E tutti i nodi verranno al pettine
Che succede se, invece di piangere per la ferale notizia, ridiamo di soddisfazione? Ci dicono fascisti, reazionari, intolleranti, antisindacali (i sindacati c'entrano sempre), sovversivi (io ce l'avrei un paio di idee salvagente), disturbatori di equilibri pubblici e opportunismi privati? Embè? Che ce frega a noi? direbbe una mia amica romana. Noi lo stesso ridiamo di soddisfazione. Perché di vedere chi si piange addosso accusando altri della propria insipienza siamo tutti stanchi, anzi per dirla più terra terra, stufi, arcistufi e incazzati neri (e scusate se ci siamo permessi).
Perciò ben vengano i soldi solo per gli Atenei migliori, ben vengano le risorse che premiano l'eccellenza, e ben venga la calza piena di carbone per gli Atenei bocciati, perché non è vero che alle Università i soldi vengono distribuiti col contagocce ed è vero, invece, che i finanziamenti finora non sono stati selettivi.
Qualche giorno fa leggevamo su uno stimatissimo quotidiano nazionale (a proposito, sapete che al sud il giornale più letto è la Gazzetta dello sport? E poi ci lamentiamo delle inefficienze) che i finanziamenti agli Atenei italiani andrebbero tagliati, non aumentati, e che le Università dovrebbero essere costrette a cercare i soldi presso chi usufruisce dei loro servizi. Magari è impopolare, ma in certi Atenei (privati) il meccanismo funziona, eccome: che sia stata anche questa la molla che ha mosso il ministro di ferro verso la selezione?
Dicono che la spesa pubblica nell'Università sia più bassa in Italia che altrove. Chiacchiere. Secondo un recente studio, per ogni studente universitario a tempo pieno l'Italia spende quasi un terzo più dell'Inghilterra. Roba da restarci secchi.
E c'è anche la solfa dei finanziamenti per la ricerca, più bassi in Italia che in altri Paesi: è vero, ma questa cosa riguarda più i finanziamenti privati che quelli pubblici.
Finiamola, poi, di parlare di ricerca come di un'entità ectoplasmatica aleatoria e indecifrabile. La ricerca è fatta dai ricercatori, che sono uomini, individui che, messi in condizione di poter operare, se sanno fare il loro mestiere, la fanno progredire e non stagnare, come accade in certi settori di mia conoscenza. E siccome oggi mi va di dirle papali papali, faccio pure i nomi e vediamo se qualcuno potrà dirmi che sbaglio.
Facoltà di Ingegneria dell'Università di Palermo. I laboratori? Languono. E i progetti, anche quelli con tanto di brevetto che aspettano solo di essere testati su un prototipo, quelli per i quali persino gli Emirati Arabi, per fare qualche esempio concreto, si sono scomodati per accaparrarselo, quei progetti che risolleverebbero le sorti della Fiat (e non solo quella di Termini Imerese) e darebbero una sferzata di rinnovamento produttivo all'economia nazionale, sì, proprio quelli, restano sulla soglia. Anzi no. Arrivano, per la verità, su qualche tavolo giusto, ma sono costretti a cozzare contro la rassegnazione di chi a quel tavolo sta seduto e che conferma, allargando le braccia: "Mancano i laboratori, a Palermo, e pure i tecnici in grado di supportare i progetti".
E noi dovremmo piangere di dolore perché il ministro taglia i fondi agli Atenei incapaci? Certo che no. Anzi, auspichiamo che riesca a trovare i giusti indicatori per misurare senza ombra di dubbio la qualità della didattica e della ricerca di ciascun Ateneo italiano. Che poi (purtroppo per qualche Ateneo), gli indicatori sono quelli soliti: frequenza degli abbandoni, entità delle immatricolazioni, numero di laureati, di occupati post-laurea e di docenti, rapporto docenti-studenti (nota dolente degli Atenei del sud), presenza di laboratori (ahi ahi), di biblioteche, di aule (vere, però, e non improvvisate come le sale cinematografiche), servizi. I rettori, comunque - e questa è notizia recente - hanno promesso di collaborare col Ministero per la definizione dei criteri di valutazione che alla fine consentiranno, a ciascun Ateneo, di poter essere o non essere accreditato.
Dall'accreditamento - riconosciuto e accertato da un organo centrale indipendente - dipenderà quindi il futuro delle strutture accademiche pubbliche nazionali, che potranno prossimamente vedersi azzerati i finanziamenti per i corsi di laurea che non rispetteranno gli standard.
Mala tempora currunt per gli Atenei siciliani che già, si veda il caso di Palermo, col nuovo ordinamento sono stati ridimensionati e ridotti a strutture in grado di produrre soprattutto laureati di primo livello (a questo proposito rimandiamo all'editoriale del n. 19/20 di "Ateneo Palermitano").
Conquistare l'ambito bollino blu: questo dunque dovrà essere l'obiettivo da raggiungere.
Noi speriamo, naturalmente, che quanto si prepareranno a fare i nostri Atenei siciliani sia reale e non virtuale: l'eccellenza che dovranno dimostrare dovrà essere concreta, non "simulata". Perché, sapete?, nelle Università siciliane la simulazione va forte.
A Catania, per esempio (ma questa è una buona notizia), cinquanta studenti sono entrati nel progetto "Nmun 2004", la più importante simulazione di processi diplomatici organizzata dall'Onu, e si apprestano a fingersi esperti diplomatici.
E Palermo? Be', anche se per motivi diversi, Palermo non è da meno.
Facoltà di Ingegneria (non è da lì che siamo partiti?). Dicevamo che la ricerca giace per mancanza di adeguate strutture di supporto, ma se il "tunnel del vento" c'è, ma non può essere usato per l'assenza dei tecnici, che sarà mai, alla fine! Non sapete cos'è il tunnel del vento? Consolatevi, nemmeno io sapevo della sua esistenza fino a qualche mese fa. Poi ho scoperto che, con una velocità quattro volte superiore alla velocità del suono, serve a testare l'efficienza di macchine, aerei o parti di essi. Indispensabile in un laboratorio di ingegneria meccanica, non vi pare? Ma Palermo, da due anni e mezzo oramai, questo tunnel ce l'ha e non lo può utilizzare, e allora ... simula. Al computer. E la simulazione raggiunge persino una velocità ventisette volte superiore alla velocità del suono. Ma si può, a questi livelli, contare solo su una simulazione? Noi crediamo di no.
Sarebbe meglio, d'ora in poi, che l'Università di Palermo mettesse un po' da parte le realtà virtuali e cominciasse a lavorare sulla concretezza.
Perché i calci nei deretani accademici che il ministro Moratti assesterà coi finanziamenti mirati saranno reali e per niente indolori.
f. p. |