece mi
è stato risposto che non "avevo diritto di fare domande alla Commissione"?
No, non cercatelo sullo scorso verbale
questo passaggio: non c'è).
Ora, ammettendo che sia veramente così, perché il contenuto del mio articolo sarebbe “apparso offensivo
nei confronti dei docenti menzionati”?
A parte i parenti e gli amici candidati, che cos’hanno in comune i docenti
con i concorsi per il personale tecnico-amministrativo?
E nella fattispecie, che
cos'hanno in comune le rose (voce del verbo rodere) budella del Tudisca e del Bacarella (che bella rima),
i due docenti indagati e "menzionati", appunto,
con eventuali concorsi pilotati per
personale tecnico amministrativo dell'Ateneo su cui la Magistratura palermitana, come già quella di Trieste
a Trieste, per esempio, potrebbe decidere di ficcare il naso per sentire che odore fanno?
Niente, naturalmente (abbiamo
mai detto qualcosa di diverso?), e allora? Vedete che il conto anche così non torna?
Ma torniamo al paraverbalenoico.
Ero all'Ufficio postale quando l'ho letto, perché stavolta, visto il peso del contenuto, era chiuso in una bustona
impossibile da infilare, in assenza di portiere, dentro una buca da lettere di normale
(e fortunatamente non Pubblica) amministrazione. (Pensate che tutti quei paroloni potevano essere racchiusi in una
bustarella? ehm ehm, diciamo bustetta
per evitare equivoci, anzi no, bustetta fa rima con Buscetta, meglio bustina che al massimo fa rima con cretina...
'nnaggia però, c'è pure Riina...).
A un certo punto è scoppiata. No, non la busta, la risata. E tutti hanno cominciato a guardarmi storto, chissà perché.
Uno deve per forza disperarsi quando legge la posta? Capisco che con tutti gli avvisi di pagamento che di norma costituiscono
l'80% della corrispondenza dell'italiano medio c'è solo da piangere, ma non capita tutti i giorni un'evenienza come
quella che è capitata a me, permettete che me la goda tutta?
Avreste riso anche voi a leggere quel passaggio.
Anzi, visto che ce l'avete davanti, ve lo segnalo: " Invero, nel corso dell'audizione bla bla bla non era stato percepito
(recepito, n.d.r.) pienamente l'esatto contenuto della contestazione. Neanche nella memoria difensiva prodotta in sede di audizione
infatti la dott.ssa Patanè aveva fatto menzione della parte dell'articolo oggetto del successivo chiarimento. Faceva
piuttosto riferimento alla parte dell'articolo relativa ai due docenti indagati bla bla bla. La dipendente
invece non si interrogava sulla correttezza dei riferimenti compiuti in ordine a non meglio precisati
'concorsi pilotati' in questo Ateneo".
State ridendo? Fate bene. Perché, a parte che "in questo Ateneo" lo scrive ... l'Ateneo e non l'ho scritto io (mia
nonna invece, quando voleva stupirmi, mi diceva sempre "excusatio non petita..." e non la
finiva mai però, la
frase, forse si ricordava solo quel pezzo, povera, e perciò io non ho mai saputo che viene dopo... Lo so che quest'esempio
non c'entra niente, ma chissà perché mi è tornato alla mente), a parte questo, "invero",
sapete che avrei fatto se la mia memoria difensiva avesse solo minimamente accennato a quell'accusa?
Avrei licenziato il mio avvocato in tronco (a licenziare in tronco ci vuole coraggio
e io ce l'ho)
per "mera" inettitudine professionale, poi avrei chiesto un ricovero urgente alla neuro per la sua suggeritrice (io),
per "mera" follia (mera, mera, mera... trallallerullerullà!).
Perché, vi pare possibile che l'accusa dica una cosa e la difesa dell'accusata ne dica un'altra?
Poteva mai
discettare la mia arringa di concorsi pilotati quando ero stata chiamata in giudizio per l'offesa
dei due docenti e una presunta diffamazione dell'Ateneo?
Poteva, insomma, "la dipendente", interrogarsi su di un capo d'accusa che
non esisteva ancora? (conservatevi una risata per dopo, ce ne sarà
ancora bisogno).
Certo deve avere un gusto speciale arrampicarsi sugli specchi, forse è il massimo per dimostrare la propria onnipotenza,
ma insistere su argomentazioni che non stanno né in cielo né in terra per provare ad avere ragione è da...
non so trovare un sostantivo giusto, ve l'ho detto che sono spompata, mettetecelo voi.
L'ultima chicca? Il codice di condotta, che vieta al dipendente pubblico comportamenti
che possono nuocere agli interessi e all'immagine della sua Amministrazione.
E ridaiiiie.
Dice più in là il paraverbalenoico che col mio comportamento ho arrecato "nocumento" all'immagine dell'Ateneo.
Ma perché? io ancora mi chiedo (loro non lo specificano).
Perché ho scritto - e scusate se mi ripeto - che due suoi docenti sono indagati?
Oppure
perché ho chiesto a tutte le Magistrature d'Italia (solo a quella palermitana, secondo l'Ateneo) di fare chiarezza
su eventuali concorsi pilotati pure nell'ambito della non docenza? (E l'altra accusa, quella dell'incompatibilità
dello "status" di dipendente con lo "status" di giornalista? E' stata persa per strada?).
Poco importa: nell'uno o nell'altro caso il "nocumento", come lo chiamano loro, sarebbe, caso mai, esattamente l'opposto.
Qualcuno mi risponda, per piacere. E mi spieghi pure, visto che c'è, chi sono i dipendenti pubblici e dove devono stare.
Sul comò, come le tre scimmiette? E' questo che sta scritto sul paraverbalenoico?
Perché se è così, come
disse qualcuno ben più importante prima di me: io non ci sto.
E' meglio parlare chiaro ora e subito. Quel "ravvedimento operoso" sotto sotto sollecitato dai Magnifici e Chiarissimi
Accademici in sesta pagina non ci sarà.
Perché, se anche - sempre per assurdo - volessi ravvedermi, che dovrei dire,
consentitemi?
Che non è vero che i due stimatissimi Prof della Facoltà di Agraria, preside l'uno (Tudisca) e ex preside l'altro
(Bacarella) sono indagati? (eccome se lo sono, anzi - visto che ci siamo - lo confermo, perché
intanto che noi
stiamo qui a discettare sul sesso degli angeli, le Procure mica si fermano).
Oppure dovrei precisare che la Magistratura, che nell'ultima parte dell'articolo ho chiamato in causa, non è quella
palermitana?
Insomma, voi
volete, Signori della Corte, la mia immediata espulsione dall'Ordine dei Giornalisti per "mera" idiozia
professionale!
Come potrei "ravvedermi" di avere scritto cose che non ho scritto?
E poi, perché dovrei escludere
tra tutte le Magistrature d'Italia proprio quella palermitana? Perché a Palermo c'è l'Ateneo dove lavoro e perciò per carità,
lasciatemi fare il pubblico dipendente in pace e smammate a indagare da un'altra parte perché qui è tutto
meramente chiaro e non è il caso?
E quell'altra storia dell'attività commerciale (l'ultima in ordine di tempo è relativa a consulenze di tipo
biblioteconomico): può, non può, guadagna, non guadagna, sì vabbè che col
procedimento non c'entra niente, ma intanto noi la nostra bella insinuazione la facciamo, magari c'azzechiamo,
hai visto mai?
Ahooo! ma allora voi volete che mi girino di trecentosessanta gradi!!!
Capisco che, quando nelle Pubbliche Amministrazioni
si parla di consulenze, a certi funzionari e dirigenti brillino gli occhi,
ma per quanto mi riguarda, Cari Signori, a parte il fatto che la legge ha regolamentato
le attività parallele del dipendente pubblico, che dunque non sono vietate, vi risulta da qualche parte
che io ho fatto o faccio consulenze a titolo oneroso? No? E allora quello che dite è destituito di ogni
fondamento. Punto.
A margine, la pagina web di cui con tanta solerzia avete riportato sul verbale l'indirizzo (grazie per la pubblicità
gradita ma non richiesta) ha in bella vista la copertina del libro di biblioteconomia
- nota introduttiva di Antonino Buttitta, allora preside della Facoltà di Lettere -
scritto per spiegare agli studenti universitari palermitani le biblioteche
del loro Ateneo, e presentato, bontà loro,
nella gremitissima Sala delle Capriate dello Steri - sede del Rettorato dell'Università e dell'Aula Inquisitoria
che mi ha vista recentemente al banco degli imputati - dallo stesso professore Buttitta e dal rettore dell’epoca,
Ignazio Melisenda Giambertoni: ma voi questo non potevate saperlo, chissà dov'eravate, allora.
Poco sopra ho raccomandato a chi legge (esclusa la Suprema Corte Accademica, naturalmente, oppure inclusa, chissà: è segno
di grande intelligenza saper ridere di se stessi) di conservare l'ultima risata per dopo.
Bene, è arrivato il momento.
L'argomento ruota intorno a quell'anticipato giudizio che, per la serie scripta manent, nessun miracolo
e nessuna prestidigitazione potranno mai cancellare da quella lettera di contestazione addebiti, foriera (vedi
Melzi o Devoto-Oli, è lo stesso) di chissà quanti mal di pancia accademici.
Che dice il paraverbalenoico all'inizio della pagina quinta versetto uno? Che la giurisprudenza non ritiene necessaria l'indicazione
delle norme violate e, "trasponendo tale principio" nel settore del pubblico impiego privatizzato, che qualora
l'Amministrazione voglia indicare già nell'atto di contestazione la
sanzione applicabile, ne ha facoltà.
Ora, a parte il fatto che le due argomentazioni accostate insieme c'entrano come un cavolo a merenda (se dico o non dico
a uno che è un ladro perché la legge mi lascia libera di farlo, non significa che,
se voglio, posso anche dirgli che lo sto impiccando):
premesso che - al di là delle diverse leggi la cui dotta citazione lascio
alla competenza professionale del mio avvocato attraverso l'atto di
impugnazione che, come ho già detto, conclusa la procedura, tanto idiota
quanto antieconomica del tentativo di conciliazione, metterò a disposizione dei masochisti dell'approfondimento - qualsiasi
norma giurisprudenziale
non può contraddire i principi costituzionali alla base del diritto italiano, come quello, per esempio,
sancito dall'art. 27 comma 2) che vuole l'imputato non colpevole fino alla condanna definitiva;
e premesso anche che, per esempio, la legge n. 241/90, quella che regola le norme in materia di procedimento
amministrativo, all'art. 3 impone per ogni provvedimento l'obbligo della motivazione;
la contestazione che ho avanzato con memoria difensiva
numero uno (file zip peso 1,2
Mb), al punto in cui parla di anticipazione di
sanzione, non è relativa - come il paraverbalenoico vorrebbe
far credere - all’ "obbligo" o alla "facoltà" di poterla annunciare e di poterla poi modificare, alleggerendola o
aggravandola a conclusione del procedimento disciplinare, ma alla procedura di anticipazione in se stessa,
comunque non conforme al dettato della legge, che non prevede alcun tipo di anticipazione, né come
obbligo né come facoltà.
Ora, capisco che quando ci si deve arrampicare qualsiasi corda vada bene, ma chi sono, con tutto il rispetto,
'sti "tenori novelli" della dotta citazione di pagina cinque? Mandateli a
cantare da un'altra parte!
E a proposito di novello, è vero che certi
novelli fanno piacere anche nelle ore antimeridiane (io però li preferisco invecchiati e a cena, quando non posso
più fare "pubblici" danni), ma quando ci si inoltra
sul terreno insidioso delle
citazioni, i nomi degli autori, almeno quelli, è d'uopo (Melzi alla pagina 1348) scriverli correttamente: il
"Novello", anzi, la "Novello", si chiama in realtà "Noviello", Giustina Noviello).
Mi chiedo quando finirà davvero questa storia. Che mi ha costretta a
produrre, limitatamente al secondo procedimento disciplinare, ben tre
memorie difensive - la prima (file zip peso 1,2
Mb) per contestare la contestazione iniziale (quella vera),
la seconda per integrare la
precedente e contestare il verbale di avvio che nel frattempo dal cappello
del mago aveva tirato fuori la vecchi storia del primo procedimento
disciplinare ormai abbondantemente "scaduto", e
la terza (file zip peso 670 Kb) per contestare la convocazione-bis necessaria
all'Ateneo a cambiare in corsa, con la scusa dei chiarimenti e dopo la rivoluzione mediatica, i capi d'accusa.
Mi chiedo quando finirà questa storia, cominciata con un licenziamento in tronco e finita con un buffetto
sulla guancia - dai lo sappiamo che non l'hai fatto apposta - e due giorni di punizione tanto per gradire,
perché, nell'esaminare le mie "giustificazioni" (ma io non giustifico, semmai chiarisco e preciso), "l'ufficio non può
non tenere conto … della dichiarata mancanza di ogni intenzione di recare danno a questa
Università…”, salvo però a ricredersi, immediatamente dopo: "...anche se dal tenore dell'articolo, invero, non si evince
che l'intenzione dell'estensore fosse questa...".
E allora, come la mettiamo? E' lecito conoscere l'esatto
convincimento della Commissione disciplinare, considerando che tutte le Commissioni disciplinari che si rispettino
hanno un'idea e una sola e su quella, e solo su quella, basano le loro deduzioni?
Il danno, c’è o non c’è? (io dico che c'è, ma non l'ho fatto io).
E se c’è, è involontario oppure no?
Perché, se davvero c'è, a parte la prudenza
per sacro terrore indotto dalla rivoluzione mediatica di cui sopra, che senso ha
avuto derubricare la pena
già annunciata e dunque ritenuta
sin dall'inizio a tutti gli effetti equa e corretta?
E se invece non c'è, a parte le pressioni indotte (da backstage di periferia) che si può ipotizzare abbiano dato
origine a tutta la storia, che senso ha
avuto impiantare un procedimento disciplinare a un dipendente incolpevole?
Insomma - e concludo - Signori della Corte, sapete che vi dico?
Al di là dei buffetti sulle guance e delle
"specchiate" dissertazioni su cui i vostri dottissimi giuslavoristi si sono arrampicati (almeno glieli pagate,
gli straordinari?), io mi sento licenziata. Moralmente licenziata.
Credetemi, vi conviene. (Ennossignori, non ve le tolgo le castagne dal fuoco dimettendomi, fossi scema
mera mera trallallerullerullà).
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