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periodico di informazione universitaria

Policlinico: parla Pecoraro

In che modo?

Coi protocolli d’intesa verranno definiti, per esempio, le condizioni attraverso le quali si realizza la convenzione prevista tra Università e Regione per i Policlinici universitari, fissa i criteri di prestazioni sanitarie per quanto riguarda i docenti, i criteri di accesso alla dirigenza per quanto riguarda i docenti universitari e definisce tutta una serie di cose che fin qui non erano state molto dettagliate, nonostante la lunga gestazione del processo di aziendalizzazione avviato per i Policlinici universitari.

La legge quindi trasferisce maggiori poteri all’Azienda.

Certo. L’Azienda come soggetto giuridico a se stante è il supporto necessario e indispensabile per garantire e sostenere l’attività di didattica e di ricerca, finalità principale dell’Università. Inoltre il 517 ha introdotto un organismo nuovo che è l’organo di indirizzo, presieduto dal preside della Facoltà, che ha come obiettivo quello di creare le condizioni perché il processo sinergico tra il supporto assistenziale garantito dall’Azienda e la programmazione universitaria siano effettivamente congrue. Questo è un altro aspetto fondamentale della legge: rendere sempre più sinergico il rapporto tra attività didattica e di ricerca e attività assistenziale.

A proposito di presidi di Facoltà, il prof. Cardinale, preside della Facoltà di Medicina dell’Ateneo palermitano, ha recentemente dichiarato che "l’Azienda ha operato senza il necessario controllo". Che significa quella frase? E lei cosa risponde, visto che in democrazia si ha diritto alla replica?

Che significa bisognerebbe chiederlo al professore Cardinale, perché l’Azienda subisce il controllo istituzionale previsto dalle norme: intanto quello di un organo interno, che è il Collegio sindacale regolarmente insediato e che opera, così come prevede la legge, il controllo sull’attività gestionale e contabile dell’Azienda; inoltre è soggetta alle verifiche e ai controlli di tutti gli organismi che hanno uguali compiti. Pertanto mi stupisce l’affermazione del preside Cardinale, perché tra l’altro fino all’entrata in vigore del 517 c’era un organismo previsto dalla precedente normativa, il C.T.A. (Comitato tecnico amministrativo), del quale facevano parte il preside pro tempore, professori ordinari, professori associati, rappresentanti della Regione e il direttore generale del Policlinico. Il C.T.A. aveva proprio il compito istituzionale di approvare il bilancio di previsione e il consuntivo. L’Azienda quindi non è mai stata fuori, diciamo così, dalla logica ordinaria prevista dalla legge: ecco perché non capisco quell’affermazione.

Tra circa quattro anni, dunque, in base alla nuova normativa, avremo il "modello unico di Azienda". Che significherà?

Il 517 fissa un periodo quadriennale di gestione sperimentale. Lei sa che i Policlinici a gestione diretta sono un numero minimo rispetto al complesso delle Facoltà mediche italiane. L’obiettivo del legislatore è quello di rendere omogeneo l’assetto organizzativo delle Aziende molto probabilmente più orientate verso l’integrazione sempre più forte con il Sistema Sanitario Nazionale e le Università.

Quindi lei ha fiducia che si possa realizzare questa integrazione.

Credo sia interesse dell’Università che questo avvenga; e dall’altro lato penso sia interesse del Sistema Sanitario Nazionale avere un raccordo sempre più stretto con il sistema universitario del Paese.

Che cosa si aspetta lei dal nuovo governo nazionale e da quello regionale recentemente insediatosi in merito all’applicazione di eventuali correttivi alla legge Bindi-Zecchino?

Il problema delle incompatibilità, per esempio, è sicuramente un punto di debolezza della legge..

In che cosa consiste l’ incompatibilità?

La previsione che l’opzione del rapporto esclusivo fosse definitiva e non reversibile, se non in particolari condizioni di cambio di fascia, da ricercatore ad associato o da associato a professore ordinario. Ciò credo sia un limite della norma, nel senso che il rapporto esclusivo deve essere un incontro di decisioni, tra l’altro, tra il docente e il Sistema Sanitario Nazionale di concerto con la direzione generale dell’Azienda. Cioè l’interesse ad avere un rapporto esclusivo non può essere semplicemente del docente medico, deve essere un incontro di interessi tra l’Azienda e il medico.

Per ottenere più facilmente tutto ciò sarebbe necessario cambiare alcune mentalità, probabilmente... Quanto è difficile realizzare l’incontro di interessi da lei auspicato?

Questo punto della legge è stato vissuto da tutti i medici del Sistema Sanitario Nazionale e anche dai docenti universitari in maniera non particolarmente serena. Ripeto, l’irreversibilità della scelta non credo che aiuti né chi è obbligato a fare la scelta né il Sistema Sanitario, che alla fine può correre il rischio di avere escluso chi magari è più meritevole o ha una maggiore visibilità.

Quindi lei si aspetterebbe una modifica di questo punto così controverso.

Sì, ritengo che ci sarà questa modifica. Si dovranno creare le condizioni perché si possa decidere di stare per un periodo a rapporto esclusivo e per un altro periodo non a rapporto esclusivo. Però, ripeto, questa dovrebbe essere una decisione che assume il Sistema nel suo complesso tenendo conto di due esigenze: quella del docente medico e quella dell’Azienda.

Dr. Pecoraro, quando scadrà il suo mandato?

Nel 2003.

Potrebbe oggi tentare un consuntivo del lavoro fatto? Come ha trovato il Policlinico dell’Ateneo palermitano e come pensa che lo lascerà a fine mandato?

Io credo che si possa fare un bilancio, che, senza trionfalismi, penso sia positivo, considerato che si interveniva in un sistema che aveva connotazioni culturali completamente diverse da quelle che la nuova normativa sulla sanità ha imposto. La gestione aziendale in una realtà che è quella del Servizio Sanitario Nazionale, ma anche della sanità universitaria, non è cosa facile, perché incide su meccanismi culturali stratificati di difficile rimozione.

Per quanto riguarda l’Azienda Policlinico dell’Università di Palermo, posso dire che dal ’97 i suoi bilanci vengono chiusi senza disavanzi, che la gestione è fatta per budget, nel senso che c’è una condivisione, attraverso una negoziazione, tra il responsabile dell’unità complessa del servizio e la direzione generale, rispetto agli obiettivi da raggiungere e alle risorse da utilizzare, che sono poi principi essenziali del sistema aziendale.

Alla base c’è dunque una programmazione annuale, forse anche triennale...

Una programmazione annuale con un piano strategico aziendale che copre tutti gli aspetti dell’attività.

Una gestione manageriale, dunque.

Una gestione aziendale. In cui c’è certezza di obiettivi, che vengono esplicitati, definiti, quantificati, verificati, perché abbiamo attivato da qualche tempo un sistema di controllo di gestione che ci consente di accertare nell’arco dell’anno dove va la gestione, se si discosta dagli obiettivi prefissati e concordati, quali sono gli eventuali correttivi per modificare anche in corsa i meccanismi operativi.

Ma in tutto questo meccanismo di ammodernamento, necessario perché l’ha voluto la legge, ma anche espressione di una evoluzione naturale del modo di interpretare l’intero settore, che difficoltà ha incontrato, in particolare?

Inserire cultura aziendale dove questa cultura non c’è è un problema di non facile soluzione: questa è stata la difficoltà principale. E’ un problema di cultura e quindi di linguaggio, completamente diverso. Passare da un meccanismo in cui si ritiene che le risorse sono illimitate a un meccanismo in cui si sa - ed è obbligatorio tenerne conto - che le risorse invece sono limitate non è indolore, tutt’altro.

Lei però è un duro, testardo, ostinato... Ricordo le sue battaglie al timone dell’Opera Universitaria, sempre in prima linea, battagliero a oltranza, convinto delle sue posizioni tanto da difenderle persino con lo sciopero della fame... Lei, insomma, è uno che non molla. In questa occasione, contro che cosa si è scontrato, se si è scontrato contro qualcosa?

Il dover cambiare all’improvviso, perché lo vuole la legge, certo modo tradizionalistico di pensare e di interpretare il settore, ha comportato un contrasto di atteggiamento tra il mandato che ha il direttore generale di rendere razionale, efficiente ed efficace un sistema e un contesto in cui i principi di efficienza ed efficacia non costituivano la caratteristica comportamentale gestionale. Questo ha determinato contrasti non indifferenti, perché perseguire l’efficienza significa innanzi tutto ridurre il superfluo, abbattere quei costi che non sono indispensabili a un risultato aziendale.

E’ anche vero, tuttavia, che il sistema non ha aiutato se stesso. Fino al ’96, per esempio, non sono mai stati applicati i contratti al personale del Policlinico: il contratto veniva surrogato dal punto di vista economico dal pagamento di lavoro straordinario.

Inteso come lavoro ordinariamente prestato...

Inteso come criterio per gratificare il personale. Questo alla fine ha portato un danno per i lavoratori stessi, perché se si fossero applicati i contratti oggi saremmo in condizioni migliori per realizzare un sistema fatto di assetti organizzativi, di retribuzioni di posizione, retribuzioni di risultato e così via.Tra l’altro, i contratti emanati negli ultimi anni, ai fini della determinazione dei fondi di produttività e di posizione, fanno riferimento a precedenti istituti contrattuali che qui non sono stati applicati, sostanzialmente impoveriscono poi i fondi per queste cose importantissime, che sono le uniche che danno il senso dei nuovi contratti.

A quali strategie ha pensato per abbattere i muri di gomma che si è trovato davanti?

Spingere il confronto al massimo, con le organizzazioni sindacali e con l’istituzione universitaria nel suo complesso; affrontare le questioni nella loro essenza, senza pregiudizio o su ipotesi che prevedeva semplicemente di tagliare, tagliare, tagliare: non era e non è questo l’obiettivo. L’obiettivo è rendere il sistema efficiente e questo significa soprattutto evitare gli sperperi, non per capriccio, ma perché le risorse non sono una variabile indipendente. Un esempio: se si sprecano risorse, finisce magari per non essere possibile avviare un processo di rinnovo tecnologico che invece sarebbe potuto essere un elemento essenziale per la qualità delle prestazioni sanitarie.

A che punto è il lavoro di abbattimento delle resistenze all’interno dell’Azienda?

Devo dirle con franchezza che oggi il colloquio con i soggetti presenti dentro il Policlinico comincia ad avere un linguaggio comune. Per esempio il passaggio importantissimo della negoziazione del budget ha creato un processo di consapevolezza che ha portato le due parti - la Direzione generale da un lato, i responsabili di Dipartimento dall’altra - a trovare un punto di incontro.

Dunque se devo fare un bilancio rispetto a questa esperienza di tre anni e mezzo circa in cui faccio il direttore generale, devo dire che siamo al punto in cui almeno abbiamo acquisito un linguaggio comune e in cui non c’è più l’identificazione della Direzione generale come il cerbero della situazione.

Parlare un linguaggio comune è il necessario presupposto per comprendersi...

Infatti. Per questo ritengo che, compreso il meccanismo di funzionamento, il processo nei prossimi due anni avrà un’accelerazione straordinaria, perché siamo in presenza di un contesto ad elevata cultura.
Per quanto mi riguarda, sono impegnato a consegnare all’Università, alla fine del mio mandato, un’Azienda che sia caratterizzata da efficienza ed efficacia, ma soprattutto da qualità e da alta specializzazione, perché uno degli obiettivi vincolanti per la Direzione, ma anche per la Facoltà medica e per l’Università in generale, è quello di trasformare l’Azienda in una realtà di attività sanitaria di altissimo livello che, tra l’altro, il legislatore stesso le ha attribuito.

Dunque, nel programma di sviluppo del Policlinico c’è una progressiva modificazione delle attività con la riduzione di quelle "generalistiche" - parliamo di medicina generale e di chirurgia generale - a favore di un maggiore sviluppo delle "specialistiche". Una delle cose che entro fine anno dovremmo avere è un reparto di cardiochirurgia d’avanguardia, per esempio, che potrà contribuire a qualificare le attività e insieme darà una risposta al fabbisogno esistente in questo settore così specialistico.

Quindi, nonostante i problemi e le difficoltà incontrate dalla sua nomina del ’98 ad oggi, quello che lei fa, parlando di previsione dei prossimi anni, ci sembra un discorso abbastanza ottimistico.

Sì, ne sono convinto perché è stata superata la prima fase, che era quella del pregiudizio, attraverso processi di consapevolezza e di chiarimento rispetto al ruolo del Direttore generale, che, ripeto, non è il nemico dell’Università o della Facoltà medica, ma è colui che ha l’obbligo di realizzare un sistema-azienda al passo coi tempi.

Certo, anche se a noi resta il dubbio che la dichiarazione del professore Cardinale possa celare una volontà di irreggimentazione sicuramente non giustificata dalla nuova legge.

Io credo che il preside con quell’affermazione abbia voluto auspicare sempre maggiore raccordo, specie nella fase di programmazione, tra la Facoltà e l’Azienda. Se invece si riferiva a un controllo di natura contabile, allora devo replicare che questo è stato fatto da chi è preposto a questi compiti: l’Azienda è stata sottoposta a tutti i sistemi di controllo che la legge prevede e non è mai stata una realtà extraterritoriale.

Probabilmente intendeva parlare di scelte politiche, di indirizzo...

Non credo, perché ne abbiamo parlato abbondantemente. Non sono mai stato il manager solitario che si è inventato progetti e programmi. I progetti e i programmi relativi all’Azienda sono stati ordinariamente confrontati con la realtà universitaria, la cui ottica con la quale si sono guardate le ipotesi di sviluppo magari era diversa, in qualche occasione; però in generale devo dire di non aver avuto particolari difficoltà nella definizione del percorso.

Lei dunque crede nel confronto come elemento essenziale di crescita.

Assolutamente sì: una crescita condivisa è una crescita possibile, una crescita non condivisa difficilmente sortirebbe effetti degni di attenzione.

Un’ultima domanda: che cosa è disposto a cedere e qual è, invece, la cosa su cui non transigerà mai in questo suo percorso alla guida dell’Azienda?

Io credo che sia un fatto assolutamente irreversibile il processo di aziendalizzazione, che non è un concetto astratto, è invece la sommatoria di comportamenti che rendono sempre più qualificato il sistema. E allora, rispetto a questo tipo di obiettivo, ritengo di non dover avere debolezze. Sul progetto di sviluppo è chiaro che mi aspetto molto dalla Facoltà e molto dall’Università, perché, ripeto, l’ottica aziendale non è quella che va in contrasto con un’ottica di programmazione in cui l’obiettivo principale è quello della formazione e della ricerca, e le esigenze non possono e non devono assolutamente essere contrastanti: solo i percorsi attraverso i quali si realizzano questi obiettivi e vanno gestite le risorse possono essere divergenti, perché i due piani strategici di sviluppo - quello della Facoltà e quello dell’Azienda - non c’è dubbio che debbano essere compatibili.

Il punto debole dei rapporti tra Facoltà e Azienda, almeno da quando ci sono io, sta soprattutto sulle modalità attraverso cui si arriva alle decisioni. E allora da una parte c’è una Facoltà che vuole contare, magari in maniera esclusiva, rispetto agli obiettivi strategici, e dall’altra un’Azienda che è definita dal legislatore in maniera tale da essere protagonista comunque del sistema. Ora è possibile che io, in qualche occasione, abbia semplificato il processo di trasformazione, ma il mio comportamento non aveva come finalità l’obiettivo della prevaricazione, ma quello di tentare di dare accelerazione a un sistema nel suo complesso, che comunque è di interesse generale.

Al di là di tutte le incomprensioni, io - lo ribadisco - sono convinto che i prossimi tre anni saranno decisivi per la crescita del Policlinico di Palermo, che dovrà diventare, noi lo auspichiamo, un centro di eccellenza straordinaria della sanità non soltanto locale, ma anche siciliana.

Siete sulla buona strada, a quanto pare.

Sì, anche perché possiamo contare su risorse umane di altissima qualità. Per cui adesso cominciamo a cogliere i frutti di questo cambiamento.

Lei comunque non rischia di non poterli raccogliere tutti, questi frutti, perché, se non sbaglio, potrebbe essere riconfermato alla Direzione generale del Policlinico, non è così?

E’ così, anche se normalmente chi fa la rivoluzione non ne gode i frutti. Comunque sono convinto che il prossimo direttore generale dell’Azienda troverà una piattaforma definita con buona parte del lavoro già fatto.

Francesca Patanè

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