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Scommetto che al patibolo arriverei prima del boia.
Perché tutto mi si può dire, che farei meglio a non scrivere
(magari, eh?...), che come Pinocchio dico le bugie (ma il mio naso rimane sempre piccolo), che se non ci fossi non
bisognerebbe inventarmi, ma che non sono puntuale questo no:
io di norma spacco il secondo perché è dalla puntualità che comincia il mondo civile.
Steri, sede del Tribunale dell’Inquisizione di Palermo (va bene, ex).
Arriviamo, il mio avvocato e io, il 3 aprile, giorno del processo sommario (chiamiamo le cose con il loro nome), con un quarto d’ora d’anticipo.
Ci lasciano in piedi nel cortile del piano nobile ad aspettare (passi per la reietta, ma
almeno l’avvocato…).
Vabbè, dico, concediamogli il caffè.
Mi ripasso nella testa i motivi per cui sono lì (e ho fatto bene, col senno di poi, visto che dopo li cambiano).
Dunque, offesa di due docenti indagati perché ho scritto che sono indagati, diffamazione dell’Ateneo perché ho
scritto che i due docenti sono indagati e sono dell’Università di Palermo, e incompatibilità di servizio perché se
sono giornalista pubblicista non posso essere dipendente pubblico e se sono dipendente pubblico non posso essere
giornalista pubblicista.
Chiacchiere da spiaggia, insomma, ma senza la spiaggia e senza l’ombrellone (e il sole in Sicilia picchia forte
anche in aprile).
Mezz’ora dopo l’ora fissata siamo ancora lì. Nessuno ci dice niente.
Ammazzo il tempo guardandomi in giro. Oltre la porta (aperta) degli uffici della direzione il dottor Mario Giannone
Codiglione, direttore amministrativo dell’Ateneo e giornalista pubblicista come me (e con l’incompatibilità
come la mettiamo, direttore?), va verso la stanza rettorale, dove si ferma un
quarto d’ora buono prima di ritornare nel suo ufficio (che volete, ho
l'occhio lungo, sono una giornalista).
Poco dopo, la sfilata. I membri della Commissione, uno a uno, entrano nella sala scelta per il processo passandomi
davanti, c’è chi mi guarda rispondendo al saluto, c’è chi tira innanzi puntando il muro davanti a sé.
“Potete entrare”.
Entriamo.
Il sindacalista, in attesa fuori insieme a noi, non mi abbandona. Carino, da parte sua, oggi è molto raro.
“Può?” chiedo alla Commissione già schierata (formalità o no, a me lasciare la gente fuori mi sembra da cafoni).
“Visto che c’è…”. (Che gentili).
Mi siedo, li guardo. E finalmente lo vedo. E’ lui? Certo che è lui. E’ il presidente della Commissione, deve per forza
essere lui. Non riesco a crederci. Il Direttore Amministrativo dell’Ateneo, il Mio Direttore è lì, vicino a me, potrei
persino toccarlo. Che occasione. Sperata, cercata, sognata per tanto tempo. A saperlo che ci voleva un procedimento
disciplinare per incontrarlo ci avrei pensato prima.
Lui, occhiali scuri sul naso per tutto il tempo stile funerale o vacanze ai
Caraibi. Io preferisco non fargli concorrenza
e me li cambio.
Già che ci sono, prendo pure dalla mia Kipling nera con scimmietta appesa (quella che fa i gestacci) pure il registratore:
la legge non lo vieta.
“Posso?”
“Non è un’udienza pubblica”.
Niente registratore ma, please, scrivete sul verbale la norma che me lo vieta.
Aspetto un’introduzione, tanto per gradire. Ma dal fronte direttore arriva solo un assenso.
Avvocato, a lei la parola: i capi d’accusa sono lì, sulla lettera di esequie, pardon, di contestazione addebiti. Qui si
parrà la sua nobilitate.
Ma l’avvocato non comincia, e no che non comincia.
Prima spiegateci, Cari Signori, perché sul verbale allegato agli atti dell’accusa, quello che ha dato il via a questo
procedimento, avete riesumato la vecchia storia della proprietà della testata
che coi capi d’accusa non c’entra niente: tre anni fa – biiiiiiiip, siete fuori tempo massimo oramai – l’avete già crocifissa,
per questo motivo.
Indecisione, aggiustamenti, occhiate agli orologi, ma quand'arriva 'sta
ricreazione?!... Qualcuno tenta una risposta… “Non c’è contraddizione…”
(e chi ha parlato di contraddizioni?) … “Erano solo considerazioni”… “Comunque ci riserviamo”.
Prendiamo atto: si riservano.
L’avvocato riassume la memoria. Io riassumo così.
Articolo sotto accusa, due docenti dell’Ateneo indagati (Salvatore Tudisca e Antonino Bacarella, per la signora del mio
condomino scala b quarto piano che non lo sapesse ancora), diritto (dovere) di una giornalista di informare, libertà di
stampa, libertà di espressione, libertà di essere pubblicista e dipendente pubblico alla faccia dell’incompatibilità
(non è vero, direttore?).
E se la giornalista lavora nello stesso Ateneo dei due indagati? … Morire, dormire, forse sognare, dormire, dormire,
dormire… Ma rompetegliela la sveglia a quella là.
L’avvocato conclude. Nemmeno un bicchier d’acqua. Silenzio dall’altra parte. Le parole sono pietre, a volte pure macigni,
meglio evitare.
“Dottoressa, vuole aggiungere?” “Grazie avvocato, voglio aggiungere” (ma c’era bisogno di venire fin qui per parlarci
tra di noi?).
Scusate se mi permetto, ma cos’ho scritto, che ha offeso? E la diffamazione? Ditemi dov’è, se c’è o non c’è, non ditemi,
mon dieu, che c’è “in generale”…
“Lei non ha diritto di fare domande alla Commissione”.
Touché. Colpita (non affondata).
Grazie, Direttore, sa che non lo sapevo?
“Il suo avvocato ha risposto pure a quanto c’era tra le righe”.
Tra le righe? E che può esserci tra le righe di una lettera ufficiale? Mi fossi preparata un po’ di più, invece di
andare al mare… Ma la tecnica amministrativa, uffffff, tale e quale l’aritmetica.
Perché, mettiamo, se uno dice 45 intende 45, ma se uno dice 45 comma 6 lettera d) non vuole intendere licenziamento
senza preavviso? Suor Franca buonanima, la mia prof di matematica, per anni mi ha fatto credere che era così.
Insomma, chessaddafapecampà.
Uno non ha più il diritto di decapitare in pace che deve prima annunciarlo per iscritto
al mondo intero, poi per mettere a tacere un pugno di invasati del web iperuranio è costretto
pure a dire che non è vero e
alla fine per non
pestare i calli a quattro penne sfacciate e un po’ permalosette deve anche cambiare l’accusa e inventarsi – uè pufff - un
altro processo.
Che vita grama la vita da Inquisitori.
“Può andare. Tra qualche giorno riceverà per iscritto le nostre decisioni”.
Morire… dormire… forse sognare… dormire… dormire… dormire… Drinnnnnnnn … è la svegliaaaaaaa!…… No, non la mia,
la Vostraaaaa... |
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