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Questa sarà la quinta o la sesta volta che assistiamo ad un concerto di Scott Henderson; la prima, nel 1997,
fu nell’ex Mattatoio di Roma, in zona Testaccio. Lui era affiancato da Pat O’ Brien,
validissimo chitarrista e cantante, portentoso nel suonare l’armonica a bocca, talmente bravo e padrone della scena,
da mettere quasi in discussione il ruolo di protagonista del grande Scott.
Il concerto, manco a dirlo, fu un vero trionfo, per quanto il pubblico romano fosse già a conoscenza della
qualità del musicista, per averne in qualche modo “battezzato” il successo nel panorama musicale, già alcuni anni prima.
Era l’anno di Tore Down House che eseguì con tale bravura, da renderla praticamente identica all’incisione
originaria, tranne che per la voce di Telma Houston… ma O’ Brien, non fu da meno e inarcandosi sul palco dimostrò anche
notevoli doti di equilibrio, a dispetto dell’aspetto, monopolizzato dalla sua bianchissima e fluente chioma.
La Scott Henderson Blues Band è altra cosa, essenziale, eccentricamente blues.
John Humphrey, da semplice comprimario, è diventato elemento fisso alla chitarra basso, mentre Kirk Covington
è la presenza “ingombrante” di sempre, sia che si tratti di “Blues Band”, sia che si tratti di “Tribal Tech”.
La sua ritmica è massacrante, fatta di tempi irregolari, isterismi ritmici, smorfie e sudore che imperla superfici
di pelle psoriàsica…..una vera manna per la “Fender_Suhr” di Scott Henderson che tracima incessantemente fiumi di note.
Assistere alla sua esibizione in un teatro caldo e accogliente come il teatro Metropolitan di Palermo è come sentirlo
suonare nel proprio salotto di casa, circondato da una consistente comitiva di “amici sconosciuti”, increduli al cospetto
di tale prodigio.
L’ingresso della Scott Henderson Blues Band sul palco dà il via al concerto. La simbiosi musicale è ai limiti della
perfezione, stacchi, pause, smorfie, contorcimenti; chitarra e batteria si palleggiano in equilibrismi mozzafiato…
Fra le altre interpretazioni, Meter Maid, Sultan’s Boogie, Well To The Bone, Jakarta (chi ricorda “Merry Christmas Mr.
Lawrence” …di Sylvian/Sakamoto nel film Furyo?), That Hurts, Lady P e la blue_grassiana Hillibilly In The Band.
In verità, il concerto ricalca quello dello scorso anno, con rimescolamenti nella scaletta e innovazioni stilistiche
che a volte costituiscono autentici paradossi musicali.
Abbiamo notato una ricerca parossistica nelle composizione delle scale, a base di diminuite, condite con rara maestria
nell’uso della leva, onnipresente, a caratterizzare sonorità alla Mc Laughlin del periodo Mahavishnu Orchestra, di cui
lo stesso Henderson ama citare le influenze stilistiche nel descrivere la propria maturazione musicale.
Nel suo modo di toccare la chitarra, moltissime sono le presenze hendrixiane, elaborate ed adeguate a una tecnica in
costante evoluzione.
Scott Henderson, nonostante si dichiari chitarrista blues in virtù del suo atipico eclettismo, riesce a cimentarsi
eccellentemente anche nella fusion e nel jazz di maniera, coniugando i fraseggi in modo da ottenere risultati unici
ed inarrivabili: una chicca per tutti, anche per chi di blues & C. capisce poco o niente.
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