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Sotterraneo e sconosciuto: è un'altra testimonianza di straordinario rilievo storico che ha riservato ai suoi estimatori lo Steri di Palermo,
il complesso monumentale chiaramontano che ospita il Rettorato e gli Uffici amministrativi dell'Università.
La sorpresa - che arriva appunto dal sottosuolo grazie agli scavi che la Sovrintendenza sta conducendo nell'area corrispondente
alle carceri dell'Inquisizione - è un monumentale edificio di cui sulle fonti non c'è traccia.
Si tratta - secondo il direttore del Servizio archeologico della Sovrintendenza Francesca Spatafora - di una costruzione semipogeica
che presenta un notevolissimo sviluppo verticale - è alta oltre sette metri - e "una imponente copertura con volte a crociera marcate
da massicce costolature".
Alcuni reperti recuperati all'interno dell'area interessata fanno risalire l'edificio al primo quarto del XIV secolo, ma
l'importanza del ritrovamento, oltre che al periodo di datazione è dovuta anche alla qualità della fattura, caratterizzata da
pregevoli decorazioni - teste e fiori i soggetti - e da graffiti che, naturalmente, visto il periodo storico al quale il monumento
si riferisce, non possono avere niente a che fare con quelli realizzati dai prigionieri dell'Inquisizione.
Il ritrovamento, avvenuto nell'ultima fase di restauro dei prospetti dello Steri, arricchisce il patrimonio di scoperte con cui
il complesso architettonico di piazza Marina non finisce di stupire esperti e visitatori. Tra esse, i solchi lasciati da due gabbie che
venivano appese in alto, ai lati della facciata del palazzo principale: dentro quelle gabbie, per secoli e fino all'abolizione del Tribunale
dell'Inquisizione avvenuta alla fine del Settecento per volontà dell'illuminato viceré Caracciolo, le teste dei baroni che si erano
ribellati al re Carlo V all'inizio del suo regno (primo quarto del secolo XVI) - esposte con sadica e crudele ostentazione -
dovevano servire a ricordare quanto infelice fosse stato l'esito delle insurrezioni, motivate dalla progressiva perdita del potere politico
baronale, in una Sicilia divenuta ormai provincia dell'impero spagnolo.
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