marzo 2006 numero 51

cultura
Banca del Sud: opportunità di sviluppo per l’Università
del Mezzogiorno?
Solo se si avrà la capacità di saperla cogliere

di  Gabriele Castelli

nella foto: Il Duca di Calabria Carlo di Borbone con la moglie Camilla Cruciani

Fare rinascere il Mezzogiorno tramite una sua banca è il sogno del Ministro del Tesoro Giulio Tremonti.
Non che il Sud d’Italia non abbia banche di riferimento nate e radicate nel territorio, ma queste banche – grazie all’azione di Carlo Azelio Ciampi, quando era governatore della Banca d’Italia, e del suo successore Antonio Fazio – oggi al Sud non appartengono più, essendo state inglobate in gruppi più ampi che solo molto parzialmente rappresentano l’interesse dei risparmiatori e delle aziende meridionali.
E così, se le “etichette” di facciata recano ancora la dicitura Banco di Sicilia o Banco di Napoli, dietro quei nomi operano gruppi che non appartengono alla realtà del Mezzogiorno e che spesso utilizzano i capitali depositati dai risparmiatori per sostenere l’economia di altre aree del Paese o aziende che nulla hanno da spartire con l’economia meridionale.

Già alla fine dell’Ottocento i Florio – nonostante la presenza di Istituti di credito ancora siciliani, come il già nominato Banco di Sicilia e come la Cassa di Risparmio Vittorio Emanuele II – avevano cercato di creare una banca che fosse di riferimento per l’imprenditoria isolana.
L’opposizione del Governo centrale e dei “poteri forti” dell’alta finanza italiana, però, rese impossibile la vita di questo Istituto che, con il suo fallimento, segnò il declinare irreversibile di quella famiglia e, con essa, dell’economia (palermitana).

Oggi, il Ministro Tremonti, constatata la necessità di utilizzare i risparmi delle popolazioni meridionali per favorire gli investimenti “in loco”, ha dato vita a questa nuova Istituzione – la Banca del Sud - alla cui presidenza onoraria ha voluto chiamare chi all’antico regno meridionale è legato da indissolubili rapporti storico-dinastici: il duca di Calabria Carlo di Borbone delle Due Sicilie.

L’occasione è epocale, ma per tradursi tangibilmente come tale occorrerebbe un approccio diverso, meno legato – per intenderci – alle “Merchant Banks” tradizionali.
Bisognerebbe, in buona sostanza, coniugare le necessità mutualistiche di tanta parte della popolazione del Mezzogiorno - che preferirebbe un reinvestimento dei risparmi depositati secondo un’ottica di solidarietà civile piuttosto che di logica di profitto - con l’utilità di sostenere la ricerca scientifica e la nascita e crescita di imprese competitive che proprio dalla ricerca scientifica potrebbero trarre opportuno sostentamento.
Una necessità, questa che è evidenziata dagli ultimi dati forniti dal Civr (recentemente ufficializzati dal Miur), secondo i quali proprio gli Atenei siciliani nell’ambito della ricerca scientifica si trovano costantemente agli ultimi posti di ogni classifica di area scientifica.
Una necessità che le Università meridionali e siciliane in particolare non possono permettersi di ignorare se vogliono recuperare competitività in ambito nazionale.

La nuova Banca del Sud potrebbe fornire, inoltre, l’occasione giusta per confrontare il nostro attuale sistema creditizio con sistemi di credito cresciuti in aree geopolitiche diverse dall’Occidente, in cui prevalgono altre “sensibilità”, che propongono il coinvolgimento del cliente, risparmiatore o debitore, nelle attività economiche della banca da cui deriva l’utile ripartibile secondo le regole del profit-loss sharing.
Una eventuale apertura dell’Unione Europea alla Turchia, per esempio, costringerebbe il mondo bancario occidentale a confrontarsi con il sistema bancario islamico che in quel Paese è presente e vitale e che è basato sul concetto secondo il quale il profitto non generato da lavoro (cioè il guadagno del creditore collegato al semplice decorrere del tempo) è considerato usura.

Se la Banca del Sud saprà cogliere con anticipo una sfida che vedrà il confronto ineluttabile del mondo occidentale con quello islamico, il Mezzogiorno d’Italia potrà trarre vantaggio da questo approccio diversificato.
E la stessa economia meridionale potrà giovarsi dalla diversa filosofia d’intervento praticata da questa banca. Non più soltanto ricavi da dividere tra gli azionisti (i famosi “dividendi”), ma investimenti sulla ricerca scientifica tecnologica, sulla conoscenza (borse di studio per cittadini particolarmente dotati, ma poco abbienti), sull’avviamento di nuove imprese mediante forme di compartecipazione che richiamino forme di contratto come la Mudaraba (finanziamento partecipativo in cui la banca fornisce il capitale per un progetto e l’azienda il lavoro necessario per la sua realizzazione con profitti e perdite ripartite secondo una formula prestabilita) o la Musharaka (forma di investimento in cui la banca partecipa al capitale di un’azienda per finanziare un progetto preciso e in cui i dividendi sono ripartiti in funzione dell’incremento di redditività dovuto all’apporto di capitale), praticati nel sistema bancario islamico.

Sapranno i nuovi “banchieri” meridionali e le Istituzioni di alta cultura del nostro Mezzogiorno, come appunto le Università, cogliere l’occasione e trarre vantaggio da una opportunità del genere per avviare ricerca e sperimentazione?
Potrà finalmente, di conseguenza, essere verificata la bontà di tanti brevetti – taluni veramente innovativi – prodotti dall’ingegno dei molti ricercatori pubblici e privati, altrimenti destinati a restare confinati nel dimenticatoio?
Avranno gli Istituti di cultura superiore del Mezzogiorno interesse a divenire azionisti di questo nuovo Istituto di credito e protagonisti al suo interno, contribuendo a indirizzarne le scelte?

Speriamo di sì: è triste vedere costantemente un Sud terra di conquista, un Sud costantemente perdente.


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